Un sistema monetario basato sul debito L’isola dei naufraghi


di Louis Even

1. SUPERSTITI DI UN NAUFRAGIO
Un’esplosione aveva fatto affondare una nave. Ognuno cercava di salvarsi come poteva. Cinque uomini si trovarono accalcati su una zattera trasportati dalle onde verso il loro destino; non è dato conoscere la sorte degli altri uomini della nave affondata.
I loro occhi scrutano ininterrottamente l’orizzonte. Una nave li potrà avvistare?
La loro zattera li potrà condurre verso la salvezza?
All’improvviso un naufrago lancia un grido: “terra! terra! Là, nel senso dove le onde ci stanno trasportando!”
E poiché la sagoma che si andava delineando si era rivelata essere proprio la terra, i naufraghi ballarono con gioia sulla zattera.
Erano cinque, cinque canadesi.
C’era Frank, un carpentiere, grande ed energico; lui per primo gridò, “terra!”.
C’era Paul, un coltivatore; potete vederlo inginocchiato con la mano destra sul tavolato e l’altra che afferra l’albero della zattera. C’era Jim, un allevatore; è quello con i pantaloni a strisce, inginocchiato, rivolto nel senso di terra.
C’era Harry, un agricoltore, piccolo, un po’ robusto, seduto su una cassa salvata dal naufragio.
Ed infine Tom, un tecnico minerario; è il naufrago che si trova in piedi con la mano sulla spalla del carpentiere.

2. UN’ISOLA PROVVIDENZIALE
Per i nostri cinque uomini, mettere piede sulla terra era come ritornare alla vita, dalla tomba. Si trattava di una piccola isola, lontana dalla civiltà
Una volta asciugati e scaldati il loro primo impulso fu di esplorarla.
Un’indagine rapida fu sufficiente per sollevare il loro spirito. L’isola non era una roccia sterile. Veramente erano gli unici uomini su di essa al momento. Ma giudicando dalle greggi degli animali semi domestici
che incontrarono, là dovevano esserci stati altri uomini in passato. Jim, l’allevatore, era sicuro che avrebbe potuto addomesticarli completamente e metterli al loro servizio.
Paul rilevò che il terreno dell’isola, per la maggior parte, era abbastanza adatto alla coltivazione.
Harry scoprì alcuni alberi da frutto che, se lavorati correttamente, potevano dare buoni raccolte.
Erano presenti grandi quantità di legname con molti tipi di legno. Frank, senza troppa difficoltà, avrebbe potuto costruire le case per la piccola Comunità.
Così Tom, il tecnico minerario, trovò nelle formazioni rocciose dell’isola i segni di ricchi giacimenti minerari, con i quali, grazie alla sua ingegnosità ed iniziativa, avrebbe potuto ottenere i metalli per costruire gli attrezzi da lavoro.
Così ciascuno poteva servire la collettività con il suo speciale talento.
Tutti furono d’accordo a denominare quella terra “Isola della Salvezza”. Tutti ringraziarono la Provvidenza per la felice conclusione della loro avventura, che avrebbe potuto concludersi anche in maniera molto tragica.

3 -VERA ABBONDANZA
Qui vediamo gli uomini al lavoro.
Il carpentiere costruisce le case e fa la mobilia. Inizialmente trovano il loro alimento dalla vegetazione spontanea. Ma presto i campi saranno lavorati e seminati ed il coltivatore avrà abbondanti raccolti.
Stagione dopo stagione questa isola, l’Isola della Salvezza, con il lavoro dei cinque uomini, divenne ricchissima di ogni bene necessario alla vita.
La ricchezza non era quella relativa all’oro o alle banconote di carta, ma di un valore essenziale; una ricchezza di alimenti, vestiti, abitazioni, spiritualità; di tutte quelle cose necessarie per soddisfare le vere esigenze umane.
Ognuno curava anche i sui affari. Lo scambio delle rispettive eccedenze consentì a tutti di beneficiare di tutti i prodotti del lavoro della piccola comunità, senza far mancare nulla ad alcuno.
La vita non era proprio articolata e complessa come potevano desiderare che fosse; difettavano di molte delle cose a cui erano abituati nella “civiltà”. Ma non potevano certo lamentarsi di come si erano organizzati e di ciò che avevano trovato. Prima di partire avevano saputo della grave depressione economica che aveva colpito il Canada, dove c’erano le persone con le pance vuote e parallelamente i grandi magazzini tracimavano di alimenti che solo pochi fortunati potevano acquistare.
Almeno, sull’Isola della Salvezza, non erano costretti a vedere i prodotti alimentari andare in putrefazione. Le tasse erano sconosciute qui; non vivevano nel timore costante dell’arrivo dell’esattore.
Lavorarono duro ma almeno potevano godersi il frutto del loro lavoro.
Così svilupparono l’isola, ringraziando il Buon Dio e sperando sempre nella riunione con le loro famiglie, in possesso di vita e di salute, i due doni più grandi.

4. UN SERIO INCONVENIENTE
I nostri uomini si riunivano spesso per trattare i loro affari.
Nel sistema economico semplice che si era sviluppato, una cosa stava cominciando ad infastidirli maggiormente; non avevano nessuna forma di denaro. Il baratto, lo scambio diretto di merci per le merci, aveva relativi svantaggi. I prodotti da scambiare non erano sempre attuali o freschi quando si contrattava. Per esempio, il legno trasportato al coltivatore nell’inverno non poteva essere da lui pagato con le patate
finché, sei mesi più tardi, non maturava il raccolto.
A volte un uomo poteva avere un prodotto di grande valore che non poteva essere però compensato dai prodotti degli altri uomini in quel momento.
Tutto queste complicazioni crearono difficoltà nella vita della comunità. Con un sistema monetario ognuno avrebbe potuto vendere i propri prodotti agli altri per dei soldi. Con questi soldi avrebbe potuto acquistare dagli altri le cose che desiderava, quando le desiderava e quando erano disponibili.
Tutti erano d’accordo che un sistema monetario effettivamente sarebbe stato molto conveniente. Ma nessun di loro sapeva introdurre un tal sistema. Sapevano produrre la ricchezza alimentare e le merci; ma come produrre i soldi? Questa ricchezza era qualcosa di troppo distante dalle loro mentalità. Erano ignari dell’origine dei soldi e, pur avendone bisogno, non sapevano produrli. Certamente molti uomini di cultura sarebbero stati nella stessa situazione; tutti i nostri governi erano in quello stato durante i dieci anni antecedenti la seconda guerra mondiale. L’unica cosa che tutti i paesi difettavano, dal 1929 al 1939,
erano i soldi e quasi tutti i governi non hanno saputo risolvere il problema.

5. L’ARRIVO DI UN NUOVO NAUFRAGO
Una sera, quando i nostri ragazzi erano seduti sulla spiaggia a discutere per la centesima volta del loro problema monetario, videro avvicinandosi una piccola barca a remi con un solo uomo.
Seppero che era un superstite di un naufragio. Il suo nome era Oliver.
Erano contenti di avere un nuovo compagno; gli fecero vedere tutta l’isola, gli diedero il meglio dei loro prodotti e l’ospitalità.
Gli dissero: “Anche se siamo dispersi e tagliati fuori dal resto del mondo, non possiamo lamentarci troppo. La terra e la foresta sono buone con noi. Difettiamo solo di una cosa – pensiamo – i soldi. Essi ci renderebbero più agevoli gli scambi dei nostri prodotti”.
“Bene, potete ringraziare la Provvidenza,” rispose Oliver, “perché sono un banchiere ed in poco tempo potrò realizzarvi un vero sistema monetario. Così avrete tutto ciò che le popolazioni civili hanno”. “Un banchiere!… Un BANCHIERE!…” Un angelo che scende dal cielo non avrebbe potuto ispirare più reverenza e rispetto nei nostri uomini.
Dopotutto, anche noi, che costituiamo la civiltà, non siamo abituati ad inchinarci al cospetto dei banchieri, di quegli uomini che controllano la linfa della finanza?

6. DIO DELLA CIVILTÀ
“Sig. Oliver, come nostro banchiere, la vostra unica occupazione su questa isola sarà di occuparsi dei nostri soldi; nessun lavoro manuale.”
“Come ogni altro banchiere, per soddisfare le vostre esigenze, effettuerò la mia operazione di forgiatura della prosperità della Comunità.”
“Sig. Oliver, costruiremo per lei una casa lussuosa, in armonia con la vostra dignità di banchiere. Nel frattempo vi alloggerete nel fabbricato che usiamo per le attività comunitarie”.
“Soddisferò i vostri desideri, amici miei. Ma in primo luogo, scaricare la barca.
C’è della carta ed un torchio tipografico, completo di inchiostro; c’è inoltre un piccolo barilotto che vi esorto a trattare con la più grande cura”.
Scaricarono tutto. Il piccolo barilotto destò l’intensa curiosità nei nostri uomini.
“Questo barilotto,” annunciò Oliver, “contiene il tesoro di tutti i sogni. È pieno… d’ORO!”
Pieno d’oro! I cinque uomini impazzirono di gioia. Il dio della civiltà era arrivato sull’Isola della Salvezza! Il dio giallo, sempre nascosto, tuttavia terribile per chi non ce l’ha; la sua presenza o assenza o il minimo capriccio potrebbe decidere il destino stesso di tutte le nazioni civilizzate!
“Oro! Sig. Oliver, siete veramente un grande banchiere!”
“Oh, augusta maestà! Oh, onorevole Oliver! Alto sacerdote del grande dio oro!
Accettate il nostro umile omaggio e ricevere i nostri giuramenti di fedeltà!”
“Sì, miei amici, ho oro abbastanza per un continente. Ma l’oro non è fatto per la circolazione. L’oro deve essere nascosto. L’oro è l’anima dei soldi veri e l’anima è sempre invisibile. Ma vi spiegherò tutto quando riceverete il vostro primo finanziamento.”

7. LA SEPOLTURA SEGRETA
Prima che ognuno andasse nella sua dimora per la notte, Oliver rivolse loro un’ultima domanda.
“Quanti soldi vi servono per cominciare ad effettuare agevolmente i vostri commerci?”
Si guardarono l’un l’altro; poi rivolsero lo sguardo rispettosamente il banchiere. Dopo un po’ di calcoli e con il competente consiglio del finanziere, decisero che $200 ciascuno potevano bastare.
Gli uomini si separarono scambiando entusiastiche osservazioni. Nonostante l’ora tarda spesero la maggior parte della notte con le eccitate fantasticherie dell’oro e della ricchezza. Giunse mattina prima che si addormentassero.
Oliver, invece, non sprecò un momento.
L’affaticamento si sarebbe presto dimenticato grazie alle entrate del suo lavoro di banchiere. Dalla prima luce dell’alba scavò un pozzo in cui rotolò il barilotto.Lo riempì e mimetizzò, trapiantando un piccolo arbusto come riferimento. L’oro era stato nascosto adeguatamente!. Allora mise in funzione la sua piccola pressa per stampare mille biglietti della taglia di $1. Guardando le nuove banconote pulite uscire dalla sua pressa, il banchiere naufrago, pensò fra sè:
“Quanto è semplice fare i soldi. Tutto il loro valore viene dai prodotti che permetteranno di acquistare. Senza prodotti queste banconote sarebbero senza valore. I miei cinque ingenui clienti non lo realizzeranno mai. Realmente pensano che questi nuovi soldi derivino il loro valore dall’oro! La loro stessa ignoranza mi renderà il loro padrone.” E, come giunse la, i cinque uomini si trovarono da Oliver a parlare del funzionamento del sistema monetario”

8. Di CHI SONO I NUOVI SOLDI?
Cinque pacchi di nuove banconote erano sul tavolo.
“Prima della distribuzione dei soldi,” disse il banchiere, “gradirei la vostra attenzione. La base di tutti i soldi è l’oro. Ed esso, immagazzinato nel deposito della mia sede, è il MIO ORO. Di conseguenza, i soldi sono i miei. Oh! Non c’è nulla da scoraggiarsi. Lo consegnerò a voi, come potete vedete. Tuttavia, dovrete pagare l’interesse. Considerando che i soldi sono limitati qui, non penso che l’8% sia irragionevole.”
“Oh, è abbastanza ragionevole, sig. Oliver.”
“Un ultimo punto, amici miei. Il commercio è il commercio, anche fra gli amici.
Prima che preleviate i soldi, ciascuno di voi dovrà firmare una carta.
Con essa vi impegnerete a pagare sia l’interesse che il capitale sotto la pena della confisca delle vostre proprietà. Oh! Questa è una pura formalità. La vostra proprietà non è di nessun interesse per me. Sono soddisfatto solo con soldi. E ritengo che sicuramente otterrò i miei soldi e voi manterrete la vostra proprietà.”
“Ne siamo certi anche noi, sig. Oliver. Stiamo già andando a lavorare e lo faremo con la massima determinazione per restituirle i suoi soldi.”
“Questo è lo spirito giusto!. In qualunque momento avrete un problema monetario, venite pure da me. Il vostro banchiere è il vostro migliore amico.
Ora, qui, avete duecento dollari ciascuno.”
I nostri cinque bravi uomini se ne andarono con le mani piene di banconote da un dollaro; le loro teste erano in estasi per poter finalmente possedere dei soldi.

9. UN PROBLEMA NELL’ARITMETICA
E così le banconote del sig. Oliver entrarono in circolazione sull’isola. I commerci, semplificati dai soldi, raddoppiarono. Tutti erano felice. Il danaro era veramente il sangue dell’organismo economico!
Ed il banchiere era sempre accolto con rispetto e con sicuri ringraziamenti.
Ma ora, vediamoli …
Perchè Tom, il tecnico minerario, seduto al tavolo, guarda così pensosamente e calcola così attivamente con carta e matita? Perché Tom, come gli altri, ha firmato un accordo per rimborsare Oliver, in un anno, di $200 più gli interessi $16. Ma Tom ha soltanto alcuni dollari nella sua tasca e la data del pagamento è vicina.
Pensa a lungo al suo problema personale, ma senza successo; non trova una soluzione. Infine ha affrontato lo stesso problema dal punto di vista della piccola Comunità nell’insieme.
“Prendendo in considerazione tutto sull’isola, nel suo insieme, siamo in grado di onorare i nostri obblighi? Oliver ha emesso un totale di $1000. Sta chiedendoci di ridargli $1080. Ma anche se gli portassimo tutte le banconote presenti sull’isola, ancora saremmo mancanti di $80. Nessuno ha emesso gli $80 supplementari. Abbiamo tantissimi prodotti, ma non abbiamo altre banconote da un dollaro. Così Oliver potrà assumere la direzione dell’intera isola poiché tutti gli abitanti insieme non potranno restituirgli l’importo totale del capitale e degli interessi.
Anche se alcuni, senza alcun pensiero per gli altri, potessero onorare l’impegno, gli altri non potrebbero farlo. E prima o poi tutti cadranno nell’insolvenza. Il banchiere avrà comunque tutto. È indispensabile effettuare subito una riunione e decidere che fare a questo proposito.”
Tom con le sue banconote in mano, non ebbe difficoltà nel dimostrare la situazione. Tutti erano d’accordo nel credere che il banchiere si sarebbe reso disponibile per risolvere il problema. Decisero di chiedere
una riunione a Oliver.

10.IL BENEVOLO BANCHIERE
Oliver indovinò subito che cosa passava nelle loro menti ed mostrò la sua parte migliore. Ascoltò attentamente Frank che spiegava impetuosamente il problema che assillava il gruppo.
Come potremo pagarvi $1080 quando ci sono soltanto $1000 sull’intera isola?”
“La differenza sono gli interessi, amici miei. Non avete aumentato la vostra produzione?”
“Sicuro, ma gli $80 relativi agli interessi nessuno li ha. E sono i soldi che state chiedendo, non i nostri prodotti. Siete l’unico che può fare i soldi. Avete stampato soltanto $1000 ma ne chiedete $1080. Ciò è impossibile!”
“Ora ascoltatemi, amici. I banchieri, per il bene supremo della Comunità, si adattano sempre alle esigenze dei tempi. Vi chiederò soltanto gli interessi.
Soltanto $80. Continuerete a tenere il capitale.
“Siate benedetto, sig. Oliver! Ci state annullando i $200 ciascuno che vi dobbiamo?” “Oh no! Sono spiacente; un banchiere non annulla mai un debito. Mi dovete ancora tutti i soldi che avete preso in prestito. Ma mi pagherete, ogni anno, soltanto gli interessi. Se mi rimborserete puntualmente ogni anno degli interessi non vi solleciterò la restituzione del capitale. Forse potrà succedere che alcuni non potranno rimborsare neppure gli interessi a causa dell’andamento degli affari fra voi. Bene, bisogna che vi organizziate come una
nazione, realizzando un sistema dei contributi, che chiameremo tasse.Coloro che avranno più soldi saranno tassati più; i poveri pagheranno di meno. Farete un sistema di soccorso sociale. Assicuratevi che complessivamente possiate pagare gli interessi che mi dovete ed io sarà soddisfatto. E la vostra piccola nazione prospererà.” Così i nostri ragazzi se ne sono andati, piuttosto tranquillizzati, ma ancora con
qualche dubbio.

11. OLIVER ESULTA
Oliver è solo. Riflette profondamente. I suoi pensieri funzionano così: “Gli affari vanno bene. Questi ragazzi sono bravi operai, ma stupidi. La loro ignoranza e la loro ingenuità sono la mia forza. Chiedono soldi e do loro le catene della schiavitù. Mi danno le orchidee ed alleggerisco legalmente le loro tasche.”
“Potrebbero ribellarsi e gettarmi in mare!? Ma non credo! Ho le loro firme.
Sono gente onesta; sono lavoratori! Sono stati messi in questo mondo per servire i finanzieri.”
“Oh grande Mammona! Ritengo che il vostro genio delle operazioni bancarie scorra attraverso la mia persona! Oh, illustre maestro!
Quanta ragione avevate quando avete detto: “datemi il controllo dei soldi della nazione e non mi importerà di chi emana le leggi.”
Sono il padrone dell’Isola della Salvezza perché controllo i soldi dell’intera isola.” “Le mia anima è assetata di fanatismo ed ambizione. Potrei governare l’universo. Perché io, Oliver, sono capitato qui? Il mio posto era il mondo. Oh! se soltanto potessi andarmene da questa isola! So che potrei governare il mondo intero senza nessuno al di sopra di me! “
“Il mio piacere supremo sarebbe quello di inculcare la mia filosofia nelle menti di coloro che governano la società: banchieri, industriali, politici, militari, insegnanti, giornalisti; tutti sarebbero miei servi. Lemasse sono soddisfatte di vivere in schiavitù, quando chi comanda appartiene al partito politico da loro votato.”

12. COSTO DELLA VITA INSOPPORTABILE
Nel frattempo le cose andavano di peggio in peggio sull’Isola della Salvezza. La produzione era elevata, ma gli scambi commerciali erano al minimo. Oliver raccoglieva regolarmente i suoi interessi. Gli altri dovevano pensare a risparmiare i soldi per pagare le rate degli interessi. Quindi, i soldi cominciarono a coagularsi piuttosto che a circolare liberamente. Comparve il fenomeno della rarefazione monetaria.
Coloro che pagavano la maggior parte nelle tasse protestavano contro coloro che pagavano di meno. Aumentavano i prezzi delle loro merci per compensare quelle perdite. I poveri, che pagavano meno tasse,
deploravano l’alto costo della vita e compravano di meno. Il banchiere faceva moniti contro il rischio dell’inflazione e raccomandava di avere fiducia.
Il morale era basso. La gioia di vivere non c’era più. Nessuno si impegnava più con passione al proprio lavoro. Perchè avrebbe dovuto? I prodotti erano venduti a bassissimo costo.Quando si riusciva ad effettuare una vendita, si dovevano pagare le tasse a Oliver. Le cose andavano proprio così, come oggi.
Era una crisi reale. Ed accusavano l’un l’altro di tenere i prezzi troppo alti oppure di non consumare più abbastanza. Un giorno, Harry, seduto nel suo frutteto, pensò attentamente alla situazione nella quale si trovavano. Infine arrivò alla conclusione che questo “progresso”, introdotto dal sistema monetario del banchiere, aveva rovinato tutto sull’isola. Certamente ognuno di loro cinque aveva i suoi difetti; ma il sistema di Oliver sembrava proprio che fosse stato progettato per mettere in evidenza le parti peggiori della natura
umana.
Harry decise di condividere le sue riflessioni con suoi amici per unirsinell’azione. Cominciò con Jim, che non fu duro da convincere. “Non sono un genio”, egli disse, “ma da troppo tempo stiamo soffrendo a causa del sistema monetario di questo banchiere.”
Uno per uno giunsero alla stessa conclusione e si decisero di andare da Oliver per un altro chiarimento.

13. TRATTATIVA CON UN IRREMOVIBILE
Una vera tempesta scoppiò nelle orecchie del banchiere.
“Sull’isola i soldi sono limitati, collega, inoltre ce li portate via in continuazione! Li paghiamo ed ancora li paghiamo, ma ancora vi dobbiamo tanto quanto all’inizio. Lavoriamo solo per lei, ma ugualmente non siamo a posto! Abbiamo la terra la più fine possibile, ma siamo più poveri di prima del giorno del vostro arrivo. Debiti!
Debiti! Abbiamo debiti fino al collo!”
“Oh! ragazzi, siate ragionevoli! I vostri affari stanno crescendo ed è grazie a me. Un buon sistema bancario è il bene migliore del paese. Ma per funzionare al meglio dovete avere fiducia nel banchiere. Venite da
me come da un padre… avete bisogno di più soldi? Molto bene. Il mio barilotto d’oro è sufficiente per molte migliaia di dollari in più.
Vedete, è sufficiente che ipotechiate altre vostre proprietà e saranno disponibili altri mille dollari.” “Così il nostro debito andrebbe a $2000! Dovremmo pagare il doppio di interessi pagare e così per il resto delle nostre vite!”
“Ma le vostra proprietà, grazie al sistema monetario, aumenteranno presto di valore ed io potrò prestarvi ancora più soldi. E non pagherete mai nulla in più degli interessi e del capitale residuo. E potrete trasferire il debito di un anno all’anno successivo.”
“Ed aumenteranno le tasse di anno in anno?”
“Ovviamente. Ma anche i vostri redditi aumenteranno ogni anno.” “Così dunque, più il paese si sviluppa a causa del nostro lavoro, più il debito pubblico aumenta!”
“Naturalmente! Proprio come nel vostro Canada, o in qualunque altra parte del mondo civilizzato. Il grado di civilizzazione del paese è misurato sempre dall’ammontare del debito nei confronti dei banchieri; niente debiti, niente progresso”.

14.IL LUPO DIVORA GLI AGNELLI
“Questo è un sistema monetario sano, sig. Oliver?”
“Signori, tutti i soldi veri sono basati sull’oro e vengono immessi sul mercato attraverso i debiti. Il debito pubblico è una buona cosa. Mantiene gli uomini in competizione fra loro per aumentare la loro ricchezza. Sottomette i governi alla saggezza suprema ed ultima, quella che è incarnata dai banchieri. Come banchiere, sono la torcia della civiltà e del progresso qui sulla vostra piccola isola. Detterò la vostra politica e regolerò il vostro livello di vita.”
“Sig. Oliver, siamo gente semplice e non conosciamo bene il sistema monetario, ma non desideriamo quel genere di civiltà qui. Non prenderemo in prestito un altro centesimo da voi. Soldi veri o non veri, non faremo più nessun tipo di nuova transazione con voi.”
“Signori, sono profondamente rammaricato per questa vostra decisione, assai sconsiderata. Ma se questa è la vostra decisione, ricordatevi che ho le vostre firme. Quindi vi chiedo tutto il rimborso immediato: capitale ed interessi.” “Questo non è impossibile, Signore.
Anche se vi dessimo tutti i soldi presenti sull’isola ancora non saremmo sdebitati con voi.” “Non è un mio problema. Avete o non avete firmato? Sì? Molto bene. In virtù della santità dei contratti stipulati prendo possesso delle vostre proprietà ipotecate al momento della consegna del denaro. Se non intenderete adempiere ai vostri obblighi nei confronti dell’autorità suprema dei soldi allora obbedirete con la forza. Continuerete a sfruttare l’isola, ma nel mio interesse e secondo la mia volontà. Ora, uscire! Avrete domani le mie nuove disposizioni.”

15. CONTROLLO DELLA STAMPA
Oliver sapeva che chiunque ha il controllo dei soldi della nazione, controlla la nazione. Ma sa anche che per avere il controllo completo era necessario mantenere la gente in una condizione di informazione fuorviante e di distrazione dai veri problemi.
Oliver aveva colto le convinzioni politiche dei cinque isolani; due erano conservatori e tre erano democratici; molte cose erano cambiate nelle loro conversazioni serali, particolarmente dopo essere caduti in schiavitù. Fra conservatori e democratici c’era attrito costante.
Occasionalmente, Harry, il più neutro dei cinque, considerando che tutti avevano gli stessi bisogni ed aspirazioni, aveva suggerito la loro unione per esercitare la pressione sull’autorità. Una tal unione, Oliver
non la poteva tollerare; avrebbe comportato la conclusione del suo dominio.
Nessun dittatore, finanziario o altro, potrebbero esistere se la gente fosse unita ed informata correttamente. Di conseguenza, Oliver si impegnò a fomentare, quanto più possibile, la disputa politica fra loro mettendo gli uni contro gli altri. Il banchiere mise la sua pressa al lavoro e fu editore di due giornali settimanali, “il sole” per i democratici e “la stella” per i conservatori. La linea editoriale de “il sole” era: “se non siete più liberi, la colpa è dei conservatori che provocano l’inflazione tenendo troppo alti i prezzi”. Quella de “la stella” era: “la condizione rovinosa del commercio e del debito pubblico è dovuta ai democratici traditori che effettuano baratti al di fuori della rete commerciale ufficiale”. Le due fazioni litigavano fra loro ferocemente, dimenticando che il responsabile vero delle lorodisgrazie, colui che aveva forgiato le loro catene, era il padrone dei soldi, il banchiere Oliver.

16. UN PREZIOSO RELITTO GALLEGGIANTE
Un giorno, Tom, il tecnico minerario, su una piccola spiaggia nascosta dall’erba alta ad un’estremità dell’isola, trovò una lancia di salvataggio; era in buone condizioni ed il suo carico, costituito da una cassa di legno, era intatto.
Aprì la cassa; conteneva dei documenti. Fra di essi c’era un libro dal titolo: “il primo anno di accreditamento sociale”; il primo volume di una pubblicazione di accreditamento sociale dal Canada.
Curioso, Tom si è seduto ed ha cominciato a leggere la documentazione. Il suo interesse si è acceso; la sua faccia si è illuminata.
Questo è giusto!” gridò ad alta voce. “questo è qualcosa che avremmo dovuto sapere molto tempo fa.”
I soldi ottengono il loro valore, non dall’oro, ma dai prodotti che quei soldi consentono di acquistare.
“Semplicemente i soldi dovrebbero essere uno strumento della contabilità, degli accreditamenti che passano da un conto ad un altro secondo gli acquisti e delle vendite. Il totale dei soldi deve essere pari alla somma dei prodotti presenti sul mercato.” “Ogni volta che aumenta la produzione deve aumentare in maniera corrispondente l’ammontare dei soldi. La proprietà dei soldi di nuova emissione deve essere della collettività, perché è della collettività il merito di aver aumentato la produttività. Il progresso è contrassegnato, non dall’aumento nel debito pubblico, ma dall’emissione di un dividendo uguale a ciascun membro della società… Accreditamento Sociale…;
Reddito di cittadinanza…” Tom non riusciva più a contenersi. Si alzòcon il libro in mano e si avviò velocemente dai suoi quattro amici per comunicargli la nuova scoperta.

17. SOLDI – CONTABILITÀ SEMPLICE
Così Tom divenne l’insegnante. Insegnò agli altri quanto aveva imparato da quella pubblicazione sull’accreditamento sociale trasmessa da Dio.
“Questo”,egli disse, “è ciò che potevamo fare senza aspettare un banchiere ed il suo barile di oro o senza sottoscrivere alcun debito.”
“Apro un conto in nome di ciascuno di voi. Nella colonna destra metto gli accreditamenti; in quella di sinistra metto i debiti che vanno sottratti dal vostro conto.
“Ciascuno desidera cominciare con $200? Molto bene. Scriviamo $200 all’accreditamento di ciascuno. Ciascuno immediatamente ha $200.
“Frank compra alcune merci da Paul per $10. Deduco $10 da Frank e gli rimangono $190. Aggiungo $10 a Paul ed ora egli ha $210.
” Paul vende a Jim merci per un ammontare di $8. Deduco da Jim $8 e gliene rimangono $192. Paul ora ha $218. “
“Paul compra il legno da Frank per $15. Deduco $15 da Paul che va a $203.
Aggiungo $15 al conto di Frank e va di nuovo a $205. “
“E così continuiamo; da un conto ad un altro allo stesso modo delle banconote di carta che vanno da una tasca ad un’altra. “
“Se qualcuno ha bisogno dei soldi per espandere la produzione, emettiamo l’importo necessario come proprietà della collettività; una volta che ha venduto i suoi prodotti rimborsa la somma al fondo monetario di accreditamento. Lo stessi per i lavori pubblici; nuove emissioni di danaro di proprietà della collettività.
“Analogamente, ogni conto è aumentato periodicamente proporzionalmente alla ricchezza della collettività, affinché tutti possano trarre beneficio dal progresso reale della società. Questo è il dividendo nazionale. In questo modo i soldi si trasformano in uno strumento di servizio. Così come i beni invecchiano, anche i soldi
devono lentamente perdere di valore in modo che non siano mai presenti troppi soldi a fronte di pochi beni (inflazione), e soprattutto per impedire eccessivi accumuli di potere”

18. LA DISPERAZIONE DEL BANCHIERE
Oliver capì tutto. I membri di questa piccola Comunità si sono trasformati da debitori in creditori sociali. Il giorno seguente, Oliver, il banchiere, ricevette una lettera firmata dai cinque:
“Egregio Signore, senza nessun motivo ci avete immersi nel debito e ci avete sfruttati. Non avremo più bisogno più di operare con il vostro sistema dei soldi. D’ora in poi avremo tutti i soldi a noi necessari senza
bisogno di oro, di debiti o tasse. Stiamo stabilendo, immediatamente, il sistema di accreditamento sociale sull’isola. Il dividendo nazionale sostituirà il debito pubblico. “
“Se insistete sul rimborso, possiamo restituirvi tutti i soldi che ci avete dato.
Ma non un centesimo in più. Inoltre la moneta che vi restituiremo sarà quella che intendiamo noi, che esiste, e non la vostra che non esiste in quanto è troppo rarefatta. Non potete porre nessun ostacolo alla vera legge, presente, grazie a Dio, nel cuore degli uomini di buona volontà.”Oliver precipitò nella disperazione. Il suo impero stava sbriciolandosi. I suoi sogni si frantumarono. Che cosa avrebbe potuto fare? Le discussioni sarebbero state inutili. I cinque ora erano creditori sociali: i soldi e l’accreditamento ora non erano più a loro sconosciuti così come non lo erano a Oliver.
“Oh!”, disse Oliver, “questi uomini hanno scoperto l’accreditamento sociale. La loro dottrina si spargerà molto più rapidamente della mia.
Dovrei elemosinare il loro perdono? divento uno di loro? Io, un finanziere e un banchiere? Mai! Piuttosto, proverò ad andarmene da questa maledetta isola!”

19.LA FRODE SMASCHERATA
Per proteggersi da tutti i futuri eventuali reclami di Oliver, i nostri cinque uomini decisero di farsi firmare dal banchiere un documento che attestasse la restituzione di tutto ciò che possedeva quando arrivò sull’isola.
Si dovette redarre un inventario; la barca, i remi, la piccola pressa ed il famoso barilotto di oro.
Oliver dovette inevitabilmente rivelare dove aveva nascosto l’oro. I nostri ragazzi lo dissoterrarono con meno rispetto del giorno in cui lo scaricarono dalla barca. L’accreditamento sociale gli aveva insegnato a
disprezzare l’oro.
Il tecnico minerario, mentre stava sollevando il barilotto, lo trovò sorprendentemente leggero per essere pieno d’oro. “Se il barilotto fosse pieno d’oro, ” disse agli altri, “doveva essere molto più pesante. “
L’impetuoso Frank non perse un momento; un colpo dell’ascia ed il contenuto del barilotto fu esposto alla loro vista. Oro? Non era oro, né poco né molto!
Solo rocce, normali rocce senza valore! I nostri uomini non potevano essere più sorpresi. “Non dirci che ci hai potuto ingannare in questa maniera!”
“Eravamo così ingenui ed entusiasti da non comprendere la pericolosità del sistema monetario basato sul debito e non sui beni”.”Abbiamo ipotecato tutti i nostri averi per degli impegni formalizzati su alcune libbre di rocce? È un furto costruito dalle bugie!” “Per pensare una cosa così perversa bisogna proprio odiare l’umanità! Quel diavolo di un banchiere!” Furioso, Frank alzò la sua ascia. Ma già il banchiere era scappato nella foresta.

20.ADDIO ALL’ISOLA DELLA SALVEZZA
Dopo l’apertura del barilotto e della rivelazione del suo inganno, nessuno sentì più parlare di Oliver.
Subito dopo, una nave, incrociando fuori del rotta normale di navigazione, notò dei segni di vita sull’isola e gettò l’ancora per mandare una scialuppa a controllare. Così i nostri 5 uomini hanno saputo che la nave era in viaggio per l’America. Potevano prendere con loro solo le cose essenziali da portare in Canada. Soprattutto, si assicurarono di prendere la documentazione economica con il libro “il primo anno di accreditamento sociale” che era stato la loro salvezza dalle mani del finanziere, e che illuminò le loro menti con una luce “divina”.
Tutti e cinque si impegnarono solennemente a diffondere in Canada ed i tutti i luoghi dove fosse presente la civiltà la grande esperienza che avevano vissuto, in modo da non permettere mai più che l’umanità si trovasse schiava del debito. La vera economia è basata sull’accreditamento sociale
Purtroppo siamo ancora nella stessa situazione dei 5 uomini sull’isola, sotto il giogo del banchiere, con l’aggravante che dal 15 agosto 1971 sappiamo tutti ufficialmente che la riserva aurea non esiste più. Quindi siamo ancora più sprovveduti di loro.

Lino Rossi

tratto da:
http://felicitaannozero.altervista.org/index.php?
option=com_content&view=article&id=71&Itemid=73#.UaeF4UDIbgw

VIDEO  SIGNORAGGIO – L’ Isola dei Naufraghi
http://www.dailymotion.com/video/x5hqrv_signoraggio-l-isola-dei-naufraghi_news#.Uagcp0DIbgw

La nascita del Fascismo secondo De Felice

“Il fascismo – scrisse Gobetti – è il legittimo erede della democrazia italiana, eternamente ministeriale e conciliante, paurosa delle libere iniziative popolari, oligarchica, parassitaria e paternalistica.“
Le cause dell’affermazione del fascismo risalgono alla grave crisi politica ed economica successiva alla fine della prima guerra mondiale.

Scrive De Felice:

“Ci pare ne sia eloquente conferma il fatto che se il fascismo nacque subito all’indomani della fine della guerra (nel marzo 1919), esso divenne un fatto politicamente rilevante e assunse le caratteristiche grazie alla quali si affermò e che ne costituirono le peculiarità solo con la fine del 1920, parallelamente al concludersi della prima fase della crisi postbellica (biennio rosso).
Sino a quel momento era stato un fenomeno politico e sociale trascurabile, difficilmente definibile e in ogni caso – nonostante alcuni eloquenti sintomi involutivi – sostanzialmente riconnettibili più al vecchio filone del sovversivismo irregolare che non agli orientamenti prevalenti nella borghesia che aveva fatto la guerra”.
Nel ’biennio rosso’ era in atto una violenta contrapposizione tra il ’proletariato’ e l’alta borghesia. La classe ’borghese’, demograficamente la più numerosa, che stava in mezzo ne traeva tutti i danni e nessun vantaggio.
Il proletariato, che poi era limitato ai soli operai industriali, aveva ottenuto aumenti salariali uguali o superiori all’inflazione. La grande borghesia, d’altra parte aveva tratto ingenti profitti dalla guerra appena conclusa.
La borghesia, invece,era rimasta vittima dell’inflazione, del blocco dei fitti e del caro vita. Per fare qualche cifra, il deficit dello Stato era passato da 214 milioni nel 1913 a 23 miliardi nel 1918, Un grammo d’oro costava 3,50 lire nel 1913 e ben 14 lire nel 1920.

Ma mentre il ’proletariato’ era riuscito a proteggersi con le rivendicazioni salariali, gli artigiani, i piccoli commercianti, gli impiegati, privi di qualsiasi rappresentanza, soffrirono enormemente la crisi economica.
Il fascismo fu l’unico movimento, rispetto agli altri movimenti o regimi autoritari precedenti, a mobilitare le masse mettendole al centro dell’attenzione, offrendo loro la sensazione di avere un rapporto ’diretto’ con il capo e la possibilità di poter concorrere ad una rivoluzione che avrebbe cancellato il vecchio ordine sociale per sostituirlo con uno nuovo.
Il vero punto di forza del Fascismo fu sempre principalmente il sostegno del ceto medio. Sia la grande borghesia, sia la classe operaia si mantennero più distanti e diffidenti.
Nel nascente fascismo certamente fondamentale fu la rivendicazione della Vittoria. Nessuna Nazione al mondo rinnega le sue guerre; tanto meno quelle vinte.
I reduci della Grande Guerra tornando al loro paese trovavano una situazione per loro incomprensibile. La gioventù ’borghese’ che era stata in guerra inquadrata nell’esercito col ruolo di ufficiale, ebbe difficoltà a trovare o ritrovare una sistemazione sociale. La gioventù proletaria non trovò più il suo posto in fabbrica. Abbandonati entrambi sia dalla grande borghesia, sia dal socialismo, dopo un breve periodo di incertezza si scagliarono violentemente contro il socialismo e le sue strutture. Nascono quindi i Fasci di combattimento in cui reduci, piccolo borghesi e rivoluzionari delusi confluiscono con la speranza di una nuova nazione che azzerasse le classi.
Secondo alcuni storici la rivoluzione fascista ebbe tre componenti:

1. Militare, in quanto ebbe l’appoggio di numerosissimi ufficiali e sottufficiali che vedevano nel movimento la valorizzazione dell’esercito nella società. Va ricordato anche che i socialisti non ebbero mai grande solidarietà per questi ’proletari in divisa’. Non seppero comprendere e rispettare lo stato d’animo di chi aveva combattuto in guerra per una Patria, per una bandiera ed ora tornava a casa orgoglioso di aver fatto il proprio dovere. Un contributo ancora più grande venne dai militari smobilitati, sottufficiali e ufficiali di complemento, spesso angariati e, a volte persino assassinati, dai manifestanti socialisti.

2. I ceti medi. I motivi li abbiamo già visti. Einaudi scriveva sul Corriere della Sera: ““ . . . il salario di inserviente del ministero era stato avvicinato allo stipendio del direttore generale , non perché l’inserviente fosse remunerato troppo,ma perché il direttore generale era scaduto in reddito e dignità.”.

3. Una reazione della borghesia contro il bolscevismo. Le sommosse di popolo, le occupazioni di fabbriche, la concezione universalistica che tentava di applicare in Italia quanto era accaduto in Russia, spaventava la borghesia. Vide quindi nel fascismo la difesa che lo Stato, debole e inefficiente, non era in grado di fornire.

Tuttavia la grande borghesia non andò mai oltre e non sposò le cause ideali che rimasero invece prerogativa della società piccolo borghese.
Col crescere del fascismo in chiave anti socialista crebbe considerevolmente anche il numero degli aderenti: se nel 1919 gli iscritti erano solo17.000, nell’ottobre dell’anno dopo erano 100.000 mentre a maggio 1921 il loro numero superava le 150.000 unità.

Ma anche il proletariato cominciò, sia pure in misura più limitata, ad interessarsi al fascismo. Deluso dal socialismo e dalla rivoluzione promessa che però tardava ad arrivare si guardò intorno per cercare qualcuno che potesse promettergli un miglioramento. Il passaggio avviene sia in alto che in basso. In alto il fascismo raccolse l’aristocrazia proletaria, cioè quei proletari arricchiti che non si sentivano più parte integrante del proletariato. In basso reclutò figli di contadini da poco trasferitisi in città, e i disoccupati respinti dal processo produttivo. 
Alle elezioni i socialisti persero 20 seggi, mentre i fascisti ne ottennero 35.

Il fascismo delle origini ebbe un carattere molto diverso da quello che assunse successivamente.
Sul piano sociale chiedeva la giornata lavorativa di 8 ore, l’istituzione di un salario minimo per gli operai, la revisione della legge sulle assicurazioni per malattia e vecchiaia. Sul piano più strettamente economico teorizzava l’espropriazione parziale della ricchezza privata col fine di ristabilire l’equilibrio sconvolto dalla guerra.
Quando dopo il 1920 il fascismo cominciò a svilupparsi, aumentarono molto gli iscritti. Ma questi ultimi provenivano in gran parte dalla borghesia agraria, notoriamente conservatrice, ed il loro ingresso ne mutò la fisionomia e non si parlò più di espropriazione parziale.

A maggio 1921 la trasformazione era completa: da movimento rinnovatore, repubblicano, anticlassista e anticlericale divenne conservatore, monarchico e parlamentare (con 35 deputati).

Comincia intanto a profilarsi una ’reazione antifascista’. Tra i socialisti, i repubblicani e i sindacalisti si costituiscono gruppi di combattimento e di contrasto.

Il governo Bonomi, preoccupato per una possibile guerra civile, propone un patto di pacificazione cui Mussolini aderì.

Ma non sempre le direttive del capo venivano eseguite ciecamente e la ribellione fascista scoppia là dove il fascismo era nato: la pianura padana.
Il culmine venne raggiunto il 27 ottobre 1921 a mezzanotte con la mobilitazione generale dei Fasci e la marcia su Roma.
Il governo cercò di resistere. Giunse a proclamare lo stato d’assedio che però revocò dopo nemmeno
un’ora.
Il terzo giorno il Re convocò a Roma Mussolini e lo nominò primo ministro.
Il governo si trasformò in dittatura nel 1925, dopo la secessione dell’Aventino che aveva visto i deputati dell’opposizione ritirarsi dal Parlamento in segno di protesta per l’omicidio Matteotti (vedi capitolo 91 a pagina 499 – http://ricordare.files.wordpress.com/2008/07/ricordare20.pdf ) che aveva tenuto un discorso contestando i risultati delle elezioni che avevano visti vincere la coalizione formata dai fascisti, dai liberali e dalla destra moderata con il 61,3% dei voti (il PNF da solo ottenne il 4,9% mentre il Partito Popolare italiano ebbe il 9,1%, il Partito Socialista Unitario il 5,9, il Partito Socialista Italiano il 4,9% e il Partito Comunista Italiano il 3,8%.
Le formazioni minori si spartirono il restante 10,1%.

Così il fascismo , nato come un piccolo movimento rivoluzionario, divenne in pochi anni il grande movimento di massa che governò l’Italia per un ventennio.



http://ricordare.files.wordpress.com/2008/07/ricordare20.pdf
n. 101

Il biennio rosso

Il 1919 fu l’anno del forte spostamento a sinistra non solo in Italia, ma in tutta l’Europa.

Gli orrori della guerra avevano spinto molti a rifiutare quello stato elitario “democratico borghese” che l’aveva prodotta e di cui le masse popolari avevano conosciuto enormi sofferenze.
A questa tendenza aveva contribuito anche il cosiddetto ceto medio che aveva preso parte a diverse agitazioni, ma quando la sinistra assunse le posizioni più estremiste, indicando lo stato bolscevico russo come un modello da seguire, e riteneva di poter ricorrere anche ai metodi della violenza per raggiungere il suo fine, una parte notevole dell’opinione pubblica, specie del Nord dove si erano avuti i maggiori scontri del biennio rosso, iniziò a spostarsi a destra.
Tale cambiamento venne rapidamente percepito da Benito Mussolini che si propose come un restauratore, sia pure poco ortodosso, dell’ordine pubblico.
Il partito socialista aveva nel ’19 aderito alla Terza Internazionale che prevedeva espressamente il ricorso alla lotta armata, ed aveva assunto anche alcune iniziative in questo campo (costituzione di una “forza armata proletaria” al Consiglio Nazionale dell’aprile 1920) nel corso del biennio rosso.
L’estremismo dei socialisti era forse più verbale che reale, tuttavia i suoi appelli ad una rivoluzione bolscevica in Italia scossero l’opinione pubblica, anche quella che per motivi sociali non era pregiudizialmente contraria alla sinistra.
Filippo Turati al riguardo aveva espresso tutte le sue perplessità, e aveva previsto la reazione di una parte importante della società: “di tutte quelle classi medie, quelle piccole classi, quei ceti intellettuali, quegli uomini liberi che si avvicinavano a noi, che vedevano nella nostra ascensione la loro propria ascensione e la liberazione dell’uomo, e che noi con la minaccia della dittatura e del sangue gettiamo dalla parte opposta”.
Scrisse alcuni anni dopo, nel 1922 il Corriere della Sera: “La violenza è quasi sempre un’arma che ferisce le mani di chi l’adopera: i socialisti che tiranneggiavano bestialmente l’Emilia con la loro dittatura spavalda e coi loro tribunali rossi ne sanno qualcosa. Ne potrebbero sapere molto domani i fascisti, se con gli incendi e coi ferimenti credessero, a loro volta, di governare la regione liberata”.
Il 1919 aveva visto un numero limitato di scontri fra fascisti e socialisti, molto più numerosi erano risultati quelli fra arditi e nazionalisti da una parte contro i socialisti.
Gli Arditi costituivano un gruppo che sfuggiva ad una facile collocazione politica, e che risentiva maggiormente di suggestioni emotive che di questioni di tipo strettamente politico.
Gli Arditi comunque erano ovviamente orientati verso il nazionalismo, e risentivano molto della influenza di futuristi e dei dannunziani successivamente.
Il gruppo politico futurista era sorto per iniziativa di Filippo Tommaso Marinetti, un intellettuale anche lui difficilmente collocabile politicamente, ma che poteva essere considerato un anarchico nazionalista.
Il programma futurista era fortemente anticlericale, patriota, e presentava anche delle istanze di tipo socialista, socializzazione delle terre, imposta progressiva, minimi salariali.
Il primo importante episodio di violenza in quell’anno fu l’assalto all’Avanti. Se la responsabilità di tale episodio è da attribuirsi ai nazionalisti (arditi, futuristi, neo-nati fascisti), significativo è comunque che dalla sede del giornale furono esplosi diversi colpi di arma da fuoco, che provocarono fra l’altro la morte di un soldato posto a tutela dell’ordine pubblico. Lo scontro non aveva molto a che vedere con questioni di lotta sociale come nel periodo successivo dello squadrismo, ma si inseriva nel contrasto riguardante le questioni della guerra, e nel clima di ostilità nei confronti dei reduci tenuto dai socialisti e dalla sinistra in genere.
Una testimonianza significativa sulla campagna di denigrazione nei confronti di chi aveva combattuto ci è stata fornita da Emilio Lussu, importante leader dell’antifascismo, nel suo scritto “marcia su Roma e dintorni”. Nei mesi successivi si verificarono nuovi scontri fra arditi e socialisti, sempre per responsabilità dei primi, ma anche l’uccisione di un paio di carabinieri ad opera degli anarchici.
Nella seconda metà dell’anno iniziò lo scontro sociale più pesante. Nel luglio si ebbe un serie di scioperi e di saccheggi da parte di manifestanti che protestavano contro il carovita.                                     
Le proteste interessarono soprattutto le maggiori città del centro-nord, ebbero un carattere poco organizzato, tuttavia in alcune città i commercianti furono costretti a consegnare le loro merci alle locali camere del lavoro. I disordini furono duramente repressi dalle forze di polizia che provocarono la morte di una trentina di dimostranti e molte centinaia di arresti.                              
In ottobre lo scontro si spostò nelle campagne con l’occupazione delle terre da parte dei contadini in Sicilia; la protesta ebbe carattere violento e vide l’assalto alle residenze dei proprietari e di una caserma dei carabinieri, in provincia di Caltanisetta in particolare, si ebbe la morte di tredici contadini e di un militare nel corso di un assalto della folla alle forze dell’ordine. Il movimento a favore dei lavoratori agricoli, attivo anche nell’Emilia Romagna, vide non solo il contributo dei socialisti, ma anche quello dei popolari, attraverso le cosiddette leghe bianche, e quello altrettanto notevole delle associazioni degli ex combattenti, ma fra le varie componenti ci furono dei contrasti che diedero luogo ad occasionali scontri fra manifestanti.
E’ utile tener presente che i governi Nitti e Giolitti cercarono di stemperare il contrasto sociale nel paese, ricercando la collaborazione con i socialisti riformisti e attraverso delle iniziative a favore dei lavoratori, in particolare è da ricordare l’introduzione della giornata lavorativa di otto ore, un decreto per l’utilizzo delle terre incolte, le assunzioni autorizzate dal sindacato.
Nel novembre di quell’anno si tennero le elezioni politiche che rappresentarono un grave insuccesso per le liste fasciste e i partiti politici che si richiamavano all’interventismo.
I giorni precedenti e quelli successivi alla consultazioni videro episodi di violenza di cui furono protagonisti fascisti e arditi.
A seguito di questi vennero effettuati numerosi arresti fra i quali  lo stesso Mussolini, che venne tuttavia rilasciato per l’intervento del presidente del consiglio Nitti.
L’inizio dei lavori della Camera venne turbato da nuovi incidenti, con l’aggressione dei parlamentari socialisti che avevano accolto con provocazioni l’arrivo del re, da parte di studenti e ufficiali monarchici, ma anche la morte di uno studente nazionalista, e l’assalto di un armeria da parte dei manifestanti di sinistra.
L’insuccesso elettorale dei fascisti frenò per un certo periodo gli scontri fra gruppi politici, tuttavia continuarono gli scontri fra forze dell’ordine e manifestanti, nonché di quest’ultimi con i cosiddetti crumiri. Una parte della popolazione non tollerava i disordini e il continuo ricorso alla cessazione  del lavoro, e si costituirono associazioni di cittadini – nazionaliste in genere – che intendevano boicottare gli scioperi.
I nazionalisti erano abbastanza presenti nel mondo studentesco e diedero vita a Roma nel maggio del 1920 ad una manifestazione per commemorare l’entrata in guerra dell’Italia, manifestazione degenerata in violenza con la morte di cinque guardie regie ed alcuni cittadini.
A Viareggio e a Bari si ebbero sommosse popolari durate alcuni giorni che videro l’assalto di caserme e il blocco delle ferrovie per impedire l’arrivo delle truppe di rinforzo. A Milano uno sciopero dei ferrovieri sostenuto dagli anarchici provocò ugualmente diverse vittime fra forze dell’ordine e cittadini. In Puglia si ebbero nuove occupazioni delle terre e assalti alle case dei proprietari. Il bilancio più pesante degli scontri si ebbe nel giugno ad Ancona. Un reggimento di bersaglieri che attendeva la smobilitazione ebbe l’ordine di partire per l’Albania, i soldati si ribellarono, arrestarono i loro ufficiali e chiesero il sostegno della locale camera del lavoro e dei partiti della sinistra.
Le organizzazioni operaie ed una parte della popolazione cittadina diedero inizio ai disordini, trafugarono le armi, diedero l’assalto ad alcune caserme ed eressero barricate nella città. I moti si allargarono ad altre città con assalti alle armerie e attentati ai treni. Il governo revocò l’ordine di imbarco dei bersaglieri e mantenne un atteggiamento relativamente prudente. Gli scontri comunque durarono alcuni giorni e si conclusero con una trentina di morti di cui una decina fra le forze dell’ordine.
Nello stesso periodo le questioni di politica estera continuavano ad agitare il paese. A Trieste si era avuta notevole tensione fra italiani e slavi. Il movimento fascista era ben presente nella città, disponeva della sezione più numerosa d’Italia, e faceva sentire la sua voce sulla questione dalmata. L’episodio di violenza più noto è quello dell’incendio dell’hotel Balkan dove erano ospitate le sedi di alcune associazioni slave. Dopo una intensa sparatoria, con morti da entrambe le parti, l’edificio ormai vuoto, venne dato alle fiamme. Il numero delle vittime non fu alto, comunque suscitò emozione nel paese, che viveva con preoccupazione la questione della Dalmazia e dei rapporti con la Jugoslavia. Pochi giorni dopo si ebbe l’assalto da parte di nazionalisti e fascisti alla tipografia dell’Avanti a Roma, nel corso del quale vennero aggrediti due deputati socialisti. Nello stesso giorno venne ucciso dai dimostranti un “volontario” che si era posto alla guida di un tram per boicottare lo sciopero degli autotranvieri.
L’occupazione delle fabbriche del Nord nell’estate di quell’anno, con la sua sfida diretta allo stato, rappresentò il culmine del biennio rosso e costituì uno degli eventi che maggiormente scosse l’opinione pubblica; scrisse Giovanni Amendola nel settembre di quell’anno: “come può darsi che lo Stato non venga direttamente tirato in questione dalla pratica ed attuale negazione di quella proprietà privata, che è garantita dalle sue leggi? O dalla violazione più completa del diritto personale, effettuata da individui e da organi che parlano e agiscono in nome di un diritto inconciliabile con l’ordine presente?  O infine dall’impiego di forza armata contro la forza armata dello Stato ed in sostegno della violazione continua e radicale delle sue leggi ed in appoggio di una situazione la quale, mentre è incompatibile con l’istituzione statale italiana, obbedisce invece nello spirito e nelle forme alla volontà ed alle vedute pubblicamente manifestate da uno Stato che sinora non è italiano e cioè dalla Repubblica dei Soviet?”
Che il timore di una violenta degenerazione politica non fosse solo una preoccupazione di conservatori e borghesi è confermata da Giorgio Bocca nella sua biografia di Togliatti. Il giornalista riporta i piani militari degli occupanti, le guardie rosse, che disponevano di un gran numero di armi, e decisero di non portare alle estreme conseguenze l’azione per lo scarso sostegno di cui disponevano nelle zone di provincia.  Alcuni giorni prima dell’accordo sindacale che doveva porre fine all’occupazione delle fabbriche, si ebbero a Torino degli scontri che costarono la vita a quindici persone di cui la metà fra le forze dell’ordine.
Particolarmente importanti nella degenerazione dello scontro politico che portò alla formazione dello squadrismo, sono considerati gli avvenimenti di Bologna e di Ferrara del novembre dicembre 1920. Le guardie rosse a seguito di un attacco armato dei fascisti ad una manifestazione per l’insediamento della amministrazione socialista cittadina a Bologna, lanciarono alcune bombe colpendo gli stessi manifestanti e provocando la morte di dieci persone, contemporaneamente venne ucciso un consigliere della destra. A
Ferrara una manifestazione antisocialista venne fatta oggetto di colpi d’arma da fuoco e si ebbero tre caduti fra i fascisti e due fra i socialisti, il fatto provocò numerose proteste, e spinse la popolazione cittadina a simpatizzare con la destra.

Scrisse in quel periodo il Corriere della Sera a proposito delle nuove organizzazioni fasciste e dei socialisti “abituati a vincere senza incontrare resistenze, senza esporsi a pericoli, abituati a vedere la borghesia e il governo piegar sempre il capo ai loro ultimatum, oggi avvertono che c’è qualcosa di mutato”.
n. 100

Le origini di Napoli e il mito di Partenope

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Napoli è una città antichissima, benché oggi aperta a tutti i venti della modernità. La fondazione sull’altura del Monte Echia di Palaepolis (la città antica) risale con molta probabilità al IX secolo a. C. La stessa Neapolis (la città nuova) mostra ancora ben leggibile il tracciato insediativo del V secolo A.C.. La straordinarietà della permanenza di questo tracciato nel corso dei millenni ha rappresentato un motivo di ammirazione fin dall’età rinascimentale, quando vari umanisti, tra i quali il dottissimo Fra’ Giocondo da Verona, dedicarono studi minuziosi al rilievo della città per verificare l’attendibilità dei principi insediativi dei greci, in seguito rielaborati da Vitruvio e dalla trattatistica classica.
L’impianto della nuova città fu delineato infatti con rigore geometrico esemplare per l’armonica proporzione dei rapporti metrici, ben calibrati in relazione al luogo ed articolati su un nitido reticolo ortogonale di cardini e decumani. Sarebbe tuttavia un equivoco interpretare tale perfezione tecnica come aspirazione ad una razionalità assoluta. Anzi, fin dall’origine la città del logosfu avvolta nelle spirali labirintiche del mito.
Molta attenzione fu prestata ai misteri del paesaggio. Se è vero che le dimore furono adagiate con meticoloso ordine su un terreno in leggero declivio, resta altresì innegabile che tale insediamento (cinto da mura) era consapevolmente collocato nel bel mezzo di due (magici) fenomeni vulcanici: la grande montagna di fuoco del Vesuvio ad est e le “terre ardenti” dei Campi Flegrei ad ovest. A nord la città era protetta dalle alture montuose, simili a scudi di pietra contro i venti più freddi, ma aperta a sud sull’azzurro del mare per l’approdo delle navi, delle merci, degli aromi, dei linguaggi e delle genti provenienti dalle più variegate terre del Mediterraneo. Non sfuggì all’immaginativa osservazione dei fondatori ellenici la suggestiva metafora del sole che sorge dietro il gigantesco cono lavico del Vesuvio e tramonta nei Campi Flegrei, quasi immergendosi nel cerchio d’acqua dell’Averno, là dove la leggenda vuole che si dischiudesse il varco iniziatico per la discesa negli Inferi.
“Gli antichi – ha scritto Italo Calvino – rappresentavano lo spirito della città, con quel tanto di vaghezza e quel tanto di precisione che l’operazione comporta, evocando i nomi degli dei che avevano presieduto alla sua fondazione: nomi che equivalevano a personificazioni di elementi ambientali, un corso d’acqua, una struttura del suolo, un tipo di vegetazione, che dovevano garantire della sua persistenza come immagine attraverso tutte le trasformazioni successive, come forma estetica ma anche come emblema di società ideale. Una città può passare attraverso catastrofi e medioevi, vedere stirpi diverse succedersi nelle sue case, vedere cambiare le sue case pietra per pietra, ma deve, al momento giusto, sotto forme diverse, ritrovare i suoi dei”.
Napoli ha metaforicamente trasfigurato il senso della sua fondazione nel mito di Partenope, desunto da un più antico culto della sirena radicato nella preesistente città di Palaepolis. Come in altre leggende, diversi significati allegorici si sono fusi e confusi con enigmi esoterici, in un groviglio semantico difficile da districare in chiave scientifica.
Tuttavia è tutt’altro che inutile tentare l’ermeneutica dei miti, non foss’altro perché sotto l’apparente ingenuità delle favole si celano valori antropologici profondi dell’onirico collettivo.
Nella versione più arcaica del mito, Partenope era un ibrido di gentilezza umana e di belluinità animale: il volto di una fanciulla (vergine) connesso al corpo di un uccello (e non già di un pesce, come nella successiva e più nota leggenda). La vergine alata sarebbe nata dal dio-fiume Acheloo e dalla madre-terra Persefone. Nella crisalide di questa fantasia è racchiusa una foresta di simboli che rinvia agli elementi primari della Natura: il cielo, la terra, l’acqua, il sottosuolo.
Ma c’è dell’altro. Vivendo tra le rocce e tra i boschi lungo le coste del mare, Partenope aveva tentato invano di sedurre Ulisse, propinandogli con la dolcezza del suo canto l’inganno della rappresentazione idilliaca del passato. Respinta dall’astuto “eroe della conoscenza”, deciso a proseguire a tutti i costi la rotta esplorativa nell’arcipelago delle civiltà mediterranee, spinto dall’incontenibile volontà di nuove esperienze, la sirena si era suicidata, lanciandosi dall’alto di una rupe (katapontismòs), ed il suo corpo, trainato dalle onde del mare, era rimasto imbrigliato tra gli scogli del golfo napoletano.
Nel mito arcaico il corpo di Partenope fu sepolto a Megaride, l’isolotto di approdo dell’antica Palaepolis, ma nei racconti posteriori il sepolcro della vergine venne traslato dentro le mura di Neapolis, in assonanza con la diffusa credenza dei riti di fondazione. Resta incerta l’esatta ubicazione del sepolcro. Alcune fonti indicano un antro sottostante all’attuale Chiesa di San Giovanni Maggiore, ma altre lo collocano nel cuore stesso della nuova città, vale a dire in un naos racchiuso tra le mura isodome (V secolo a.C.) che funsero poi da basamento del Tempio dei Dioscuri (I secolo d.C.). Questo Tempio dominava lo scenario dell’agorà-foro con il suo spettacolare pronao esastilo, che sembrava destinato a sfidare il tempo per la sua forza simbolica, tant’è che era stato preservato anche in età cristiana come allegorico ingresso alla chiesa teatina e ritratto come paradigmatico reperto dell’antichità classica da Andrea Palladio nei Quattro Libri dell’Architettura. Solo il 5 giugno del 1688 un violento terremoto distrusse l’antico pronao del quale permangono tuttavia ancora due colonne corinzie incastonate nella bella facciata settecentesca dell’attuale Chiesa di San Paolo Maggiore. Il luogo dove sorse l’antica agorà (oggi denominato Piazza San Gaetano), resta a dir poco mirabile, non foss’altro perché nei suoi monumenti sono sedimentati duemila e cinquecento anni di storia.
A ridosso del chiostro grande del convento teatino sono riconoscibili i resti del Teatro del 62 d. C. e lo stesso andamento sinuoso di via San Paolo (in direzione di via Anticaglia) lascia percepire l’impianto del coevo Odeon. Si tratta di due significative testimonianze d’età romana per le quali è previsto un piano di recupero atto a liberarle dalle superfetazioni edilizie che le sovrastano. Al di sotto della cattedrale gotica di San Lorenzo si possono però già visitare gli scavi ipogei delle strade con botteghe che giungevano nel foro, in una densa stratificazione archeologica verticale unica in Europa.
Ritornando ai miti sulla genesi della città, la favola più suggestiva resta quella che descrive la metamorfosi di Partenope, dissoltasi nella morfologia stessa del paesaggio, distesa lungo tutto l’arco del golfo, con il “capo” poggiato a oriente nell’altura di Capodimonte, il “corpo” delimitato dalle mura urbane ed il “piede” (o coda) ad occidente, immerso nel mare ed affiorante nel promontorio collinare di Posillipo. Così il rito della fondazione urbana si estese al culto del paesaggio, in armonia con gli ideali ellenici di venerazione della natura.
Per ironia della storia, anche la reale crescita urbana sembra aver seguito il tracciato di questa immaginaria metamorfosi. Il nocciolo storico più antico – racchiuso all’origine nel nitore euclideo del suo tracciato, ancora ben visibile dall’alto della Certosa di San Martino – è cresciuto distendendo come una pianta la rete delle sue lunghe radici sulle adiacenti colline, in uno sviluppo apparentemente senza ordine. Vista dal mare, però, la città appare a suo modo armonica, adagiata sulla cavea naturale delle sue alture collinari simile ad un teatro ellenico aperto sullo spettacolo del golfo. È la natura insomma ad aver offerto la base orografica del fascino urbano di Napoli. Non a caso l’immagine da cartolina per antonomasia ritrae la città racchiusa nell’intervallo tra un pino e lo sfondo del Vesuvio, mentre in altre città europee viene eletto quasi sempre un monumento a fungere da simbolo. Si pensi alla Tour Eiffel per Parigi, al Big Ben per Londra o a San Pietro per Roma.
Certo, nel secolo che si è appena concluso l’espansione edilizia e lo sviluppo industriale hanno recato ferite difficilmente rimarginabili alla bellezza del paesaggio naturale. Valga da esempio l’installazione a Bagnoli nel 1905 della fabbrica siderurgica, poi ingigantitasi con la ridenominazione di Italsider. È tuttavia in atto un piano per correggere il paradosso urbanistico novecentesco di aver eretto uno stabilimento industriale inquinante in un luogo di innegabile seduzione ambientale, su una spiaggia (Coroglio) prospiciente l’isolotto di Nisida che rappresenta la metaforica porta d’ingresso ai Campi Flegrei.
Si potrebbero menzionare anche altri esempi di ripristino del rapporto della città con il mare, tra i quali l’abbattimento della barriera portuale a Piazza Municipio o la riqualificazione ad oriente dell’altro complesso industriale dismesso (Corradini).
Ma quel che più conta è il senso di questa nuova fase urbana. Dopo anni di oblio, la città sembra aver ritrovato i suoi dèi.
Articolo tratto da Benedetto Gravagnuolo, Preside della Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli, su Ulisse, la Rivista di bordo dell’Alitalia.

Debito sovrano: a lezione dai nazisti


Lezioni di storia recente: la politica monetaria del III Reich

I tedeschi hanno il terrore che l’eccesso di debito pubblico spinga la Bce a stampare grandi quantità di moneta, facendo scoppiare l’inflazione. Intransigenza sui bilanci da risanare, niente emissione di Eurobond e zero acquisti di titoli del debito pubblico da parte della Bce: la cancelliera Merkel sta spingendo l’Europa in una pericolosa recessione e in una crisi di fiducia che potrebbero avere conseguenze devastanti.
Ma i tedeschi dovrebbero ricordarsi di ciò che accadde dopo la Prima Guerra Mondiale, avverte Stefano Sylos Labini dal blog “Sbilanciamoci”: solo lo Stato, attraverso l’emissione di “moneta alternativa”, permise di far uscire la Germania dal baratro nel quale era sprofondata. Titoli pubblici non spendibili, disoccupazione, imprese ferme: un’enorme disponibilità potenziale, che gli Stati europei potrebbero sbloccare trasformando i titoli di Stato in moneta complementare.
Lezioni di storia, che Sylos Labini riconduce al punitivo Trattato di Versailles imposto alla Germania sconfitta: 33 miliardi di dollari da risarcire, senza un piano per la crescita. Di qui la depressione e l’esasperazione che portò al potere Hitler, con 6 milioni di tedeschi (il 20% della forza lavoro) disoccupati e alle soglie della malnutrizione, mentre la Germania era gravata da debiti esteri schiaccianti e con le riserve monetarie ridotte quasi a zero. Ma tra il 1933 e il 1936 si realizzò uno dei più grandi miracoli economici della storia moderna, anche più significativo del tanto celebrato “New Deal” di Roosevelt. «E non furono le industrie d’armamento ad assorbire la manodopera», ricorda Sylos Labini: «I settori trainanti furono quello dell’edilizia, dell’automobile e della metallurgia».
Per il loro “miracolo” economico, i nazisti si erano creati una teoria monetaria alternativa: banconote a volontà, purché i prezzi restassero stabili. Motore di questa alchimia, la fiducia: da imporre con la forza o con la suggestione. «Sorprendentemente – osserva Sylos Labini – l’artefice del miracolo economico della Germania nazista fu un uomo di origini ebraiche, Hjalmar Schacht», ministro dell’Economia e presidente della Banca centrale del Reich. «Il dottor Schacht – rilevò John Maynard Keynes – è inciampato per disperazione in qualcosa di nuovo che aveva in sé i germi di un buon accorgimento tecnico». Ovvero: «Risolvere il problema eliminando l’uso di una moneta con valore internazionale e sostituendola con qualcosa che risultava un baratto: non però fra individui, bensì fra diverse unità economiche. In tal modo riuscì a tornare al carattere essenziale e allo scopo originario del commercio, sopprimendo l’apparato che avrebbe dovuto facilitarlo, ma che di fatto lo stava strangolando».
Il fatto che quel metodo sia stato usato al servizio del male, aggiungeva Keynes, non deve impedirci di vedere il vantaggio tecnico per una buona causa: l’uscita dalla crisi. Per il commercio estero, Schacht ideò un ingegnoso sistema per trasformare gli acquisti di materie prime da altri paesi in commesse per l’industria tedesca: i fornitori erano pagati in moneta che poteva essere spesa soltanto per comprare merci fatte in Germania. Il meccanismo, di stimolo al settore manifatturiero, funzionava come un baratto: le materie prime importate erano pagate con prodotti finiti dell’industria nazionale, evitando così il peso dell’intermediazione finanziaria e fuoriuscite di capitali. Lo Stato tedesco potè dunque creare la moneta di cui aveva bisogno nel momento in cui manodopera e materie prime erano disponibili per sviluppare nuove attività economiche, anziché indebitarsi prendendo i soldi in prestito: e questo, senza essere punito dai mercati mondiali dei cambi con la svalutazione del marco.
In realtà, aggiunge Sylos Labini, non venne praticata la stampa diretta di moneta, poiché il principale provvedimento di Schacht fu l’emissione dei Mefo, obbligazioni emesse sul mercato interno per finanziare lo sviluppo. Fu direttamente la Reichsbank, la banca centrale di Stato, a fornire agli industriali i capitali di cui avevano bisogno: non lo fece aprendo a loro favore dei fidi, ma autorizzando gli imprenditori ad emettere delle cambiali garantite dallo Stato. Con queste “promesse di pagamento”, gli imprenditori pagavano i fornitori. Se coi Mefo si fosse passati all’incasso simultaneamente, la banca centrale avrebbe dovuto emettere moneta scatenando l’inflazione, ma gli industriali tedeschi si servirono dei Mefo come mezzo di pagamento fra loro, senza mai portarli all’incasso, trasformando quei titoli in «una vera moneta, esclusivamente per uso delle imprese, a circolazione fiduciaria».
Il sistema, spiega “Sbilanciamoci”, funzionava grazie alla fiducia che il regime nazista riscuoteva presso i suoi cittadini e le sue classi dirigenti. Una fiducia ottenuta non solo con la propaganda e la ferocia, ma anche attraverso il progressivo miglioramento delle condizioni economiche della popolazione: il riassorbimento della disoccupazione e la crescita dei salari del popolo tedesco senza alimentare l’inflazione. Risultati spettacolari: nel gennaio 1933, quando Hitler sale al potere, i disoccupati sono oltre 6 milioni; a gennaio 1934 si sono quasi dimezzati e a giugno sono ormai 2,5 milioni; nel 1936 calano ancora a 1,6 milioni e nel 1938 non sono più di 400 mila. Fu questa ripresa economica ad accrescere il consenso del regime, che poi “suicidò” la Germania dopo aver aggredito il resto del mondo. Ma se la causa tedesca fu scellerata, ammonisce Keynes, non per questo perde valore la geniale manovra di Hjalmar Schacht, l’inventore della “ripresa senza inflazione”: gli effetti Mefo erano un valore parallelo e “invisibile”, privo di conseguenze psicologiche sulla popolazione. Processato e assolto a Norimberga, in seguito Schacht spiegò d’aver pensato che, se la recessione manteneva inutilizzato lavoro, officine e materie prime, doveva esserci anche del capitale parimenti inutilizzato nelle casse delle imprese; i suoi Mefo non avrebbero fatto che mobilitare quei fondi dormienti. In realtà erano proprio i fondi a mancare nelle casse, non la manodopera: e Schacht sapeva che la prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti con elevato interesse a nazioni in difficoltà economica.
Un economista britannico, Claude William Guillebaud, ha espresso con altre parole lo stesso concetto: «Nel Terzo Reich, all’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono la domanda di lavoro, nel momento in cui la domanda effettiva è quasi paralizzata e il risparmio è inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti (con gli effetti Mefo, che sono pseudo-capitale); l’investimento rimette al lavoro i disoccupati; il lavoro crea dei redditi, e poi dei risparmi, grazie ai quali il debito a breve termine precedentemente creato può essere finanziato [ci si possono pagare gli interessi] e in qualche misura rimborsato». Per evitare malintesi, sottolinea Sylos Labini, è bene ricordare quale mostruosa macchina sterminatrice fu il nazismo: ma resta attualissimo lo studio della politica economica della Germania di allora, che riuscì a risollevare un paese allo stremo: «Una politica che, con i dovuti accorgimenti, potrebbe essere riproposta nell’Europa di oggi dove la disoccupazione ha raggiunto livelli inaccettabili».
La Germania ultra-intransigente della cancelliera Merkel «dovrebbe tener presente che fu la scarsa lungimiranza delle nazioni che vinsero la prima guerra mondiale a determinare l’esplosione del debito, la sua monetizzazione e l’iperinflazione», aggiunge l’analista di “Sbilanciamoci”. Se i vincitori di ieri schiacciarono la Germania dando vita allo spirito di rivalsa hitleriano, la Germania di oggi, super-produttiva, dovrebbe fare attenzione a non deprimere col suo rigore il resto d’Europa: fu proprio l’aiuto di Stato, allora, a rimettere in piedi le infrastrutture, rilanciare l’industria civile e quindi di riassorbire l’enorme disoccupazione. «Esattamente ciò che, con le dovute differenze, bisognerebbe fare oggi in Europa, ma che viene impedito dalla politica egoistica e suicida del governo di destra guidato da Angela Merkel», che vieta alla Bce di lanciare le obbligazioni europee «che potrebbero avere la stessa funzione delle obbligazioni Mefo ideate da Schacht».
Se consideriamo il sistema dei titoli Mefo, forse la debolezza che deriva dall’enorme debito pubblico potrebbe diventare un punto di forza, ipotizza Sylos Labini: «I titoli del debito pubblico potrebbero costituire una massa monetaria gigantesca in grado di finanziare lo sviluppo dell’economia italiana», anche se la possibilità che i titoli pubblici possano essere utilizzati negli scambi e negli investimenti sostituendo la moneta «non sembra che sia stato compreso appieno sul piano teorico». Notizia di questi giorni: il corposo debito della pubblica amministrazione con le imprese – circa 70 miliardi di euro – verrebbe corrisposto in titoli di Stato, per dare fiato alle imprese strozzate dalla stretta creditizia. Un’ipotesi caldeggiata dal ministro Passera e che non dispiace a Confindustria, artigiani e commercianti, anche se per ora riscuote le perplessità di Ragioneria e Tesoro.
Per attuare una strategia di questo tipo, avverte Giuseppe Guarino sul “Manifesto” dello scorso 4 dicembre, sarebbe essenziale la trasformazione del debito estero in debito interno. In questo modo, si potrebbe stabilizzare il valore dei titoli del debito pubblico e sarebbe possibile sfuggire alla “dittatura dei mercati finanziari”: in Giappone, un paese a moneta sovrana che ha un debito pubblico doppio rispetto all’Italia ma non ha il problema dello spread, è prevista l’emissione di particolari certificati del Tesoro da riservare al risparmio delle famiglie con rendimenti sicuri e ancorati all’inflazione, che sfuggono alle micidiali aste. “Nazionalizzando” il debito, i titoli pubblici potrebbero circolare e sarebbero usati nel mercato interno come strumenti di pagamento: «Se invece i titoli pubblici sono detenuti da soggetti esteri – aggiunge Sylos Labini – grosse vendite fanno svalutare questi titoli intaccando la possibilità di utilizzarli come strumenti di pagamento sul mercato interno». Inoltre, i titoli accumulati all’estero vengono sottratti alla circolazione e di conseguenza perdono la loro funzione monetaria.
Far rientrare in Italia una parte consistente dei Bot? Obiettivo: evitare operazioni speculative da parte delle banche d’affari detentrici dei Bot italiani, che guadagnano non solo sulle pressioni al rialzo sui tassi di interesse sui Bot di nuova emissione, ma soprattutto, sul valore dei titoli derivati che assicurano i titoli di Stato (Credit Default Swaps). Quindi bisognerebbe costruire un sistema di compensazione fra imprese, aggiunge “Sbilanciamoci”, facendo funzionare i Bot rientrati come una moneta complementare: non più solo una riserva di valore, ma una “valuta virtuale” capace di finanziare l’attività produttiva. Meglio se il nuovo sistema non fosse limitato solo all’Italia, ma venisse esteso almeno ai Paesi del Mediterraneo: che sarebbero in grado di agire come un nuovo sistema innovativo e commerciale.
In conclusione, ribadisce Sylos Labini, i titoli pubblici sono un tipo di moneta che può essere usata per fare pagamenti di una certa entità dove non serve il contante. Il loro controvalore monetario si regge sulla fiducia nella capacità di rispettare gli impegni di pagamento. E uno Stato ricco come l’Italia, che ha un bilancio pubblico sotto controllo, è perfettamente in grado di assicurare questa fiducia. Certo, un progetto che si ponga l’obiettivo di utilizzare i Bot come strumento di pagamento richiede delle misure per stabilizzare il valore dei titoli di Stato. E la stabilizzazione del valore dei titoli comporterebbe diversi benefici, tipo: allentare la morsa dei mercati finanziari internazionali sulla finanza pubblica, garantire rendimenti sicuri al risparmio delle famiglie, utilizzare i titoli di Stato come moneta complementare. Quindi: vale la pena studiare l’economia sovrana del Giappone, le monete complementari che già esistono nel mondo (compreso il Sardex italiano) e – nazismo a parte – rivalutare il “miracolo” tedesco sostenuto dallo Stato: non quello di Angela Merkel, ma quello di Hjalmar Schacht.
(segnalato da Stefano Taddei)

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21090

MA SIAMO TUTTI IMBECILLI ? SI’ SIAMO TUTTI IMBECILLI E TANTO DI PIU’

di Filippo Giannini
   So bene che chi scrive su questo argomento (il signoraggio) rischia la vita. Perché?  Leggete avanti.
   Quante volte ho confessato che di  economia ne capisco poco. Tuttavia, quando in un giorno del 2003 mi fu chiesto di organizzare un MANIFESTO DEL XXI SECOLO, aderii con entusiasmo, con l’idea di riaccendere quella fiamma che animò tanti uomini e donne, in quel 14 novembre 1943, quando a Castelvecchio a Verona si celebrò il congresso del Partito Fascista Repubblicano. E in quel contesto vennero fissati i punti cardini di un Manifesto che avrebbe dovuto essere la premessa della nuova Costituzione dello Stato Repubblicano. Poi fummo sopraffatti dalla più grande coalizione liberal-capitalista e l’idea della socializzazione dello Stato andò a morte prima della nascita.
   Ma torniamo al 2003. Quando mi fu affidato l’incarico contattai Rutilio Sermonti, Alberto Spera, Stelvio Dal Piaz, Carlo Morganti e, Manlio Sargenti che essendo lontano e piuttosto malato non poteva intervenire direttamente, tuttavia mi garantì l’assistenza. Tutti aderimmo con entusiasmo. Ho tralasciato di ricordare, a ragion veduta, la presenza attiva di Giacinto Auriti. Così nacque il Manifesto del XXI secolo. “Ho tralasciato”, come ho scritto, “a ragion veduta”, la collaborazione di Giacinto Auriti perché in quel periodo di economia ne capivo ancor meno di quanto ne capisco oggi. Quando questo maestro (Giacinto Auriti) mi parlava di signoraggio, non lo capivo e, probabilmente non capivo perché mi sembrava impossibile (come mi sembra impossibile ancora oggi) che una truffa di questa portata possa aver preso vita senza che gli organi di uno Stato, che si dice dei diritti e della libertà, non sia intervenuto (e ancora oggi non interviene) a bloccare quella che alcuni sostengono essere la più grande truffa mai perpretata.
   Per essere più chiari riporto il Punto 13 delle Proposte ideali, voluto e imposto proprio dal (Grande) Giacinto Auriti: “Il popolo crea la ricchezza col proprio lavoro. La moneta nasce dunque di proprietà dei cittadini. Essa è di proprietà del popolo e la sovranità di essa appartiene al popolo”. Inutile ripetere che allora, in quel contesto, mi sembrava fissare un punto di grande ovvietà. Invece… Sì, invece approfondendo l’argomento ho cominciato (finalmente) a capire qualcosa.
   Qualche giorno fa ho ricevuto una mail da Excalibur Italia contenente un articolo di Gianfredo Ruggiero, articolo dal quale riporto molti concetti.
   Gianfredo Ruggiero inizia ricordando che all’origine del debito pubblico (chiamiamolo  così, anche se questo è il frutto della grande truffa), che ha generato nei conti dello Stato una voragine in continuo aumento, vi è un meccanismo ben congeniato definito “signoraggio”.   
   Facciamo ora un passo indietro e ricordiamo la nascita dell’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), che nasce il 13 novembre 1931 IX E.F. e quella dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), costituito con R.D.L. 5/1933 XI E.F. avente finalità di ente finanziario di diritto pubblico; concepito per il risanamento e per la riorganizzazione del sistema finanziario e bancario italiano duramente provati dalla crisi del 1929. L’uno e l’altro, sempre organi pubblici: l’IMI e l’IRI concepiti per assicurare i finanziamenti di medio-lungo periodo (l’IMI), e l’IRI che acquisì le partecipazioni azionarie delle banche in difficoltà e i pacchetti di controllo delle banche stesse (1). A seguire fu elaborata, nell’ambito dell’IRI la legge di riforma bancaria del 1936 XIV E.F. Una prima parte della legge (che dovrebbeessere tuttora in vigore), legge che definì la Banca d’Italia ISTITUTO DI DIRITTO PUBBLICO e le affidò definitivamente la funzione di emissione (non più in concessione) della moneta e gli azionisti privati furono espropriati dello loro quote (2).
   Poco dopo Adolf Hitler nazionalizzò la Deutsch Bank sull’esempio dell’Italia di Mussolini. E qualcuno ancora oggi si chiede del perché della Seconda Guerra mondiale!?
   Torniamo ai meravigliosi giorni di oggi.
    Partiamo dalla Banca d’Italia che non è la Banca dello Stato italiano in quanto è presente con un minuscolo 5,8%, e questo per giustificare, scrive Gianfredo Ruggiero, la definizione di Ente di Diritto Pubblico. Infatti i principali azionisti, tutti rigorosamente privati, sono (dati riportati dal citato articolo di Ruggiero): Intesa San Paolo (30,3%,), Unicredit (15,7%), Banco di Sicilia (6,3%), Assicurazioni Generali (6,3%), Cassa di Risparmio di Bologna 6,2%), Banca Carige (4%), Banca Nazionale del Lavoro (2,8%), Monte dei Paschi di Siena (2,5%), Fondiaria (1,25%), Allianz (1,3%) e altre banche di minore importanza.
   Si tenga presente che la Banca d’Italia è ora una filiale della Banca Centrale Europea (BCE) anch’essa privata. Infatti i principali azionisti sono le banche centrali (private) europee, tra queste, appunto, la Banca d’Italia con il 14,57%. Scrive sempre Gianfredo Ruggiero: fatto paradossale è la presenza, tra i maggiori azionisti (e benefattori del signoraggio) con il 15,98%, della Banca d’Inghilterra che, oltretutto, non fa parte dell’Euro. Alla BCE è affidato il controllo dell’operato degli Istituti di Credito, in pratica le banche che controllano se stesse. Inoltre viene concesso il diritto esclusivo di stampare banconote, poi cedute al governo in cambio di titoli di debito pubblico (BOT, CCT, ecc,). In pratica l’entità del debito pubblico, da cui deriva la politica finanziaria di una Nazione, non la decidono i governi, bensì i mercati. Dato che coniare le monetine di metallo, ha un costo superiore alle banconote, queste sono a carico dello Stato.
   Specifica Gianfredo Ruggiero; il meccanismo in sintesi è questo: la Banca d’Italia, che in questo caso si comporta come una semplice tipografia, stampa una banconota, ad esempio da 500 Euro, il cui costo di produzione è di circa 50 centesimi tra filigrana e inchiostro e la cede allo Stato, non al costo di produzione maggiorato del suo guadagno, come logica vorrebbe, bensì al valore nominale della banconota stessa: 500 Euro! Lo Stato per tutta la sua esistenza pagherà – quindi noi poveri imbecilli paghiamo – alle banche private gli interessi su delle monete che in teorie (macché teoria, in effetti) gli dovrebbero appartenere. Riassumendo: la nostra banconota da 500 Euro – la cosa vale per qualunque taglio – alla BCE è costata pochi centesimi di Euro, mentre al popolo italiano quel pezzetto di carta colorata senza alcun valore reale costa 500 Euro più gli interessi perenni.
   Questa è l’origine del debito pubblico su cui, volutamente, non vi è alcuna informazione e dibattito.
Pertanto: SE LO STATO SI RIAPPROPIASSE DEL DIRITTO DI STAMPARE MONETA, L’ITALIA NON AVREBBE DEBITI.
La cosa, però, sarebbe estremamente poco probabile perché i partiti tutti sono ossequienti al sistema bancario di Wall Street.
   Certo quanto stiamo per ricordare non servirà per giustificare la nostra imbecillità, anzi: anche i dollari stampati dalla privata Federal Reserve americana, sono anch’essi dei pezzi di carta colorata, privi di un reale valore. Questo perché dal 1971 l’America ha abolito l’obbligo della corrispondenza in oro per ogni banconota emessa.
   Ci ricorda sempre Gianfredo Ruggiero: Nel 1944 (quindi a guerra non ancora conclusa, ma con un risultato scontato) i ministri delle finanze delle potenze prossime vincitrici della seconda guerra mondiale, si riunirono in conferenza a Bretton Woods (Usa) per concordare quale politica seguire in merito alla finanza ed economia. Di conseguenza furono fondate la Banca Mondiale (BIRS) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Inoltre al dollaro fu attribuito il ruolo di moneta di riferimento per gli scambi internazionali. Questo comportò l’impoverimento del resto del mondo. E ancora Nixon, constato che a Fort Knox di oro ne era rimasto ben poco, il 15 agosto 1971 a Camp David, annunciò con decisione unilaterale, di sospendere la convertibilità del dollaro in oro.
Osserva Gianfredo Ruggiero: da allora le Banche centrali continuano, come se nulla fosse, a stampare moneta anche se prive di controvalore, in quanto non convertibile in oro. (3).
   Allora sono tutti gangsters e truffatori?
   Continuate a leggere.
   Abramo Lincoln, sedicesimo presidente Usa fu assassinato il 15 aprile 1865; James Garfield ventesimo presidente fu ucciso il 19 settembre 1881; William McKinley, venticinquesimo presidente cadde colpito da due colpi di pistola esplosi dal polacco Leon Czolgosz e morì il 14 successivo; John F. Kennedy trentacinquesimo presidente, e questo episodio molti di noi ancora lo ricordano almeno per la ridicola ricostruzione del fatto, e per come furono condotte le inchieste, fu assassinato a Dallas il 22 novembre 1963.
Cosa legava fra loro questi presidenti e da cosa dipendeva la loro morte violenta?
Tutti, nel corso del loro mandato presidenziale, elaborarono (almeno i primi tre) l’idea di cambiare il sistema monetario americano estromettendo la privata Federal Reserve Bank dalla ricordata esclusività di emissione monetaria. A questi dobbiamo ricordare che John F. Kennedy, in pratica, l’aveva già messo in atto. Infatti il 4 giugno 1963, a pochi mesi dal suo assassinio, Kennedy autorizzò, con l’ordine esecutivo n° 11.110 di riconsegnare allo Stato americano il diritto della sovranità monetaria, estromettendo la Banca Centrale (FRB). Come ricordato il 22 novembre 1963 fu ucciso. Cinque mesi dopo, ricorda Gianfredo Ruggiero, le “banconote Kennedy” furono ritirate. Una nuova vittoria delle banche private.
   Tutto ciò non fu solo virtù di alcuni presidenti Usa, perché anche in Italia, a parte l’iniziativa mussoliniana del 1936, dobbiamo ricordare che Aldo Moro con il DPR 20/6/1966 e 20/10/1967 e successiva autorizzazione regolata il 14/2/1974 autorizzò l’emissione delle 500 lire (serie Mercurio), che furono stampate direttamente dal Poligrafico dello Stato che affiancavano le 500 lire d’argento.
   Tutti sappiamo che fine ha fatto Aldo Moro.
   Ma non è finito: l’ex questore di Genova Arrigo Molinari aveva “osato” citare in giudizio Bankitalia e la BCE per la truffa del Signoraggio. L’udienza fu fissata per il 5 ottobre 2005, ma fu assassinato a coltellate il 27 settembre 2005. Intervistato da un giornalista de Il Giornale poche ore prima della sua morte, ad una domanda, rispose: “Sta tutto scritto nei miei ricordi, riuniti ex articolo 700 del Codice di Procedura civile contro la Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea per la così detta truffa del “Signoraggio”, consentita fin dal 1992”, L’intervistatore chiese: “Ricordiamo chi era, allora, il ministro del Tesoro”. La risposta di Arrigo Molinari: “Era un ministro sottile che ha permesso agli istituti di credito privati di impadronirsi del loro arbitro Bankitalia e quindi di battere moneta e di prestarla allo Stato stesso con tasso di sconto a favore delle banche private”.
   Non chiedetemi che fine ha fatto questa iniziativa di Arrigo Molinari: non lo so!!!!
   Concludo ricordando ancora Gianfredo Ruggiero, che sentenzia: “Con la prossima scomparsa della moneta fisica soppiantata dalla moneta elettronica, la nostra dipendenza dal sistema bancario-finanziario sarà totale, come immenso sarà il loro potere. Su questi argomenti a livello politico non vi è alcuna informazione e dibattito. Tutti zitti, vuoi per ignoranza, vuoi per condivisione ideologica nessuno ne parla (…)”.
   Per fortuna posso confutare il bravo Gianfredo Ruggiero. Infatti il 22 maggio di quest’anno (2013), alla Camera dei deputati il deputato del Movimento Cinque Stelle, Carlo Sibilia, dal suo scranno ha denunciato la truffa del Signoraggio. Vedremo come andrà a finire. Non vorrei che domani si leggesse che il coraggioso e onesto giovane deputato, è stato trovato ucciso per indecifrabili motivi!
   Conclusione: alla domanda: “Siamo tutti imbecilli?”. La mia risposta è: “Per quanto è mia idea, gli italiani sono doppiamente imbecilli, perché essi stessi hanno ucciso ed esponendolo ancora oggi                   al ludibrio e alla diffamazione, l’unico statista onesto che provvedeva alle reali necessità del comune cittadino,  eleggendo, invece,  agli allori i vari,i  tanti, i troppi “ministri Sottile”.
_____________________   
1)       Con l’avvento dei Governi democratici, sia l’Imi che l’Iri furono trasformate in Società per Azioni (quindi furono privatizzati) e dopo pochi anni chiusero i battenti. In occasione del cinquantenario dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale, l’allora presidente Romano Prodi (quello stesso che fu candidato nel 2013 a Presidente della Repubblica Italiana) rilasciò questa inquietante dichiarazione: “Se l’IRI negli anni Trenta rappresentò una soluzione, oggi rappresenta un problema”.
2)       Nel 1993, in piena Era dello Stato dei Diritti e della libertà, la Banca d’Italia diventò, come vedremo, Ente privato.

3)       Gianfredo Ruggiero riporta alcune definizioni, di personaggi molto noti sull’argomento, che solo per brevità ne citiamo solo due:  Herry Ford, il fondatore dell’anonima casa automobilistica americana: “Ė un bene che il popolo non comprenda il funzionamento del nostro sistema bancario e monetario perché, se accadesse credo che scoppierebbe una rivoluzione prima di domani mattina”. L’altra. Di A.M. Rothschild, capostipite della nota famiglia di banchieri tedesca: “La nostra politica è quella di fomentare le guerre, ma dirigendo conferenze di pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere benefici. Le guerre devono essere dirette in modo tale che entrambi gli schieramenti sprofondino sempre più nel loro debito e quindi sempre di più sotto il nostro potere”. Non è quello che sta accadendo da un secolo e mezzo? 

Schegge di verità nascoste La Germania non aveva scelta. E’ stata l’Inghilterra a lanciarsi nella guerra


di: Maurizio Barozzi

Per comprendere quella immane tragedia che fu la Seconda Guerra mondiale, è anche utile leggere alcune considerazioni fatte da Adolf Hitler negli ultimi mesi di guerra, quando ogni necessità propagandistica era venuta meno, la inevitabile sconfitta era alle porte e il führer poteva anche rivelare alcuni particolari che precedentemente non aveva potuto rendere noti.
Quello che dice Hitler, di eccezionale lucidità, rispecchia con assoluta chiarezza quella verità che oggi può storicamente ricostruirsi, una verità che gli storici embedded fingono di non voler conoscere, ma che in realtà hanno percepito molto bene.
Presentiamo quindi alcuni passaggi di quelli che furono definiti gli ultimi discorsi privati di Hitler, in parte raccolti in cartelle dattilografate, titolate Bormann Vermerke e di cui, negli ultimi tempi, Martin Borman, ultimo segretario del partito nazionalsocialista, fu uno dei raccoglitori e diretto trascrittore di quanto riportato dal führer. Sappiamo che, storicamente, alcuni hanno messo in dubbio la genuinità di queste cartelle, ed in effetti esse non ci sono pervenute in originale, ma solo in “copia”, pur tuttavia, sia per il contenuto e lo stile che per altri particolari storici, non sembrano esserci dubbi sul fatto che trattasi proprio delle ultime “considerazioni” e volontà di Hitler.
Ma la lucidità del führer si nota anche in queste sue dichiarazioni, laddove pur avendone tutte le ragioni e i risentimenti, non rimpiange, non rinnega certe scelte, certe iniziative certe amicizie come quella con il Duce che alla fine hanno avuto un peso negativo nell’economia della guerra. Egli produce delle osservazioni, lucide, spietate, ma sostanzialmente realistiche e prive di qualsiasi pathos che ne inquinerebbe la portata.
Riportiamo qui, in corsivo, alcuni passaggi, sia pure con spezzettamenti, intercalati da nostre brevi sottolineature storiche. Il testo è tratto da A. Hitler, Ultimi discorsi, Ed. di Ar, 1988.
 
I tentativi di pace
con l’Inghilterra
Come noto tutta la politica bellica di Hitler, rispecchiava una visione geopolitica Euro Atlantica che proveniva da certi ambienti, anche esoterici fortemente influenzati da queste prospettive ed era sostanzialmente finalizzata a trovare un “accordo”, un accomodamento con i britannici, nello stesso interesse inglese. La Gran Bretagna, infatti, qualunque fosse stato l’esito della guerra, avrebbe perduto il ruolo di prima potenza mondiale e di conseguenza l’Impero. Sarebbe stata soppiantata dall’avvento di due nuove super potenze USA – URSS. Hitler era arrivato al punto di salvare le divisioni inglesi a Dunkerque (maggio 1940), per lasciare agli inglesi una onorevole possibilità di trovare un accordo. Riflettendo su questa strategia, che alla fin fine risulterà deleteria, possiamo dire che, in effetti al tempo era difficile prevedere che gli interessi geopolitici di una nazione (nella fattispecie la Gran Bretagna) potessero essere soppiantati, dagli interessi di Consorterie mondialiste che puntavano ad un futuro dominio mondiale. Il führer ebbe a dire (4 febbraio 1945):
“Io mi sono sforzato di agire, fin dall’inizio di questa guerra, come se Churchill fosse capace di comprendere questa grande politica. In realtà era capace di comprenderla solo nei rari momenti di lucidità. (…) Già nel 1941 [all’Inghilterra] le sarebbe stato possibile por fine alla guerra se solo lo avesse voluto. Essa aveva affermato la sua volontà di resistenza nel cielo di Londra, inoltre aveva al suo attivo le umilianti disfatte degli italiani nell’Africa del Nord. L’Inghilterra tradizionale avrebbe concluso la pace.
Ma i (…) burattini Churchill e Roosevelt erano là per impedirlo (…)
Noi saremmo stati disposti ad alcuni compromessi, pronti a mobilitare le nostre forze per favorire la continuità dell’Impero Britannico. E tutto ciò nonostante che l’ultimo degli Indù mi riesca in fondo più simpatico di non importa quale fra questi insulari arroganti (…) All’inizio, l’Inghilterra poteva scegliere: niente la costringeva a lanciarsi in una guerra. Non solo vi si è lanciata, ma l’ha provocata (…) Ma la Germania non aveva scelta. Dal momento in cui fu affermata la nostra volontà di riunire tutti i tedeschi in un Grande Reich, assicurando ad esso una autentica indipendenza, in altri termini la possibilità di vivere, di colpo i nostri nemici si schierarono contro di noi. La guerra diventava inevitabili per il solo fatto che l’unico mezzo per evitarla sarebbe consistito nel tradimento degli interessi fondamentali del popolo tedesco”.
 
Fine
del colonialismo
La geopolitica di Hitler per una nazione essenzialmente continentale non prevedeva il colonialismo, se non come un portato del tutto accessorio e sul quale il führer volle esprimere questi sensati concetti (7 febbraio 1945):
“La Spagna, la Francia e l’Inghilterra si sono dissanguate, devitalizzate, svuotate in queste vane conquiste coloniali. I continenti a cui la Spagna e l’Inghilterra hanno dato vita, che esse hanno creato dal niente, hanno oggi acquisito una vita propria e risolutamente egoistica. Essi hanno perduto anche il ricordo delle loro origini, lingua a parte. si tratta di mondi artificiosi, ai quali manca un anima, una cultura, una civiltà originaria. Da questo punto di vista, sono soltanto ’escrescenze’. (…)
Si tratta di costruzioni artificiali, di corpi senza età, dei quali si ignora se abbiano superato l’infanzia o si trovino già in stato di senescenza. Nei continenti abitati il fallimento è stato ancora più evidente. Qui i bianchi si sono imposti unicamente con la forza, mentre la loro influenza sugli abitanti è stata praticamente nulla. Gli Indù sono rimasti Indù, i Cinesi sono rimasti Cinesi, i Mussulmani sono rimasti Mussulmani. Nessuna trasformazione profonda, nè sul piano religioso, nè sugli altri piani, anche a dispetto del gigantesco sforzo del missionarismo cristiano. Rarissimi i casi di conversione, sulla cui sincerità quasi sempre si possono avanzare dei sospetti, tranne il caso in cui si tratti di poveri di spirito. I bianchi hanno tuttavia apportato qualcosa a questi popoli, la peggiore che essi potessero portare loro e cioè le piaghe del nostro mondo: il materialismo, il fanatismo, l’alcolismo e la sifilide. Per il resto, essendo il patrimonio culturale di questi popoli, superiore a ciò che potevamo donare loro, essi sono rimasti gli stessi”.
 
La Spagna di Franco
(10 febbraio 1945).
Come già in altra occasione il führer ebbe a dire che in Spagna avevamo aiutato il proco sbagliato, ora qui egli amplia il discorso rapportandolo alle necessità di una guerra di enormi proporzioni alla quale la Spagna, passata la prima fase delle vittorie tedesche, si guardò bene dal partecipare. La Spagna poi, come sappiamo, paese di capitalisti di pochi scrupoli e di lestofanti clericali, fu una pedina dell’Atlantismo, fino a quando, nella visione neoradicale del mondialismo, venne silurata dalle stesse forze che l’avevano mantenuta in vita per gli interessi atlantici.
“A volte mi sono chiesto se nel 1940 non abbiamo sbagliato a non coinvolgere la Spagna nella guerra. Sarebbe bastato un niente per coinvolgerla: infatti essa ardeva dalla voglia di entrare, al seguito degli italiani, nel “club” dei vincitori (…) Sicuramente ciò ci avrebbe permesso di occupare Gibilterra. In compenso si sarebbero dovuto aggiungere chilometri di costa da difendere (…) In aggiunta andava considerata una possibile conseguenza: una ripresa della guerra civile alimentata dagli inglesi. Così ci saremmo trovati legati per la vita e per la morte a un regime di speculatori capitalisti manovrati dalla pretaglia!
Non posso perdonare a Franco di non aver saputo, dopo la fine della guerra civile, riconciliare gli spagnoli; di avere accantonato i falangisti ai quali la Spagna deve l’aiuto che le abbiamo fornito, di aver trattato come banditi degli antichi avversari che non erano certamente rossi. Non è una soluzione mettere fuorilegge una metà del paese mentre una oligarchia di predoni si arricchisce sulla pelle di tutti con la benedizione del clero.
Sono sicuro che tra i presunti rossi spagnoli vi fossero pochissimi comunisti. Noi ci siamo ingannati, perché mai avrei accettato, conoscendo la situazione reale, di “risistemare” nei loro orribili privilegi i preti spagnoli”.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21124

I PENSIERI AMARI E POETICI DELL’ARTISTA E COMPATRIOTA FRANCIS ALLENBY

“Povera terra mia. Povera la mia terra invasa, conquistata, devastata, distrutta e calpestata da una ciurmaglia di gente ignorante, violenta e zotica; una ciurmaglia che non sapeva proferire verbo e che si esprimeva con suoni e grugniti, come gli animali più immondi, come le bestie più disgustose: una ciurmaglia che era arrivata in un paese che era culla di antiche civiltà, di cultura, Madre della lingua che tutti, poi, parlarono. Povera terra mia derubata, espropriata delle sue ricchezze, saccheggiata, spogliata fino all’ultima briciola di grano, fino all’ultimo spicciolo.
Povera terra mia offesa, svergognata, umiliata, violentata, stuprata senza pietà, disonorata e mai più purificata e riscattata.
Coloro che ti hanno offesa avrebbero dovuto chiederti perdono in ginocchio, il viso per terra, il capo sparso di polvere; la loro ignominia, ricaduta su loro e sui loro figli, sarebbe dovuta rimanere come una macchia nera ed incancellabile nelle loro anime, riempiendo le loro coscienze di vergogna e di infamia per sempre. Il loro delitto atroce non doveva cancellarsi, non doveva essere dimenticato, come è stato per altri olocausti più recenti.
Ed invece è stato subito accantonato, messo da parte, come cosa da nulla, inesistente.
Povera terra mia, figlia mia e madre  mia: nessuno ha pianto per te, nessuno ha pianto per le tue figlie rese impure, per i tuoi figli ammazzati senza pietà come agnelli al macello: neppure una lacrima per te è stata conservata.
Povera terra mia, da me così amata, di quel grande amore che hai  pur ripagato con sgarbo e disprezzo, io che nel tuo grembo sono nato riesco a leggere il tuo animo esacerbato dal dolore.
Povera la mia terra, costretta in un angolo, depredata di tutto e indotta ad elemosinare per il resto dei suoi giorni, perché il vincitore, il barbaro conquistatore, potesse assaporare fino in fondo la sua meschina vittoria, la sua vigliaccheria, la sua codardia disumana.
Povera terra mia, te lo dico perché non credo che sarai mai più liberata, che mai più tornerai quella di prima, mai più sarai la ridente terra che i greci avevano eletto a loro giardino, il luogo della eterna primavera e dell’abbondanza delle messi, della gioventù, della bellezza.
Ti dedico queste righe, che servono a poco, e che testimoniano la mia rabbia ed il mio dolore.
Se possono valere qualcosa le lacrime dell’ultimo dei tuoi figli, io te le dono così come sono, amare e salate”.
Francis Allenby

Se è maestra di vita


SCRITTO DA GABRIELE ADINOLFI   
La storia è maestra di vita.
Dovremmo trarne le dovute lezioni e renderci conto delle minacce mortali di cui siamo oggetto.
La storia è maestra di vita.
A patto di conoscerla e di essere presenti a se stessi per riconoscerla nel suo ripetersi.
Il primo obiettivo perseguito e raggiunto dall’oligarchia dominante è stato però proprio quello di falsificare la storia e di mistificarla, affinché non fosse possibile trarne insegnamento. L’ipnosi quotidiana in cui ci ritroviamo immersi è poi un enorme ostacolo per la presenza a se stessi, sicché chiunque sia potuto sfuggire alla mistificazione della storia, magari solo per l’esperienza vissuta sulla propria pelle, quasi mai ha la lucidità e la concentrazione necessarie per sottrarsi alle insidie che lo minacciano. Sicché temo che ben pochi capiscano cosa accada.
Dulles e le multinazionali

Nell’ultimo mezzo secolo la minoranza organizzata e onnipotente degli internazionalisti ha lavorato in Italia e in quasi tutto l’occidente in modo preciso e formidabile.
Il dirigente dell’OSS, quell’Allen Dulles che si era sperticato nelle operazioni che da Istanbul a Wall Street avevano procurato l’avvento e il finanziamento della rivoluzione bolscevica in Russia e quindi si era messo ad arruolare antifascisti per combattere le potenze dell’Asse, fu chiamato ai vertici della politica americana, cioè mondiale, a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta.
Alcune sue frasi sono chiarificatrici, sia degli intenti che lo animavano, sia delle operazioni transnazionali che hanno avuto luogo a partire dal 1961 ” … useremo tutto quello che abbiamo , – tutto l’oro, tutta la potenza materiale nell’ingannare e rendere la gente stupida… Il cervello umano, la coscienza possono essere modificati. Seminandovi il caos, noi scambieremo i loro valori con quelli falsi senza che se ne accorgano e li costringeremo a credere in quella falsità. Come? Troveremo dei complici in quel paese che condividono le stesse idee – i nostri alleati. Episodio dopo episodio, si svolgerà la grandiosa tragedia della morte di un popolo disubbidiente, dell’esaurimento totale ed irreversibile della sua consapevolezza… La letteratura, il teatro, il cinema – tutto rappresenterà e magnificherà le qualità umane più basse. Daremo un supporto infinito ai cosiddetti artisti, che in ogni modo introdurranno nella coscienza umana il culto del sesso, della violenza, del tradimento – diciamo tutta l’immoralità. Nell’amministrazione dello stato creeremo caos e confusione. Noi contribuiremo in modo continuo ed invisibile al dispotismo dei funzionari e delle persone corrotte, alla distruzione dei principi. L’onesta verrà derisa e diventerà inutile, rimarrà nel passato. L’arroganza e la mancanza di rispetto, l’imbroglio e l’inganno, l’alcoolismo e la tossicodipendenza, la paura bestiale di ognuno…il tradimento – tutto questo coltiveremo in modo invisibile ed abile, tutto questo si svilupperà con i colori più forti. Solo pochi, pochissimi saranno in grado di indovinare o addirittura capire cosa succede veramente. Ma queste persone saranno messe in una posizione in cui nessuno le aiuterà in quanto diventeranno degli zimbelli. In questo modo rovineremo generazione dopo generazione. Cominceremo già dai giovani sui quali punteremo tutto, li depraveremo, li pervertiremo. Li renderemo cinici, bestemmiatori, cosmopoliti”.Un pazzo? Un visionario? Un esagerato?
L’Economic Journal, portavoce delle multinazionali americane, dunque della politica mondiale statunitense, nel 1960 pubblicava questo  by Text-Enhance”>programma: “Quel che ci vuole è una rivoluzione delle totalità delle istituzioni e dei comportamenti sociali, culturali e religiosi e, di conseguenza, dell’atteggiamento psicologico, della filosofia e dello stile di vita. Ciò che si richiede si avvicina dunque ad una disorganizzazione sociale. Bisogna provocare l’infelicità e la scontentezza”.E’ stato fatto, con puntuale meticolosità.
I complici di Dulles

In controtendenza ci sono stati uomini e forze magari fondate su di una logica reazionaria, come la Spagna franchista, o su di una dinamica attiva ma antagonista (gollismo, peronismo, nasserismo ecc).
In Italia quei complici di cui parlava Dulles facevano parte dei cerchi della Finanza laica e cosmopolita e della sinistra internazionalista, in particolare di quella legata al comunismo bancario di taglio trozkista.
Ad opporsi, oltre al buon senso di varia gente, ci fu quel mai completamente formatosi partito nazionale, composto da forze eterogenee, solitamente inquadrate nella destra socialista e in parte della sinistra democristiana con il supporto del Msi micheliniano.
Negli ultimi quarant’anni, quando, con l’ausilio degli scherani rossi armati, il partito internazionalista si è abbattuto violentemente sulla nostra nazione, il suo operato ha subito rallentamenti ogni qual volta si sia presentata un’eccezione populista (Craxi, Lega, Berlusconi).
Oggi le eccezioni populiste sono state neutralizzate anche grazie all’inquadramento della protesta nel grillismo foraggiato e controllato da quei vertici trozkisti che vogliono esattamente un’accelerazione di quell’operato genocida che tanto era caro ad Allan Dulles.
I complici di Dulles sono oggi coloro che, da posizioni istituzionali o di potere finanziario e mediatico, perseguono esattamente il piano esposto dal boss dello spionaggio americano e dalla stampa delle multinazionali.Un ruolo particolarmente attivo lo rivestono il Presidente Napolitano, la Cameriera Boldrini, la ministro dell’integrazione Kyenge e, purtroppo, almeno in parte Josefa Idem.
Questa gente procede per strappi e per intossicazioni psicologiche, per esaltazioni da agit-prop e per proposte emergenziali.
A dar loro manforte sostanziale, i soviet in magistratura e le logge a controllo dei corpi speciali.
I tre obiettivi essenziali di chi disfa la nazione

Quello che questa gente sta facendo e quello che la sua azione comporterà ci costringerà a tornarci su più volte e in modo sempre più dettagliato.
Anche perché si annunciano drammi e tragedie di vasta portata.
Le linee perseguite – che sono quelle del genocidio e del liberticidio – sono chiare per chiunque abbia un minimo di conoscenza e due secondi da dedicare per mettere insieme i dati.
E’ necessario però sottolineare come queste minoranze sovversive procedono nella loro conquista progressiva di potere all’interno del potere.
Non hanno mai variato comportamento.
Esse hanno bisogno di alimentare la tensione, di creare clima da guerra civile, di creare contrapposizioni e ostilità sul nulla, di far scannare la gente per ogni ragione, ideologica o meno.
E tutte le campagne oggi in atto perseguono tre obiettivi essenziali: neutralizzare una nazione; minare una nazione; imporre ovunque una logica da guerra civile.
1) La neutralizzazione della nazione è palese in tutte le scelte economiche e politiche, culturali e fiscali. Dal novembre 2011, quando Napolitano ha avviato il golpe internazionalista che ha liquidato l’eccezione populista, il nostro debito si è impennato, il nostro credito si è prosciugato, le nostre forze sociali vive sono state paralizzate, il nostro risparmio è stato attaccato a fondo, il nostro demanio è stato messo in liquidazione, i nostri asset sono stati messi all’asta, Finmeccanica è stata ingabbiata e l’Eni avviata alla privatizzazione.
2) La fine di una nazione passa pure per la sua trasformazione culturale, linguistica, morale, di costume e genetica. Il declino biologico si è accompagnato con l’aborto e con l’individualismo e si è acuito. Il fatto che si voglia a tutti i costi parlare di matrimoni gay non è estrapolabile da questo contesto. Non si tratta, infatti, di dibattere sui diritti civili e fiscali del convivente ma di definire “matrimonio” qualsiasi genere di convivenza, per favorire il concetto di sterilità nelle unioni.
Intanto, con le mistificazioni con cui, in assoluta e conclamata mala fede, le Napoltano’s girls lanciano l’offensiva per lo Ius Soli punta all’avvento di una massiccia immigrazione coatta che finirà con l’ internazionalizzare definitivamente quel che resta di italiano.
3) Questo duplice attacco al cuore della nazione è portato con toni di guerra civile che vanno dalle demonizzazioni continue (oggi l’elemento-chiave è Balotelli) alle ostilità accese tra gruppi politici (di qui il revival dell’antifascismo violento che si accompagna ad altri atti di violenza che sembravano dimenticati, come le aggressioni al comizio del Pdl di Brescia) alla riesumata guerra dei sessi. L’idea stessa d’introdurre il concetto e il termine di “femminicidio” a questo serve: a contrapporre, a rendere litigiosi, a introdurre la logica di guerra civile su cui si fonda il controllo di un’oligarchia che non ha alcuna radice popolare, com’è il nostro caso.
Terrorismo

Si vuole rilanciare, come negli anni settanta, la guerra tra sessi, così come si vuol rilanciare la guerra tra poveri, così come si vuol rilanciare la guerra tra gruppi politici.
Il terrorismo a quello servì: a permettere a comunisti e finanzieri di compiere un colpo di Stato all’interno del potere e di rendere impotente una nazione. Lo stragismo a quello servì e scaturì nella capitolazione dello Stato, nell’abbandono delle nostre politiche estere ed energetiche autonome e nella privatizzazione della Banca d’Italia che ci sottrasse la sovranità monetaria.
Oggi ci troviamo in una nuova fase del medesimo processo: il terrorismo gli è funzionale. E tutti coloro che lo protessero, che lo indirizzarono, che lo foraggiarono e che ne permisero lo sviluppo stanno ai loro posti di comando. Così come lo stanno i comandanti delle formazioni armate che al comunismo globalizzato, al trozkismo, fanno capo, ideologicamente e gerarchicamente.
Le minoranze agitatrici dall’alto delle istituzioni gettano benzina sul fuoco e scatenano la polizia e la magistratura alla persecuzione sistematica. Da un lato aizzano i cani idrofobi dell’antifascismo per avvelenare il clima e dall’altro approfittano della cagnara per procedere con logica emergenziale a ridurre i margini, già esili, di libertà dei sudditi, di qualsiasi sesso, ceto o estrazione.
La storia è maestra di vita.
Dovremmo trarne le dovute lezioni e renderci conto delle minacce mortali di cui siamo oggetto.
La storia è maestra di vita.
A patto di conoscerla e di essere presenti a se stessi per riconoscerla nel suo ripetersi.