L’Olocausto è un business

 L’Olocausto è un business che minaccia di diventare la più grande rapina nella storia dell’umanità (Norman G. Finkelstein)
Sociale per l’occasione aggiunge il libro di
FINKELSTEIN Norman G.
L’industria dell’Olocausto
http://www.vho.org/aaargh/fran/livres3/NFOlocausto.pdf
 
di Mario Consoli
 
«Quello dell’Olocausto è un business che minaccia di diventare la più grande rapina nella storia dell’umanità». Questa affermazione è stata fatta dall’ebreo Norman G. Finkelstein.
Professore universitario in USA, figlio di sopravvissuti ai campi di concentramento di Majdanek, di Czestochowa e di Skarszysko-Kamiena, e parente di altri che nel periodo di internamento morirono, Finkelstein è autore di un libro che ha suscitato clamore e polemiche in tutto il mondo.
The Holocaust Industry Reflections on the Exploitation of Jewish Suffering (L’industria dell’Olocausto, riflessioni sullo sfruttamento delle sofferenze degli ebrei), giunto nelle librerie americane ed inglesi nel giugno del 2000 e successivamente tradotto in francese e tedesco, è già pressoché introvabile. In Italia ne è stata annunciata la prossima pubblicazione da parte della Rizzoli, ma già Mario Spataro, nel suo Olocausto.Dal dramma al business? (Edizioni Settimo Sigillo, dicembre 2000) si è preoccupato di offrirci una efficace ed esauriente sintesi dei suoi contenuti. Paolo Conti, sulle colonne del Corriere della Sera (13 luglio 2000), si è occupato dell’argomento: «Secondo l’autore la mistificazione e lo sfruttamento dell’Olocausto si sono sovrapposti alla tragedia di un popolo. La tesi è esplosiva, soprattutto se sottoscritta da un ebreo: l’Olocausto è servito a estorcere denaro all’Europa».
«Molti sopravvissuti sono simulatori e il Centro voluto da Simon Wiesenthal è una Dachau-Disneyland».
Finkelstein, a pag. 55 del suo libro, scrive:
«La maggior parte della letteratura esistente sulla soluzione finale hitleriana non può essere considerata risultato di un serio studio. In verità, tutti gli studi sull’Olocausto sono pieni di sciocchezze, se non di frodi».
Bryan Appleyard sul The Sunday Times (11 giugno 2000) ha scritto:
«Finkelstein accusa coloro che sfruttano l’Olocausto di raccontare frottole, di essere complici delle atrocità israeliane e di essere avidi di soldi. La caccia ai soldi delle banche svizzere e di altri enti viene condannata da lui come un vero e proprio racket dell’estorsione. La sconsiderata industrializzazione dell’Olocausto ha incoraggiato il risorgere dell’antisemitismo in Europa e negli Stati Uniti. Nella sua conversazione con me, Finkelstein ha paragonato a un circo equestre il proliferare dei musei e dei memoriali dell’Olocausto […] Se ciò che ha scritto Finkelstein non fosse stato scritto da un ebreo direttamente coinvolto nell’Olocausto, automatica e selvaggia sarebbe stata l’accusa di antisemitismo o, peggio, di negazionismo».
Le tesi che emergono dal libro sono molteplici, ma sempre convergenti. Innanzitutto Finkelstein individua nella pretesa «unicità» della Shoah – unica, per gravità e dimensioni, nell’intera storia dell’umanità – il tentativo di manovrare un’arma potentissima sia a livello politico-ideologico che finanziario; un Olocausto non «testimonianza del passato», ma strumento di potere attuale e futuro. Finkelstein osserva che di persecuzioni e uccisioni di massa la storia è piena: ricorda il caso degli armeni, dei pellerossa, dei giapponesi «atomizzati», degli stessi tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale, ecc.
«Finkelstein riferisce il caso di Elie Wiesel, del rabbino Arthur Hertzberg e dei rappresentanti dell’American Jewish Committee che abbandonarono una conferenza internazionale che si teneva a Tel Aviv perché gli organizzatori avevano incluso fra gli argomenti di discussione anche il genocidio degli armeni ad opera dei turchi negli anni della prima guerra mondiale. Così il genocidio degli armeni non è menzionato nel Memoriale dell’Olocausto eretto a Washington, e la lobby ebraica è riuscita pure a impedire che il Congresso americano ricordasse, in occasione delle commemorazioni dell’Olocausto, l’esistenza del genocidio degli armeni», e ricorda «le critiche mosse da Wiesel al leader israeliano Shimon Peres colpevole di avere osato parlare di due immani olocausti del XX secolo: Auschwitz e Hiroshima».
«Per smentire in maniera diretta la pretesa di unicità dell’Olocausto ebraico, Finkelstein si richiama fra l’altro a un articolo apparso sull’inglese The Guardian il 12 e 13 luglio 2000 e al contenuto dei libri Crimes and Mercies (Londra 1997) e Other Losses (Toronto 1989) dello storico canadese James Bacque a proposito del genocidio del popolo tedesco ordinato nell’agosto 1944, col beneplacito di Franklin D. Roosevelt, da Dwight D. Eisenhower e Henry C. Morgenthau. Si trattò di un ordine che, benché ufficialmente annullato, trovò pratica e segreta applicazione dopo l’aprile 1945 provocando (in violazione delle convenzioni internazionali) la morte per fame di milioni di tedeschi parecchi dei quali erano militari prigionieri di guerra. Tanto da suscitare nel marzo 1946, a Washington, l’indignata e pubblica protesta del senatore Langer Fu o non fu anche quello, si chiede Finkelstein, un programmato Olocausto?». (1)
Finkelstein si sofferma inoltre su un dato che lo lascia perplesso (pag. 25): secondo le sue valutazioni gli ebrei costituivano solo il 20% della popolazione totale dei campi di concentramento.
«La pretesa unicità dell’Olocausto – giunge ad affermare Finkelstein – è diventata una forma di terrorismo intellettuale. E chiunque abbia l’ardire di adottare in proposito le normali procedure di ricerca storica comparativa deve essere pronto ad affrontare l’accusa di banalizzazione dell’Olocausto».
Il risultato che così si ottiene è che a una sofferenza «unica» devono corrispondere risarcimenti «unici»; ad un dramma «unico» privilegi «unici».
«E infatti, la singolarità delle sofferenze degli ebrei rafforza la validità morale ed emozionale delle pretese che Israele può avanzare nei confronti di altre nazioni. […] Persino la decisione israeliana di sviluppare un armamento nucleare è giustificata dallo spettro dell’Olocausto».
Ma l’arma olocaustica, nella sua valenza ideologica, non si esaurisce nell’ottenere per Israele un trattamento preferenziale – se Saddam Hussein disattende una risoluzione dell’ONU si scatena una guerra, se lo fa Israele non succede nulla, ed egualmente l’uso della tortura che è stato tollerato nello stato ebraico per decenni, mentre era violentemente condannato in tutte le altre nazioni del mondo, e così via – ma si estende a tutte le comunità ebraiche sparse per il mondo.
L’ossessivo ricordo della Shoah induce ovunque gli ebrei a pretendere un trattamento differenziato dagli altri: ad avere, per principio, sempre ragione. In ogni campo, dalla cultura alla politica, al controllo dell’informazione, dell’economia e della finanza. E i privilegi così ottenuti consentono loro, chiudendo un cerchio vizioso, di imporre con sempre maggiore insistenza l’opera di indottrinamento sui temi olocaustici.
Finkelstein ricorda che numerose università americane hanno recentemente creato cattedre d’insegnamento della Shoah e che il numero dei testi dedicati all’argomento, solo negli Stati Uniti, sono oltre 10.000; diciassette Stati americani impongono o raccomandano lo studio dell’Olocausto in tutte le scuole. In Italia è recente l’istituzione della «giornata della memoria».
Mentre proliferano le occasioni di indottrinamento, si moltiplicano, dopo oltre cinquant’anni dai fatti, le testimonianze dei «sopravvissuti».
«Alla fine della seconda guerra mondiale si valutò che il numero di queste persone si aggirasse intorno a 100.000. Ebbene, calcola Finkelstein, in base alle leggi della natura solo un quarto di quelle 100.000 persone (cioè 25.000) possono essere ancora in vita oggi, oltre mezzo secolo dopo la fine del conflitto. E invece, riferisce a pagina 83 del suo libro, secondo l’ufficio del primo ministro israeliano i sopravvissuti all’Olocausto sarebbero, oggi, quasi un milione».(2)
[ Sul numero dei pretesi “sopravvissuti” vale il censimento dell’ebreo della pergola sergio, pubblicato nel 2003: a quella data erano ANCORA IN VITA 1.092.000 “sopravvissuti”! Due veloci conti portano a calcolare in 5-6.000.000 i “sopravvissuti” nel 1945! Qui si complica il tutto,infatti se sommiamo ai 4-5.000.000 (sopravvissuti) i 6.000.000 pretesamente “gasati e einsatzgruppenizzati”… si arriva ad un totale do 10.000.000-11.000.000 di ebrei INTERNATI inghetti o lager! Il che è un assurdo,praticamente sarebbero stati internati TUTTI gli ebrei d’Europa e TUTTI gli ebrei russi! La sorprendente scoperta dell’ebreo della pergola sui 1.092.000 sopravvissuti ebrei dell’Olocausto ancora vivi nel 2003, viene discussa in modo approfondito nel suo rapporto: http://www.icheic.org/pdf/ICHEIC_demography1.pdf ,un buon articolo sul numero degli ebrei sopravvissuti è consultabile al link: http://olo-truffa.myblog.it/archive/2011/03/06/friedrich-paul-berg-nel-1945-gli-ebrei-erano-ancora-vivi.html ]
«Poiché questi sopravvissuti sono da un po’ di tempo riveriti come dei santi» scrive Finkelstein «qualsiasi loro affermazione, anche assurda, viene accettata senza commenti. E ciò vale persino per quei cosiddetti sopravvissuti che in realtà fanno parte dei 100.000 ebrei polacchi che si trasferirono nell’Unione Sovietica all’indomani dell’invasione tedesca della Polonia e che lì rimasero, trattati come normali cittadini sovietici, per tutto il tempo del conflitto». (3)
E chi contesta, o vuole approfondire, o indagare, o ricercare, subisce prima il linciaggio morale da parte dei mass media, poi è consegnato alla magistratura la quale è chiamata ad applicare quelle leggi liberticide che in sempre più numerose nazioni europee sono state appositamente promulgate [ I sionismo “italiano” sta tentando,oggi Ottobre 2012, di introdurre simile nefandezza anche in Italia, a tutela dei loro interessi economici-politici,si veda al link: http://olodogma.com/wordpress/0020-legge-mancino-mattogno-ecco-il-testo-viola-lartcolo-21-impedisce-di-esprimere-pareri-personali-e-anticostituzionale/ ] stanno,disperatamente,. Ma l’aspetto dell’Olocausto che Finkelstein tratta con maggior dovizia di particolari è quello dell’arma ricattatoria utilizzata per estorcere denaro, a favore di Israele, delle comunità ebraiche e dei singoli individui.
«Le odierne iniziative dell’industria dell’Olocausto, volte a estorcere denaro agli europei in nome delle cosiddette vittime di allora, hanno abbassato la nobiltà di quel martirio al livello di quella del Casinò di Monte Carlo».
Non tutti sanno che la creazione dello Stato di Israele finanziariamente fu fatta pagare al governo tedesco e che il suo mantenimento grava, oltre che sulla Germania, sui contribuenti americani.
«In totale, secondo i giornalisti Roger Cohen del New York Times e J. Kummer del Welt am Sonntag, dalla fine della guerra al 1999 la Germania ha pagato, prevalentemente a ebrei sopravvissuti e allo stato di Israele, qualcosa come l’equivalente di 150.000 miliardi di lire italiane. E ciò in aggiunta ai 200 miliardi pagati alla Claims Conference e ai 200 miliardi all’anno pagati a titolo di pensione vitalizia a persone residenti in Israele, negli Stati Uniti e altrove». «Israele è il massimo beneficiario mondiale di aiuti americani. Dal 1979, in seguito agli accordi di Camp David, Gerusalemme riceve dagli Stati Uniti 3 miliardi di dollari l’anno ai quali si devono aggiungere i 7 miliardi di dollari provenienti annualmente da altre fonti, americane e non. Si tratta dunque, in totale, di 10 miliardi di dollari (pari a 20.000 miliardi di lire italiane) che ogni anno, senza contare le “riparazioni” tedesche, contribuiscono al budget pubblico dello stato di Israele. […] Dal 1949 al 1997 lo stato di Israele è costato ai contribuenti americani qualcosa come 300 miliardi di dollari, equivalenti a circa 600.000 miliardi di lire italiane». (4)
E poi ci sono i costi per il mantenimento di enti, musei, associazioni, ecc. sparse in tutto il mondo. Ne è eloquente esempio il Museo dell’Olocausto esistente a Washington, che costa oltre 100 miliardi di lire all’anno.
«L’idea nacque quando una frase inavvertitamente pronunciata dall’allora presidente Carter (“Bisogna riconoscere i legittimi diritti del popolo palestinese (5) suscitò le ire dell’establishment ebraico internazionale e, in particolare, del presidente della “Conferenza delle principali organizzazioni ebraiche”, rabbino Alexander Schindler, che definì “shocking” (traumatizzanti) le parole di Carter. Alla vigilia della campagna elettorale per la rielezione, Carter non poteva alienarsi l’amicizia della lobby ebraica e così, approfittando dell’interesse suscitato da una visita a Washington del primo ministro israeliano Menachem Begin, fece l’annuncio ufficiale della costruzione (a spese dei contribuenti, nella stragrande maggioranza non ebrei) di un grandioso museo-memoriale». (6)
Poi ci sono le richieste di «restituzione» dei presunti depositi bancari svizzeri, le continue richieste di indennizzo da parte dei sempre più numerosi «sopravvissuti» (hanno sinora fatto domanda oltre 2 milioni di persone), le «pressanti» richieste di finanziamento, le parcelle degli studi legali che si occupano dei singoli casi, ecc. per un business di centinaia di migliaia di miliardi e che continua ad ingrossarsi a vista d’occhio. Finkelstein cita numerosi esempi eclatanti, dei quali ne citiamo, a titolo esplicativo, solo qualcuno: – Le parcelle (30 miliardi di lire italiane) degli avvocati che si sono occupati degli interessi ebraici nei confronti delle banche svizzere (8 miliardi solo per l’avvocato Edward Fagan).
Marvin Hier, assieme a moglie e figlio, percepisce un onorario di oltre un miliardo all’anno per dirigere il Centro Wiesenthal.
Un’ebrea americana è riuscita ad ottenere un risarcimento come «sopravvissuta», grazie alle buoni intercessioni delle organizzazioni ebraiche, nonostante il fatto di essere nata e sempre vissuta negli Stati Uniti.
In un analogo caso, un ebreo vissuto per tutta la durata della seconda guerra mondiale a Tel Aviv si è giustificato, per la riscossione dell’indennizzo, ricordando che sua nonna era morta ad Auschwitz. Come sempre, quando si tratta di denaro, sorgono anche diatribe per la spartizione della torta.
«I sopravvissuti chiedono, riferisce Finkelstein, che quel denaro vada direttamente a loro. Le organizzazioni ebraiche, in particolare il World Jewish Congress e il Centro Wiesenthal, desiderano invece essere partecipi della suddivisione e insistono perché quasi la metà dei soldi svizzeri sia destinata a iniziative di informazione sull’Olocausto». (7)
E più gli interessi si gonfiano, più le dispute si allargano. Sull’International Herald Tribune del 5 marzo 2001, a firma Roger Cohen, è comparso un articolo intitolato Israele accetta la Germania quale suo amico e alleatoQueste strette relazioni fanno soffrire gli ebrei americani. Nel testo si legge che, a seguito dei cinquantennali versamenti «riparatori» effettuati dalla Germania a Israele (parte in denaro e parte in macchinari e investimenti industriali), si sono create molte e ghiotte occasioni di scambio commerciale e turistico cui lo Stato ebraico non desidera assolutamente rinunciare.
Le continue azioni intraprese dall’«Industria dell’Olocausto», che ha soprattutto sede negli Stati Uniti, contro la repubblica tedesca non sono quindi condivise dagli ebrei che operano in Palestina. Viceversa negli USA si è infastiditi dalle buone ralazioni israelo-tedesche e si preferisce continuare a considerare la Germania una nazione da demonizzare e così continuare nel business derivante dal ricatto olocaustico. E negli Stati Uniti gli ebrei sono la comunità più ricca ed influente, nonostante il fatto che costituiscano, ufficialmente, solo il 2% della popolazione americana.
Il reddito pro-capite degli ebrei americani, è ancora Finkelstein a ricordarcelo nel suo libro, è quasi il doppio di quello dei non ebrei. Sedici dei quaranta americani più ricchi sono ebrei. Il 40% dei premi Nobel americani per la scienza e l’economia sono ebrei. Il 20% dei docenti americani sono ebrei.
Il 40% dei più importanti avvocati di New York e Washington sono ebrei. Finkelstein si preoccupa infine – e ciò rappresenta la sostanziale conclusione del libro – delle conseguenze, a medio e lungo termine, che l’industria dell’Olocausto porterà agli ebrei che vivono in Europa. Egli paventa il ritorno di un diffuso antisemitismo.Finkelstein giudica
«assurda la tesi secondo cui l’antisemitismo prescinderebbe dalle azioni e dai comportamenti degli ebrei e sarebbe invece una forma di patologia mentale dei non ebrei che in modo irrazionale non accetterebbero l’esistenza stessa degli ebrei».
L’antisemitismo è invece una risposta al comportamento e all’operato degli ebrei.
«E qualsiasi tentativo di spiegare l’antisemitismo collegandolo alle azioni degli ebrei che possono averlo suscitato viene esso stesso classificato come antisemitismo!».
È per questo, secondo Finkelstein, che la speculazione olocaustica alla lunga è destinata a dimostrarsi un boomerang: anziché portare duraturi vantaggi alle comunità ebraiche sarà foriera di stizzite e comprensibili reazioni da parte di quei popoli che maggiormente saranno stati vittime dell’industria dell’Olocausto.
Mario Consoli
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