DALLA BANDIERA ROSSA ALLA CAMICIA NERA



Nicola Bombacci – L’ultimo comizio a Genova nel Marzo 1945

Mario Bozzi Sentieri

Capire il biennio di sangue e di fuoco 1943-1945, comprenderne a fondo le vicende e le valenze, come si è tentato di fare in occasione del sessantesimo anniversario dell’8 settembre, vuole anche dire confrontarsi con alcune figure emblematiche di una Storia a cui male si adattano i vecchi schematismi interpretativi o peggio le assolutizzazioni ideologiche.
Come ha scritto recentemente Aldo Cazzullo, (“8 Settembre 1943 – Una nazione al bivio”, “La Stampa”, 3/9/2003), “..a Salò l’Ancien Régime fascista non c’è. Dei ventinove membri del Gran Consiglio, solo due – Buffarini Guidi e Farinacci – aderiscono alla Repubblica sociale. Dei due superstiti quadrumviri della marcia su Roma, uno, De Bono, è fucilato a Verona, l’altro De Vecchi, si proclama ‘fedele fino all’ultimo respiro al mio Re’. Degli ex segretari del partito e degli ex comandanti della milizia nessuno segue il Duce nella sua ultima prova”. Chi va a Salò allora?
Molti giovani, intanto. Ai balilla che “andarono a Salò”, Carlo Mazzantini ha dedicato un bel libro autobiografico. Ma insieme agli ex balilla, ci sono anche molte figure emblematiche – come ha ricordato lo stesso Cazzullo. C’è Pavolini, l’intellettuale raffinato che diventa l’anima radicale dell’ultimo fascismo. Ci sono poeti alla Marinetti e tecnocrati come Pisenti e Romano. C’è l’aristocratico Principe Borghese ed il filosofo crociano Edmondo Cione. E c’è Nicola Bombacci, tra i fondatori, nel 1921, del Partito Comunista d’Italia. A Salò Bombacci diventa l’ispiratore dell’azione sociale del nuovo fascismo repubblicano, della sua estrema testimonianza rivoluzionaria. E’ il marzo 1945: l’Europa è nel penultimo mese di guerra. Ad ovest, il 7 gli americani passano il Reno a Remagen. Ad Est crolla il “Muro di Pomerania”. Il 6 i sovietici prendono Kamm, verso la foce dell’Oder. In Italia si intensificano gli attacchi aerei su tutto il territorio della Rsi, mentre gli alleati tentano la penetrazione a sud di Bologna. In questo “clima”, che fa presagire l’imminente sconfitta militare, il fascismo repubblicano tenta di seminare, nella Valle Padana, le sue “mine sociali”: “Mussolini – scriverà Ermanno Amicucci (I 600 giorni di Mussolini, Roma, 1948) – voleva che gli anglo-americani e i monarchici trovassero il nord d’Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai difendessero, nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste socialiste raggiunte con la Rsi”. Il 22 Marzo 1945 il Consiglio dei ministri decide che si proceda entro il 21 Aprile alla socializzazione delle imprese con almeno cento dipendenti ed un milione di capitale. Il mito rivoluzionario del “potere ai lavoratori” diventa realtà. Non ci si limita però all’azione legislativa. All’interno degli spazi offerti da una situazione oggettivamente di emergenza e con i tedeschi preoccupati – come riferisce l’Ambasciatore Filippo Anfuso – a ritardare l’applicazione della legge “in considerazione dell’atteggiamento soprattutto inglese, che è volto a serrare le fila conservatrici in Europa contro i russi”, viene accentuata l’azione propagandistica. Nicola Bombacci ne è il principale fautore ed artefice, colui che spezza “il pane della socializzazione” fra gli operai, direttamente nelle fabbriche. Egli non è un “teorico”, anche se viene riconosciuta la sua influenza nella stesura delle leggi socializzatici, che trasformano i lavoratori da semplici dipendenti a compartecipi della propria azienda. I suoi scritti, a cominciare da quelli pubblicati sulla rivista “La Verità”, da lui diretta, hanno il taglio dell’immediatezza e della polemica. Le folle affascinate Bombacci è piuttosto un tribuno, un tribuno secondo la migliore tradizione del socialismo italiano, capace, per conquistare con la ragione dei suoi argomenti, di toccare le corde del sentimento; di affascinare le folle, con la sua persona eretta, il volto incorniciato dalla tradizionale barbetta, il suo “apostolico” e carismatico entusiasmo.
Nel Dicembre 1944 egli parla a Verona, al Teatro Nuovo, e visita la Mondadori, già socializzata, traendone sorpresa ed emozione, come scrive in una lettera a Mussolini: “Ho parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione. Mi hanno detto che gli utili di questi primi 6 mesi sono di circa 3 milioni”. Tra la fine del ’44 ed i primi mesi dell’anno seguente Bombacci parla a Como, Busto Arsizio, Pavia, Venezia, Brescia, privilegiando sempre il contatto con il mondo del lavoro. A Marzo parla a Genova, durante una visita di cinque giorni, che assume un valore simbolico, sia per la città in cui avviene, culla del socialismo italiano (ma anche del “secondo fascio d’Italia”, fondato, nel 1919, a Sampierdarena, da un gruppo di operai di ispirazione sindacal-rivoluzionaria), sia perché vi pronuncia il suo ultimo comizio, ad appena un mese dai terribili giorni dell’aprile 1945. L’11 Marzo Bombacci parla al Teatro Universale, di fronte alle commissioni interne degli stabilimenti industriali. Parla da “socialista” (“perché il socialismo non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini, che è socialista, anche se per vent’anni, per ragioni di politica, è stato ostacolato dalla borghesia capitalistica, dalla quale è stato poi tradito”), ma anche da anticomunista (“il bolscevismo inganna il popolo. Stalin per primo si è venduto alla borghesia capitalistica. Egli è la continuazione della politica imperialista di Pietro il Grande. In fatto di progresso l’Urss è, sotto tutti i punti di vista, l’ultima nazione civile”). La polemica evidentemente non è casuale. C’è la coscienza, in Bombacci, come in tutti gli ambienti “socializzatori” della Rsi, che le giuste istanze del mondo del lavoro si possano, di lì a poco, trasformare in uno strumento dell’imperialismo sovietico, finendo così per essere sterilizzate: “Quali sono stati i programmi di Stalin a favore del proletariato internazionale? Quando tentò l’alleanza con Hitler sapete cosa chiese? Soltanto un vastissimo raggio d’influenza in Europa e si guardò bene dall’enunciare qualche programma in favore del proletariato. Egli manifestava la sua sete imperialistica e senza alcun impegno verso i lavoratori”. L’invito agli operai è di “farsi avanti” con le proprie organizzazioni, di partecipare attivamente alla costruzione della Repubblica Sociale: “L’impero del lavoro, il primo che sorgerà in Europa, sarà quello di Roma, che dettò ed insegnò leggi ai popoli”. Discorso agli operai Il 12 Marzo Bombacci tiene una riunione, alla Casa del Balilla, in Via Cesarea, ad una rappresentanza di lavoratori del credito, delle assicurazioni e dei marittimi, a cui espone le ultime realizzazioni della socializzazione. Decisamente più significativa l’assemblea, tenuta il 13, allo stabilimento dell’Ansaldo, di fronte ad un migliaio di operai. La fabbrica è, nel ponente genovese, una delle più importanti dal punto di vista produttivo, ma è anche tra quelle politicamente inquiete. Bombacci parla di conquiste operaie; confronta le condizioni del lavoro italiano con quelle degli altri Paesi; denuncia le mire espansionistiche ed i ritardi nello sviluppo dell’Urss; invita i lavoratori a dare il loro contributo alla Repubblica Sociale, perché soltanto ricacciando lo straniero e riacquistando l’integrità territoriale sarà possibile attuare appieno la socializzazione; ma soprattutto si “confessa”: “Fratelli di fede e di lotta – dice – guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa. Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica sociale italiana è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai”. Il 14 Marzo, nella centrale Piazza De Ferrari, Bombacci conclude la sua “visita” genovese e pronuncia anche il suo ultimo discorso pubblico. La piazza è colma. Si parla di trentamila persone. Oltre ad alcuni reparti dell’esercito e alla folla dei curiosi, forte è la rappresentanza operaia. L’oratoria è sempre sanguigna, anche se i temi trattati sono di più vasto interesse politico e militare: la socializzazione, dunque, le condizioni del lavoro, ma anche le impellenti necessità militari, la riconquista dell’integrità territoriale violata: “Non voglio affermare con questo che tutti gli operai devono oggi imbracciare un fucile e correre in trincea. Basterà che ognuno compia il suo dovere al suo posto di responsabilità, conscio dei doveri imposti dalla dura ora che la Patria vive; è soltanto una stretta collaborazione, che deve oggi unire tutti gli italiani che desiderano raggiungere le mete prefisse”. Si suggella, in quell’ultimo discorso, in quell’ultimo incontro popolare prima delle bufera civile, una parabola; “l’apostolo della socializzazione”, come già, trent’anni prima, per Filippo Corridoni, “l’Arcangelo sindacalista” dell’interventismo rivoluzionario: dalla classe alla Patria, dall’azione sociale all’unità del destino nazionale. Aveva scritto, nel 1937, su “La Verità”: “Io sono arrivato al socialismo non nel 191- 8-19, ma nel 1900, non per calcolo né per cultura scientifica, ma per sentimento. (E’ la colpa che mi hanno sempre rimproverato i professori del cosiddetto socialismo scientifico)”. Per fede e per un più alto e compiuto sentimento di giustizia sociale si troverà il 28 Aprile 1945, poco più di un mese dopo il suo ultimo discorso genovese, sul lungolago di Dongo, di fronte al plotone di esecuzione partigiano, con Mezzasoma, Pavolini, Barracu e tanti altri esponenti del fascismo repubblicano: il suo ultimo grido, cadendo sotto la scarica mortale, sarà: “Viva il Socialismo!”.

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NICOLINO BOMBACCI


NICOLINO BOMBACCI
(1879-1945)
Come poter cominciare una storia su Nicola Bombacci, come poter introdurre e spiegare in un breve articolo la vita così intensa ed appassionata del più anomalo stretto collaboratore di Mussolini durante quei giorni goliardici della RSI?

Pochi di voi avranno mai sentito nominare il suo nome, nessuno, fuori dalla destra sociale ha la benché minima idea di chi sia questo personaggio. La risposta è che sono state gettate su di lui non solo le poche spanne di terra con le quali venne ricoperto il suo corpo straziato dopo l’infamia di Piazzale Loreto, ma egli fu condannato alla Damnatio memoriae da parte di tutto il mondo comunista e della sinistra in generale, in quanto egli è estremamente imbarazzante per quel mondo, e non solo. La sua figura e la sua storia sono la prova lampante che l’unico socialismo mai realizzato in Italia porti la firma di Benito Mussolini.

Quando gli uomini del così chiamato “Colonnello Valerio” consegnarono alla stampa l’elenco dei morti esposti a Piazzale Loreto, nell’ultima riga spuntava il nome del più sconosciuto fra i poveri corpi che subirono quello strazio, ossia Nicola Bombacci- SUPERTRADITORE.
Cosa poteva aver mai fatto per meritarsi tale titolo, per meritarsi il silenzio, l’oblio del mondo politico tutto?

Nicola Bombacci era nato il 29 Ottobre 1879 a Civitella di Romagna, vicinissimo a Predappio, da una famiglia di coltivatori molto legati alla dottrina cattolica. Nicola crebbe in un ambiente perciò molto religioso, frequentò la scuola della parrocchia , e nel 1895, andò in seminario. Lasciò quella scuola nel 1900 e non rinnegò mai, nel suo cuore, gli insegnamenti cristiani di carità ai poveri e di servire gli oppressi, anche quando, da leader social-comunista faceva il mangiapreti e sfidava apertamente Dio e la chiesa. Nel 1903, ancora studente, si iscrisse al partito socialista, e diventò un convinto attivista , la sua abile retorica e la sua foga gli fecero strada nel campo politico aprendogli le strade per le più alte cariche di partito. Da notare sono le coincidenze che uniscono in modo così stretto Mussolini e Bombacci, così diversi, ma molto simili. Entrambi romagnoli, entrambi socialisti, entrambi maestri elementari, l’uno fondatore del partito fascista, l’altro del partito comunista, l’uno donnaiolo, l’altro monogamo, l’uno rissoso e cercaguai, l’altro timido e diplomatico. Due nemici amici, che, anche nei giorni dello squadrismo e durante il ventennio non smisero mai di provare profonda simpatia l’uno per l’altro. E durante i giorni della RSI tornarono assieme, come ai vecchi tempi, in nome di una socializzazione che si sarebbe potuta realizzare solo ora, solo ora che il fascismo si era depurato dalle plutocrazie monarchiche e borghesi che avevano cercato di sopprimere i grandi ideali sansepolcristi del ’19.
Come abbiamo già detto Nicola Bombacci divenne una vera personalità nel mondo socialista romagnolo ed emiliano in seguito , fu a capo della sezione di Modena del partito socialista negli anni 1914-1915. Divenne rappresentante della corrente rivoluzionaria del PSI , che si opponeva ai moderati guidati da Turati , appoggiò le rivolte dei braccianti contro i mezzadri e, dopo la rivoluzione russa, come guida della delegazione italiana in unione sovietica in occasione dell’Internazionale, come membro del Comintern, e conoscente personale di Lenin, divenne l’”UOMO DI MOSCA”, il fidato fiduciario della Russia bolscevica in Italia. Nel 1921 assieme a Gramsci, fu fautore della scissione dal PSI da cui nacque in PC D’I, Partito Comunista d’Italia. Ma ormai, la fiducia di Mosca nei suoi confronti cominciò a diminuire, la sua influenza nel mondo politico italiano a spegnersi. Lenin stesso gli rimproverò : ”In Italia c’era un solo uomo capace di compiere la rivoluzione, Mussolini, e voi ve lo siete lasciati scappare”. Bombacci si rese conto ben presto che il partito comunista era una cloaca di intellettuali e filosofi che nulla sarebbero stati capaci di compiere.
Egli era il nemico numero uno degli squadristi del ‘20 e ’21, uno stornello dell’epoca diceva “ Me ne frego di Bombacci e del sol dell’avvenir, con la barba di Bombacci faremo spazzolini, per lucidar le scarpe a Benito Mussolini”; con forte derisione della lunga barba biondo scuro che teneva Nicola Bombacci.
Nicola era un comunista anomalo, e la sua rottura morale con il partito la si ebbe nel suo discorso al parlamento del 30 Novembre 1923, giorno in cui si discusse l’apertura dei commerci italiani con l’URSS. Bombacci parlò a nome della Russia in favore di questo patto, fece un discorso pieno di patriottismo verso l’Italia e parlò persino di “Unire le due rivoluzioni, quella bolscevica e quella fascista, entrambe antiborghesi, per una comune lotta contro le plutocrazie capitaliste”. Alla fine del suo discorso il deputato fascista Giunta gridò : ”Onorevole Bombacci, c’è una tessera fascista pronta per lei”.
Ciò che allontanò definitivamente Bombacci dal comunismo filosovietico, fu la svolta stalinista presa dopo i funerali di Lenin, a cui egli stesso partecipò. Dopo l’allontanamento dal comunismo anche in Italia, cadde in miseria. Era povero, realmente, era comunista, tenuto d’occhio dalle autorità, come “Elemento sovversivo”. Si sa che Mussolini intervenne sempre, in segreto, affinché non gli venisse torto un capello, durante gli anni dal 24 al 42. Anzi, nel 1930 si sa che Bombacci scrisse una lettera al Duce in cui gli spiegava la sua miseria. Mussolini gli procurò il lavoro, come responsabile dell’importazione di prodotti agricoli e del grano dalla Russia, risollevando le sue condizioni economiche. Nel 1936 gli permise persino di pubblicare una rivista, la “Verità”, di stampo chiaramente comunista, che ebbe un alto successo. Questo per coloro che vanno predicando la “Terribile persecuzione contro la libertà di stampa perpetuata dai fascisti”. Nicola Bombacci si avvicinò sempre di più al fascismo anche se non arrivò mai a definirsi tale.
L’8 Settembre 1943 Bombacci era a Roma e visse le tribolazioni nell’ombra, scrutando gli avvenimenti con attenzione. Quando sentì Il suo amico Mussolini parlare di “Repubblica SOCIALE italiana “ ebbe un moto nell’animo che lo spinse al nord, vicino al suo amico, nella ricerca di quella repubblica socialista che aveva tanto sognato.L’ arrivo di Bombacci come collaboratore giunse a Mussolini come una pioggia fresca dopo mesi passati nel deserto.
Passavano serate assieme passeggiando sulle rive del lago, Bombacci girava per le città parlando ai lavoratori, infiammando le piazze, chiamandoli con una parola che era stata tabù per vent’anni ”Cari compagni, a cui aggiungeva un Cari camerati”. I lavoratori lo amavano, anche se sia lui che loro sapevano che ormai era troppo tardi. Catturava la simpatia dei fascisti salendo sul palco fischiettando “Me ne frego di Bombaci e del sol dell’avvenir” : “Eccomi quà”.
Nicola Bombacci fu il fautore, assieme a Mussolini e a Angelo Tarchi, della legge sulla socializzazione , approvata il 12 Febbraio 1944. Questa legge rivoluzionava l’intero sistema borghese dell’epoca. Conteneva norme sulla statalizzazione di molte grandi aziende, norme sulla nomina del sindacato, l’assegnazione degli utili ai lavoratori ecc. Ai tedeschi questa norma non piacque affatto, ma al momento avevano altro a cui pensare. I fronti stavano retrocedendo pericolosamente verso i confini della Germania, e poi vi era il problema della deportazione degli ebrei, enormemente frenata in Italia grazie alla RSI.
Si sa che la massa ormai era arrabbiata con i fascisti. Gli operai ormai erano già stati indottrinati da un anno dai membri del CLN, e purchè applaudissero Bombacci, quando votavano alle urne per eleggere i rappresentanti del consiglio di gestione aziendale, venivano eletti Greta Garbo o Henry Ford.
Si giunse infine al fatidico Aprile 1945. Verso sera, nel cortile della prefettura di Milano vi è un gran fuggi fuggi. Uomini si tolgono le divise e si vestono in borghese, molti documenti vengono bruciati.
La macchina con Mussolini era già pronta, Nicola voleva seguirlo fino in fondo. Il piano era di raggiungere Como, e poi la Svizzera o il Brennero. Probabilmente anche loro sapevano che non sarebbe stato possibile. Nicola Bombacci salutò con cordialità e con il suo solito umorismo romagnolo Vittorio Mussolini, e gli altri, mostrando una serenità che, in quella situazione, dava coraggio.
La presenza di Mussolini e Bombacci nella colonna tedesca fu poi scoperta a Dongo grazie al tradimento dei crucchi che rivelarono tutto in cambio della possibilità di proseguire il viaggio verso casa. Oltre a Bombacci e Mussolini furono arrestati Barracu, Zerbino, Pavolini, Casalinovo, Utimpergher e altri. Pavolini sapeva di non avere speranze di vita. Egli era il capo delle brigate nere, il corpo che più duramente contrastò la guerriglia partigiana e che inflisse le più dure perdite alle brigate Garibaldi. Gli altri fra cui Bombacci, avevano speranza di vita, in fondo non avevano fatto nulla in particolare. Eppure la sentenza di morte arrivò indiscriminatamente per tutti.
Furono fucilati a Dongo, sul lungolago. Anche prima della fucilazione, Bombacci continuò a fare battute di spirito, e quando le decine di colpi di mitra gli vennero scaricate addosso, prima di morire gridò “Viva Mussolini, viva il socialismo”.
Questa fu la vita del supertraditore. Quest’ uomo rappresenta per tutta la destra sociale e proletaria quella terza via che a lungo siamo andati cercando, e che potremmo trovare, forse, guardando con occhi sinceri e cuore onesto la vita di quel maestro elementare romagnolo la cui esistenza ed esecuzione sono prove lampanti che si può uscire dagli schemi, che esiste un’altra strada, fra il marxismo, il liberalismo e le varie dottrine affariste del centro. Basta porsi con fede di fronte ai sentimenti del proprio cuore, per vederla, e per cercare di inseguirla. Lui ha pagato con la morte questa scelta, facciamo in modo che il suo sacrificio non sia stato vano.

Enrico Danelli, Modena
Quei tre fascisti di sinistra nella Repubblica di Salò
a cura di Eugenio Arcidiacono

La discesa dei tedeschi in Italia dopo l’annuncio del maresciallo Badoglio dell’armistizio firmato con gli Alleati (8 settembre 1943), mise in fuga, oltre al Re, anche molti italiani che dopo la caduta di Mussolini si erano schierati apertamente contro il fascismo. Uomini politici, militari, docenti universitari, giornalisti, cercarono rifugio in Svizzera, in Francia, o salirono sulle montagne per iniziare la lotta partigiana.
Qualcuno però fece anche il percorso inverso: l’ambizione e il desiderio di riscatto dopo una capitolazione della Patria vissuta come un infamante tradimento, spinsero tre uomini che prima di allora non si erano di certo distinti per la loro fedeltà al fascismo, a rischiare la propria vita per servire il Duce e la sua Repubblica Sociale. Carlo Silvestri, Concetto Pettinato, Edmondo Cione. Due giornalisti e un filosofo: sembrerà impossibile, ma questi “fascisti di sinistra” furono tra i consiglieri più ascoltati da Mussolini nei lunghi mesi della Rsi che segnarono il crepuscolo del fascismo.