Giovanna Canzano intervista ALBERTO MARIANTONI

Giovanna Canzano intervista ALBERTO MARIANTONI 6 settembre 2009

CANZANO 1- L’8 Settembre del 1943, l’Italia ruppe unilateralmente gli accordi con l’Asse (Italia-Germania-Giappone) e chiese ed ottenne l’Armistizio con gli Alleati anglo-americani. Come considera quell’avvenimento della nostra storia?
MARIANTONI – Intanto, non fu un “Armistizio” ma, una semplice resa incondizionata! Completamente estranea a qualsiasi tradizione legata alla guerra, la formula della “resa militare senza condizioni” era stata furbescamente ideata ed arbitrariamente imposta all’insieme degli alleati della Germania, dal Presidente degli Stati Uniti d’America, Franklin Delano Roosevelt, e dal Premier britannico Winston Churchill, nel corso della Conferenza di Casablanca (Marocco), avvenuta presso l’Hotel Anfa, dal 14 al 26 Gennaio 1943, ed alla quale aveva occasionalmente partecipato (senza esservi stato invitato) il Generale Charles de Gaulle, l’allora capo delle forze della cosiddetta Francia Libera. E quella capitolazione senza condizioni – lo ripeto, ingannevolmente fatta passare, agli occhi dei nostri compatrioti, per “Armistizio” … – era già segretamente avvenuta il 3 Settembre 1943, a Cassibile (Siracusa, Sicilia), sotto una tenda militare, con la firma accreditata, per l’Italia, del Generale Giuseppe Castellano, e quella del Generale americano Walter Bedell Smith, per la coalizione USA-GB. Il Maresciallo Pietro Badoglio (Capo del Governo italiano, dopo l’arresto di Mussolini, il 25 Luglio 1943) si decise a rivelarla agli Italiani, alle 19:42 dell’8 Settembre 1943, dalle antenne dell’EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), dopo che il Generale Dwight David “Ike” Eisenhower (Comandante in capo delle Forze Alleate in Europa), l’aveva già fatto, alle 17:30 (18:30 ora italiana) dello stesso giorno, dai microfoni di Radio Algeri.

CANZANO 2- Che cosa rappresentò realmente quell’avvenimento, per il nostro Paese?

MARIANTONI – Sono passati moltissimi anni da quel nefasto 8 Settembre del 1943 … Ma il destino dell’Italia continua ancora oggi ad essere legato e cristallizzato a quell’infausto e catastrofico avvenimento. Inutile nascondercelo. Quella resa – nei termini e nelle condizioni in cui avvenne – non fu soltanto un’ignobile e vergognosa capitolazione militare. Fu soprattutto il peggiore dei flagelli che gli allora responsabili dello Stato e del Governo del nostro Paese potessero infliggere alla Storia della nostra Nazione ed all’avvenire del nostro Popolo.

CANZANO 3- Che cosa intende, in particolare?

MARIANTONI – Vede, quel giorno, purtroppo, non si accettò soltanto di venir meno alla parola data e di ‘tradire con viltà’ (to badogliate: il verbo che gli Inglesi coniarono espressamente per definire quel genere di tradimento!) tutti coloro che fino a quel momento avevano caparbiamente lottato fianco a fianco, nella medesima trincea, per cercare di liberare i Popoli “numerosi di braccia” dagli “affamatori che (ieri, come oggi) continuano ferocemente a detenere il monopolio di tutte le ricchezze della Terra”. Non si accettò unicamente di deporre momentaneamente le armi, per poi immediatamente ed illogicamente riprenderle in sottordine agli ex nemici del giorno prima, nella fallace ed ipocrita illusione di potersi trasformare in co-belligeranti (in proposito, vedere: http://www.funzioniobiettivo.it/medie_file/badoglio.htm#tre) e, quindi, “co-vincitori” di quella guerra. Non si accettò esclusivamente di cancellare, con un banale tratto di penna, l’appena ritrovata dignità di un popolo che – grazie al Governo Mussolini (1922-1943) – era miracolosamente risorto dalle sue ceneri, dopo essere stato ininterrottamente assoggettato, calpestato e deriso dall’insieme delle Nazioni d’Europa e del Mediterraneo, per ben 16 secoli. Quel giorno, insomma, gli ideatori ed artefici di quella resa, si comportarono come dei veri e propri rinnegati del loro Paese.

CANZANO 4 – Potrebbe essere più preciso?

MARIANTONI – Certo. La Monarchia sabauda ed il Governo Badoglio, in obbedienza alle clausole della resa dell’8 Settemebre 1943 e d’accordo con i loro nuovi padroni anglo-americani, commisero due atti imperdonabili: da un lato, ingiunsero scelleratamente alla Flotta italiana – (per saperne di più sul premeditato atteggiamento della Marina italiana durante il Secondo conflitto mondiale, vedere: Antonino Trizzino, “Navi e poltrone”, Mondadori, Milano, 1952; “Gli amici dei nemici”, Longanesi & C., Milano, 1959; “Sopra di noi l’oceano”, Longanesi & C., Milano, 1962; “Navi e poltrone”, edizione aggiornata e migliorata, Longanesi & C., Milano, 1963; “Settembre nero”, Longanesi & C., Milano, 1964; Romeo Bernotti, “Storia della Guerra in Mediterraneo – 1940-1943″, Vito Bianco Editore, Roma-Milano-Napoli, 1960; Pietro Caporilli, “L’Ombra di Giuda, Eroi e Traditori nella tragedia italiana”, Ed. Ardita, Roma, 1962; Angelo Iachino, “Tramonto di una grande Marina. La tattica e la strategia della nostra Marina nel Mediterraneo, durante l’ultima guerra”, Mondadori, Milano, 1966 ; Nino Bixio Lo Martire, “Navi e bugie”, ed. Schena, Milano, 1983; Gianni Rocca, “Fucilate gli Ammiragli – La tragedia della Marina italiana nella Seconda guerra mondiale”, Mondadori, Milano, 1987; Teucle Meneghini, “In Mediterraneo potevamo mettere in ginocchio l’Inghilterra”, Ed. Schena, Milano, 1999; E. Martini, A. Nani, “Navi che non combatterono”, Rivista Marittima, 2001; Carlo De Risio e Roberto Fabiani, “La Flotta tradita – La Marina italiana nella Seconda Guerra Mondiale”, De Donato-Lerici editori, Roma, 2002 ; Daniele Lembo, “Le portaerei del Duce, Le navi portaidrovolanti e le navi portaerei della Regia Marina”, Ed. Grafica MA.RO, Copiano, PV, 2004) – di consegnarsi volontariamente agli anglo-americani e, dall’altro – per distrarre il maggior numero di forze militari tedesche dai diversi fronti di guerra e creare insormontabili problemi logistici al III° Reich – sacrificarono proditoriamente, lasciandole allo sbando e senza ordini, il resto delle nostre Forze armate che furono quasi interamente disarmate e catturate dalla Wehrmacht.

CANZANO 5 – Potrebbe fornirci dei dati?

MARIANTONI – Senz’altro. Per quanto riguarda la Flotta italiana, questo l’elenco delle navi italiane che i Comandi della Marina consegnarono volontariamente agli anglo-americani, a Malta: (Corazzate) Giulio Cesare, Caio Duilio, Andrea Doria; (Incrociatori) Cadorna, Duca degli Abruzzi, Duca D’Aosta, Eugenio di Savoia, Garibaldi, Montecuccoli, Pompeo Magno; (Cacciatorpediniere) Da Recco, Velite, Artigliere, Grecale, Oriani; (Torpediniere) Aliseo, Animoso, Ardimentoso, Aretusa, Ariete, Calliope, Carini, Fabrizi, Fortunale, Libra, Mosto, Orione; (Sommergibili) Alagi, Atropo, Axum, Bandiera, Bragadin, Brin, Corridoni, Galatea, Giada, Jalea, Marea, Menotti, Nichelio, Onice, Settembrini, Squalo, Turchese, Vortice, Zoea + H1, H2, H4; Nave esploratore Riboty; (Corvette) Ape, Cormorano, Manaide, Gabbiano, Minerva, Pellicano. Oppure, presso il Grande Lago Amaro, in Egitto: (Corazzate) Littorio/Italia e Vittorio Veneto. O ancora, a Ceylon: Sommergibile Cagni e Nave Coloniale Eritrea. Queste le unità che preferirono auto-affondarsi: (Incrociatori) Taranto e Bolzano; (Cacciatorpediniere) Zeno, Corazziere, Maestrale; (Torpediniere) Cascino, Ghibli, Lira, Montanari, Procione, Impetuoso, Pegaso; (Corvette) Berenice, Euterpe, Persefone; (Cannoniere) Lepanto e Carlotto; Posamine Buccari; (Sommergibili) Ambra, Ametista, Aradam, Argo, Murena, Serpente, Sirena, Sparide, Volframio; (Motoscafi anti-sommergibile) Mas-423, Mas-424, Mas-437, Mas-553, Mas-559; Dragamine R.D.13; (Navi Cisterna) Pagano e Scrivia; Posacavi Città di Milano; Nave trasporto Vallelunga; ecc.; Queste le navi che furono affondate dalla Marina o dall’Aviazione tedesche: Corazzata Roma; (Cacciatorpediniere) Da Noli, Vivaldi, Sella, Euro; (Torpediniere) Stocco, Sirtori, Cosenza; Sommergibile Topazio. Queste le navi che si rifugiarono nei porti neutrali spagnoli: Incrociatore Attilio Regolo, (Cacciatorpediniere) Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere + 5 unità minori. Alla “faccia” delle navi che non avevamo per contrastare adeguatamente lo sbarco anglo-americano di Pantelleria (capitolazione: 11 Giugno 1943); di Lampedusa (capitolazione: 12 Giugno 1943); in Sicilia (Licata-Gela-Marzamemi-Portopalo-Maucini-Pachino-Punta Castellazzo-Avola-Scoglitti-Siracusa-Augusta – “Operazione Husky” – 10 Luglio 1943 – fine dei combattimenti in Sicilia: 17 Agosto 1943); di Salerno (inizio dello sbarco: 8 Settembre 1943). C’è ancora bisogno di capire o di interpretare il significato ed il senso delle parole del successivo inno della Xª Mas: “Navi d’Italia che ci foste tolte, non in battaglia ma, col tradimento…”? E non si venga a dire che le nostre navi da guerra, pur numerose, mancavano comunque di nafta sufficiente per ingaggiare battaglia con la flotta anglo-americana! Come precisa Piero Sella – nell’articolo, El Alamein e la “guerra sbagliata”, L’Uomo Libero, N. 55, Aprile 2003, pag. 16 – “La marina aveva allora, nei suoi 32 depositi sparsi nei vari ancoraggi nazionali, oltre 2 milioni di tonnellate di nafta”!).

CANZANO 6 – E per quanto riguarda il resto delle Forze armate italiane?

MARIANTONI – Come sappiamo, i Tedeschi, nell’intento di fare fronte alla defezione italiana dai diversi fronti di guerra – con l’Operazione Achse (“Asse”) che venne lanciata alle 19:50 dell’8 Settembre 1943, dall’Oberkommando der Wehrmacht (OKW) – riuscirono a catturare e disarmare ben 82 Generali, circa 13.000 ufficiali e 402.600 soldati italiani. Secondo altre fonti, si parla addirittura di un totale di 1.006.730 di prigionieri (Italia settentrionale 415.682; Italia centro-meridionale 102.340; Balcani 164.986; Grecia ed isole dell’Egeo 265.000; Francia 8.722). Il tutto, senza contare l’annientamento dell’intera Divisione Acqui sull’isola di Cefalonia, in Grecia. Per maggiori informazioni su questi argomenti, vedere: Gianni Oliva, “I vinti e i liberati, 8 Settembre 1943 – 25 Aprile 1945″, Arnoldo Mondadori, Milano, 1994; Gerhard Schreiber, “I Militari Italiani internati nei campi di concentramento del III Reich”, SME – Ufficio Storico, Roma, 1997.

CANZANO 7 – Tutto questo sacrificio, per liberarci dal Fascismo?

MARIANTONI – Io direi, soprattutto per permettere all’ultimo Re traditore e fuggiasco (e, da allora, fortunatamente, cancellato dalla Storia, con la sua dinastia!), a suo figlio il Principe ereditario (soprannominato “Stellassa” o “U’ ricchione con gli stivali”), al fellone Capo del suo Governo (già “Marchese del Sabotino”: leggi, del sabotaggio), ad una banda di Ammiragli, Generali e politici opportunisti o voltagabbana (tra i più noti: Raffaele De Curtain, Pietro d’Acquarone, Giacomo Zanussi, Mario Roatta, Paolo Puntoni, Antonio Sorice, Franco Maugeri, Bruno Brivonesi, Renato Sandalli, Giovanni Cuomo, Raffaele Guariglia, Umberto Ricci, Vito Reale, Gaetano Azzariti, Domenico Bartolini, Guido Jung, Pietro Parrone, Carlo Galli, Giovanni Acanfora, Leopoldo Picardi, Epicarmo Corbino, Carlo Favagrossa, ecc.), a diversi banchieri massoni (vedere, in proposito: http://www.italiasociale.org/articoli2006/notizie160106-1.html) notoriamente collusi con la Mafia (leggere per credere : http://www.liberamenteonline.info/index.php?option=com_content&view=article&id=727:storia-segreta-dello-sbarco-alleato-in-sicilia&catid=68:guerre-segrete&Itemid=106), ed a qualche sparuto e ben pasciuto oppositore (tra i più conosciuti: Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Benedetto Croce, Carlo Sforza, Giulio Rodinò di Miglione, Pietro Mancini, Palmiro Togliatti, Salvatore Aldisio, Quinto Quintieri, Taddeo Orlando, Antonio De Curtein, Adolfo Omodeo, Alberto Tarchiani, Fausto Gullo, Attilio Di Napoli, Francesco Cerabona, Vincenzo Arangio-Ruiz, ecc.) dell’appena spodestato Regime fascista, di salvarsi fisicamente le “chiappe” dalle immancabili e legittime rappresaglie dell’ex alleato germanico ingannato e tradito, mettendosi “coraggiosamente” al sicuro, dietro le linee di fronte dell’ex nemico, con l’accondiscendente e interessata complicità e protezione degli eserciti anglo-americani invasori. Questo genere di “gentiluomini”, per il loro tradimento (in certi casi, sin dal primo giorno di guerra!), verranno premiati dalla Coalizione alleata, con l’inserimento, nel Trattato di Pace di Parigi del 1947, dell’Articolo 16 che così recitava: “L’Italia non incriminerà né altrimenti perseguirà alcun cittadino italiano, specialmente gli appartenenti alle forze armate, per avere tra il 10 giugno 1940 e la data dell’entrata in vigore del presente trattato, espresso la loro simpatia per la causa delle Potenze Alleate o aver condotto un’azione a favore di detta causa”.

CANZANO 8 – Insomma, è su questa “celeberrima”, “gloriosa” ed “esaltante” pagina della nostra Storia che si fonda la cosiddetta Resistenza e la successiva restaurazione della democrazia parlamentare rappresentativa, nonché l’ulteriore nascita dell’attuale Repubblica antifascista?

MARIANTONI – Questa, purtroppo, è la realtà. Altro che i “miti resistenziali” che ci hanno interessatamente raccontato negli ultimi 66 anni! Non dimentichiamo, inoltre, che gli ideatori ed artefici della capitolazione dell’8 Settembre, non hanno soltanto infangato la Storia e l’Onore di tutto un Popolo. Hanno, soprattutto, intenzionalmente e perversamente accettato – senza nessun genere di mandato da parte del Popolo italiano – di rinunciare alla libertà, all’indipendenza, all’autodeterminazione ed alla sovranità politica, economica, culturale e militare della nostra Patria.

CANZANO 9 – E, poi, ci si meraviglia che, in Italia, non ci sia più, da allora, una memoria storica condivisa; una Patria comune; un senso ordinario dello Stato; una visione generalizzata e partecipata del dovere sociale; una volontà collettiva di vivere insieme e di portare, ognuno, la sua “pietra” al cantiere della Nazione, per il bene comune?

MARIANTONI – Le dirò di più. Ci si sbalordisce, ad esempio, che la politica – da “interesse generale di una società nei confronti, nei riguardi o nell’indifferenza di altre società” (Aristotele) – si sia trasformata, da allora, nel mio interesse di parte, contro il tuo; il tuo, contro il mio; il nostro, contro il loro; il vostro, contro il nostro o contro il loro, e così via, tutti facenti parte della stessa società. Che l’economia – da “arte di bene amministrare o di ben gestire quello che già posseggo, senza entrare in conflitto o contraddizione con l’interesse generale del popolo o della nazione di cui faccio parte” – sia diventata l’arte di arricchirsi individualmente, anche a discapito dell’interesse generale della società o, nella più parte dei casi, semplice sinonimo di fare esclusivamente i “propri affari” personali… ignorando, contrastando o sopraffacendo l’interesse economico generale del popolo e/o della nazione di cui si fa parte. Che il sociale – da “spazio di autocoscienza collettiva che, individualmente e collettivamente alimentato, permetteva ad ogni cittadino di essere, di esistere e di ricevere, senza per altro doversi mai umiliare o genuflettere nei confronti di nessuno” – si sia trasfigurato in quella giungla di egoismi reciproci, all’interno della quale, nella speranza di essere e di esistere, si cerca semplicemente di arraffare ciò che si può agguantare o abbrancare, e ci si rifiuta di dare o si fa finta di non potere accordare (o si tende a resistere con tutti i mezzi, per evitare di dover concedere) ciò che, invece, ognuno potrebbe senz’altro condividere, elargire o offrire.

CANZANO 10 – E che dire dei nostri “liberatori” di allora?

MARIANTONI – Gli Italiani, oggi, si stupiscono che i nostri “liberatori” del 1943-1945, abbiano, da allora, ampiamente dimostrato di essere i nostri più biechi ed invadenti colonizzatori politici, economici e “culturali”; che il nostro territorio nazionale continui, dal 1945, ad essere praticamente occupato da più di 100 basi ed istallazioni militari e logistiche Usa e Nato (si può vedere in proposito, il mio: Dal “Mare Nostrum” al “Gallinarium Americanum” – Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente, articolo, EURASIA – rivista di Studi Geopolitici, No. 3 – 2005, pp. 81-94; una mia rimessa a punto sul sito Eurasia, a proposito di alcune contestazioni: http://www.cpeurasia.org/?read=6655; Programma Matrix: http://www.youtube.com/watch?v=zta5359CHhA – e per averne la certezza: http://www.defenselink.mil/pubs/BSR_2007_Baseline.pdfhttp://www.stormingmedia.us/83/8357/A835784.htmlhttp://www.geocities.com/Pentagon/9059/usaob.html – oppure, per gli ultimi dati aggiornati al 2008, digitare su Google: Department of Defense Base Structure Report (BSR) FY 2008 Baseline – c’è un pdf da scaricare. Vedere ugualmente : Le basi USA in Italia 1ª parte – you tube – http://www.youtube.com/watch?v=ith_t0fXJWA – Le basi USA in Italia 2ª parte – you tube – http://www.youtube.com/watch?v=nxPCD6nallE&feature=related); che i nostri soldati siano diventati dei semplici meharisti/ausiliari di Us-Israel, a completa disposizione dei loro inconfessabili interessi e “ruschi” in Palestina, nei Balcani, in Iraq e/o in Afghanistan; che i partiti politici italiani (di Destra, di Sinistra, di Centro, di Centro-Destra e di Centro-Sinistra) siano tutti indistintamente asserviti al “partito americano”; che a seguito di due G-20 (Londra e L’Aquila – va da sé che il prossimo G-20, previsto a Pittsburgh per il 24 ed il 25 Settembre 2009, sarà la copia conforme dei precedenti!) – espressamente convocati per far fronte alla crisi economica in corso e tentare di mettere un freno agli imbrogli ed ai “tours de passe-passe” della Finanza internazionale (per evitare – così, ogni volta, ci viene assicurato! – che possano avvenire ulteriori e più catastrofiche rapine organizzate o nuove e più assurde “socializzazioni delle perdite” alla faccia e sulla schiena del contribuente) – non sia avvenuto nulla che lasci sperare in un migliore avvenire (al contrario, in Borsa – nonostante le recenti “sparate” dall’Eliseo – tutto continua a svolgersi come prima della crisi, se non peggio di prima!).

CANZANO 11 – Allora, non ci dobbiamo sorprendere se le uniche notizie dal mondo che ci è ancora concesso di conoscere sui media, sono quelle che interessano esclusivamente Washington e Tel-Aviv?

MARIANTONI – Purtroppo, non sappiamo nient’altro! Decine di guerre in Africa, in questo momento, e nessuno ne parla… A questo aggiunga che il “Signoraggio” ed i relativi arbitrari interessi, illegalmente pretesi dalle Banche di emissione sugli ordinari tiraggi di carta-moneta, continuano a rappresentare i nove decimi del nostro debito interno; che quando l’attuale Ministro dell’Economia e delle Finanze si era permesso il lusso (vista la crisi economica in corso) di proporre di tassare straordinariamente gli enormi guadagni della Banca d’Italia che erano stati automaticamente registrati da quest’ultima attraverso la rivalutazione borsistica dell’oro/metallo delle sue riserve (da 300 dollari l’oncia agli attuali all’incirca 950 dollari!), gli sia stato semplicemente risposto “picche”, con l’istantanea ed automatica “levata di scudi” ed il qualificato ed insindacabile avallo della Caryatis quirinalensis, degli abituali leccapiedi dei poteri forti di Bruxelles e degli gnomi della BCE.

CANZANO 12 – E che dire di Berlusconi che – dopo che si era pubblicamente cosparso la “testa di cenere” nei confronti del leader libico Gheddafi e l’aveva ricevuto in pompa magna a Roma, per cercare di assicurare un minimo di autonomia energetica all’Italia ed un po’ di lavoro per le nostre imprese in fallimento o in estrema difficoltà – sia stato immediatamente convocato a Washington?

MARIANTONI – E’ stato convocato a Washington, il pomeriggio stesso della partenza dall’Urbe del Beduino della Sirte, per la rituale “tiratina d’orecchi” (ah no, caro mio, così non va! Il Vicino e Medio Oriente, come lei sa, è una nostra “riserva di caccia”…). E, da quel momento – nonostante la sua infaticabile e volenterosa fedeltà ad Us-Israel – ugualmente sottoposto al sadico e vizioso “pilotto” della stampa (di centro, di centro sinistra e di sinistra), per le sue “innocenti” scappatine pecorecce, con sfacciati ed insistenti argomenti “calvinisti”… (tanto cari ai “puritani” di Londra e d’oltre Atlantico!) e l’implicito e premeditato (e… mal calcolato!) intento di costringerlo a dimissionare, per farlo rimpiazzare, come Primo ministro, dall’attuale Governatore di Bankitalia (un fedelissimo della Goldman Sachs: un nome, una garanzia!). Il tutto, naturalmente, senza dimenticare che il problema degli immigrati extra-comunitari provenienti dal Sud del Mediterraneo – Commissione europea dixit… – deve invariabilmente continuare ad essere risolto, solo ed esclusivamente dall’Italia. Come se “l’oceano di miseria” del mondo o soltanto dell’Africa e del Vicino-Oriente, potesse essere unicamente “digerito” ed assimilato dalla limitata capienza del “bicchiere” Italia!

CANZANO 13 – D’accordo, ma che c’entra tutto ciò, con la capitolazione italiana dell’8 Settembre 1943?

MARIANTONI – C’entra, c’entra… Altrochè se c’entra! Proviamo ad immaginare, per un attimo, quale avrebbe potuto essere l’avvenire dell’Italia, se tra il 25 Luglio e l’8 Settembre 1943 – invece di gettare frettolosamente e criminalmente, con “l’acqua sporca” di certi errori del Fascismo, anche il “bambino” dei suoi indiscutibili successi politico-economici, delle sue realizzazioni e delle sue, ancora oggi, insuperate conquiste sociali – si fosse realisticamente tentato di realizzare un’assennata e doverosa sintesi tra Fascismo ed Antifascismo, e tutti assieme, si fosse giunti alla sana ed equilibrata decisione di impiegare le comuni energie, per far fronte agli eserciti anglo-americani invasori (ed eventualmente – perché no! – anche per contrastare, ridimensionare o infirmare una certa arroganza tedesca), per avere comunque la speranza di potere ottenere, non dico una vittoria o un “pareggio” ma, quantomeno, una pace più ragionevole, con un minimo d’onore.

CANZANO 14 – “Del senno del poi – direbbe Alessandro Manzoni – ne son piene le fosse”!

MARIANTONI – Certo, e conosciamo ugualmente come andarono effettivamente le cose. Quel maledetto 8 Settembre, purtroppo – contro ogni umana logica ed ogni ordinario buon senso, e dimenticando che la Libertà, ad un Popolo, non la regala mai nessuno! – si preferì la “fazione”, alla Nazione. E tra i due “litiganti” (fascisti ed antifascisti), vinse l’imperialismo USA (da sempre, fedele mercenario della Finanzia internazionale cosmopolita). Un cancro che ancora oggi – in nome del libero mercato e della democrazia del numero – continua immutabilmente ad ammorbare, corrodere e consumare – oltre alla dignità dell’insieme dei popoli del mondo – i resti dell’antico tessuto connettivo della nostra Nazione.

CANZANO 15 – Come la Storia ci insegna, però, sappiamo altresì che “non è mai troppo tardi”…

MARIANTONI – Inutile nasconderci dietro ad un dito. Sappiamo benissimo che la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare dell’Italia e dell’Europa dipendono soltanto da noi e dalla volontà che avremo, in un prossimo futuro, di volerle collettivamente ed irriducibilmente riconquistare. Il va sans dire: senza distinzioni politiche o partitiche di sorta!

CANZANO 16 – …per concludere?

MARIANTONI – Per potere di nuovo sperare di essere libera indipendente e sovrana, l’Italia deve assolutamente riuscire a liberarsi dal tradimento e, con esso, da tutte quelle “comparse” che, ieri come oggi – in veste da valvassini o da valvassori (o da aspiranti tali…) ed in nome di quell’immondo e riprovevole 8 Settembre – continuano impunemente a governarci per conto terzi ed a gozzovigliare sadicamente sulle nostre spalle, come se l’Italia dovesse rimanere per sempre una Colonia statunitense e la Seconda guerra mondiale si fosse conclusa soltanto ieri.

BIBLIOGRAFIA ESENZIALE

Alberto Bernardino Mariantoni è nato a Rieti ( I ), il 7 Febbraio del 1947. E’ laureato in Scienze Politiche e specializzato in Economia Politica, Islamologia e Religioni del Vicino Oriente, nonché Master in Vicino e Medio Oriente. Politologo, scrittore e giornalista, è stato per più di vent’anni Corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra e per circa quindici anni sul tamburino di «Panorama». Ha collaborato con le più prestigiose testate nazionali ed internazionali, come «Le Journal de Genève», «Radio Vaticana», «Avvenire», «Le Point», «Le Figaro», «Cambio 16», «Diario de Lisboa», «Caderno do Terceiro Mundo», «Evénements», «Der Spiegel», «Stern», «Die Zeit», «Berner Zeitung», «Il Giornale del Popolo», «Gazzetta Ticinese», «24Heures», «Le Matin», «Al-Sha’ab», Al-Mukhif Al-Arabi», nonché «Antenne2», «Télévision Suisse Romande», «Televisione Svizzera Italiana», ecc. E’ esperto di politica estera e di relazioni internazionali, con particolare riferimento ai paesi arabi e musulmani e dell’Africa centrale ed occidentale. Ha al suo attivo decine e decine di inchieste e di reportages in zone di guerra e di conflitti politici. E’ autore di oltre trecento interviste ai protagonisti politici ed istituzionali dei paesi del Terzo Mondo e della vita politica internazionale. Ha insegnato presso la Scuola di Formazione continua dei giornalisti di Losanna e, recentemente, presso lo I.E.M.A.S.V.O – Istituto ‘Enrico Mattei’ di Alti Studi sul Vicino e Medio Oriente di Roma. E’ stato Professore invitato presso numerose Università Europee e Vicino-Orientali. Ha scritto: «Gli occhi bendati sul Golfo» (ed. Jaca Book, Milano 1991) e «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (ed. Pygmalion, Paris, 1992). Dal 1994 al 2004, è stato Presidente della Camera di Commercio Italo-Palestinese. Per maggiori informazioni, vedere: http://aeternia.it/aeternia/abm/Alberto%20B.%20Mariantoni.htmhttp://aeternia.it/aeternia/abm/Foto.htm

http://www.ladestra.info/?p=19907

Del tramonto della razza bianca



Una introduzione


“L’ineguaglianza degli uomini è uno dei fondamenti di ogni cultura … Alla base di questa ineguaglianza, vi è una differenza nelle capacità. Avviene la stessa cosa tra i gruppi sociali”
Konrad Lorenz in 1974-1975.

Presentiamo qui alcune note riguardo a un autore statunitense che godette ai suoi tempi di una certa fama e riuscì a influenzare seppur marginalmente, certi aspetti della politica del suo paese. Si tratta di note che chi scrive spera di rielaborare in futuro in un saggio di maggior ampiezza.

In Italia, com’è noto, si continua a parlare, sul piano storico e su quello politico del fascista, ma, di solito, si tende a trascurare il fatto che ancor prima della nella politica del Regime costituita dalle , lo stesso Benito Mussolini aveva più volte espresso le sue preoccupazioni riguardo al futuro della paventando che essa potesse, prima o poi, venire sommersa dalla marea crescente dei popoli di colore.(Cfr ad es. Eric Wright Six Degrees Books, USA, 2011, pag.24 e segg.).Su , in data 9 giugno 1934, il Duce scriveva: “L’Europa muore. La razza bianca si va assottigliando con progressiva regolarità. Di qui a un paio di secoli i cartografi registreranno il vecchio continente fra le colonie degli imperi orientali.”. E il 4 settembre 1934 “si tratta di sapere se davanti al progredire in numero e in espansione delle razze gialle e nere, la civiltà dell’uomo banco sia destinata a perire.”(1). D’altra parte, già da tempo alcuni lucidi spiriti avevano intravvisto che cosa poteva riservare il futuro. Agli inizi dello scorso secolo il famoso poligrafo francese Gustave Le Bon aveva scritto: “ I nostri principi umanitari ci condannano a subire una crescente invasione di stranieri” (Monanni, Milano, 1927, pagina 138) e ancora, profeticamente, aveva aggiunto (pag. 139) “I peggiori disastri sui campi di battaglia sono infinitamente meno temibili di tali invasioni.” (Di questo ancora attuale studioso francese cfr. anche l’antologia Les Amis de Gustave Le Bon, Paris, 1987). Si trattava di preoccupazioni cui gli eventi successivi, specialmente dopo il 1945, avrebbero dato indubbiamente nuove giustificazioni, preoccupazioni che erano diffuse in tutte il mondo bianco occidentale e che, allora, al contrario di oggi non era esprimere.

Un autore che, denunciando i pericoli che correva la Razza Bianca, ottenne una certa popolarità negli Stati Uniti ed anche in Europa fu Theodore Lothrop Stoddard (2). Chi scrive ebbe a scoprire lo Stoddard sulle pagine di di Julius Evola, cfr l’edizione AR, Padova, 1994, a pag.136 si legge in nota “L’americano LOTHROP STODDARD ha scritto un libro interessante per interpretare razzialmente i movimenti rivoluzionari dell’epoca presente e riconoscere come loro substrato biologico una sub umanità.” (3)

Theodore Lothrop Stoddard nacque il 29 giugno 1883 a Rookline nel Massachusetts, frequentò l’Università di Harvard laureandosi magna cum laude nel 1905, per poi passare a studiare Legge alla Boston University, infine ebbe un Ph.D. in Storia dall’Università di Harvard nel 1914. Fu un autore assai prolifico: oltre a scrivere ben 22 libri, collaborò anche a riviste di alta tiratura quali il e il Nella sua introduzione all’edizione Noontide Press del 2000 di così Rachel F. Dixon riassumeva le posizioni dello Stoddard (pag. III) “La razza è il fattore chiave della nascita e della caduta delle civiltà La civiltà è cosa fragile che può essere costruita solo da un popolo omogeneo la cui intelligenza e il cui carattere sono di buona qualità. I migliori e più civilizzati tra i popoli bianchi corrono il pericolo di venire sommersi dalle prolificanti ed irresponsabili razze di colore. In America (USA) i migliori elementi sono i discendenti delle antiche stirpi dell’epoca anteriore all’indipendenza, che hanno fondato gli USA; ma le susseguenti ondate di immigrati hanno portato in Nord America elementi di livello sempre più inferiore .” Già il De Gobineau (Voghera, Roma, 1912, pag.8) aveva scritto: “..io dovetti convincermi di questa evidenza: che la questione etnica domina tutti gli altri problemi della storia, ne tiene la chiave e che l’ineguaglianza delle razze, il cui concorso forma le nazioni, basta a spiegare tutto il concatenamento dei destini dei popoli.” Dopo di lui, tra i tanti, si può ricordare il francese Jules Soury che nella (Plon, Paris, 1902, pag.123) asseriva “Qualunque cosa si sia preteso a questo proposito, la considerazione del fattore razziale rimane capitale nella storia del mondo. Nel passato come nel presente, esso resta la spiegazione ultima della natura delle azioni e delle reazioni dell’individuo nella lotta per lì esistenza.”. Vi è senz’altro del vero in codeste vedute, meno unilateralmente scriveva Adriano Romualdi (Ar, Padova, 1978, pag.185) “Il fattore razziale non spiega da solo l’intero meccanismo delle vicende umane. La razza è molto, ma non è tutto: forse è solo un frammento di quelle forze dalle quali nasce la storia”.Comunque è, non dimentichiamolo.“Nella storia e dietro la storia esistono ed agiscono le razze, da intendersi naturalmente come entità ad un tempo naturali e spirituali”Julius Evola Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1985, pag.25.

Della vasta produzione dello Stoddard ci si limiterà qui, proponendoci di ritornare più diffusamente su codesto autore, soprattutto alle due opere più importanti (e ) e a dare qualche cenno di quelle di cui chi scrive ha diretta conoscenza. Dalla sua tesi di laurea ebbe origine la sua prima opera di una certa importanza (ne utilizziamo una ristampa anastatica dei Sons of Liberty P.O.Box 76062 Metaire, Louisiana, USA) in cui narrava gli avvenimenti conseguenti alla Rivoluzione Francese e alla diffusione delle idee dell’89 nella colonia francese: negri, mulatti e bianchi infiammati da odi politici e razziali sprofondarono in un caos di violenza da cui a uscire trionfante fu l’elemento negro. I vincitori edificarono sulle rovine della già fiorente colonia quella repubblica di Haiti che fino ad oggi ha costituito la fortezza inespugnabile della barbarie. (4) La prefazione del libro inizia: “La lotta a livello mondiale tra le razze primarie dell’umanità- il conflitto “di colore”come è stato felicemente denominato- appare destinato ad essere il problema fondamentale del XX secolo, e grandi comunità come gli Stati Uniti d’America, la Confederazione Sud Africana e l’Australasia considerano la “questione di colore” come forse il più grave problema del futuro. Nella nostra epoca, in ogni modo, la Rivoluzione Francese a San Domingo-, il primo grande scontro tra l’’idea della supremazia bianca e quella dell’eguaglianza razziale, che spazzò via dalla carta geografica del mondo bianco la più bella colonia della Francia e diede inizio al più noto tentativo di auto governo negro- non può non essere di peculiare interesse”. E poco oltre “La lotta si chiuse dopo sessanta anni con il completo annientamento degli ultimi resti della popolazione bianca e la subordinazione della casta dei mulatti ai negri e la distruzione della prosperità economica dell’isola.”

Lo Stoddard fu soprattutto un osservatore e studioso della politica mondiale. Del 1917 è il libro (The Century, New York, 1918.) in cui fornisce un quadro dell’Europa durante il primo conflitto mondiale, ci si limita qui a pochi spunti. Trattando della Gran Bretagna il nostro nota come vi fu chi giunse a nutrire qualche perplessità riguardo all’’allearsi con la Russia slava contro la Germania teutonica, mentre in Germania, naturalmente, la propaganda aveva buon gioco ad agitare la minaccia della Russia non solo slava, ma anche semi mongola, il fatto che la Gran Bretagna si fosse schierata con l’Impero Zarista veniva visto come un tradimento verso la civiltà europea anche se taluni Junker rimpiangevano ancora i tempi dell’alleanza tra la Prussia e la corte moscovita. Alcune voci si levavano già a profetizzare che i veri vincitori della fratricida lotta fra europei sarebbero state le razze di colore. Data la sua composizione etnica la situazione dell’Austria Ungheria appariva complessa, tuttavia lo Stoddard non mancava di rilevare i sentimenti di lealismo verso Vienna nutriti da molti appartenenti alle minoranze. Per qual che riguardava la Russia il nostro non mancava di elogiare l’opera riformatrice dello Stolypin, e di denunciare le velleità dei panslavisti che volevano estendere il dominio di tali popoli fin alle porte di Berlino, comunque notava(pag.200 dell’ed.The Century, New York, 1918) che “..molti reazionari e conservatori non avevano mai apprezzato l’alleanza russa con la Gran Bretagna liberale e la Francia radical – socialista…”.Piuttosto “avevano a lungo pensato che un accordo con le conservatrici potenze teutoniche sarebbe stato una salvaguardia contro il pericolo di una rivoluzione in Russia.”Riguardo ai neutrali paesi scandinavi lo Stoddard notava le simpatie nutrite per la Germania dai circoli aristocratici, militari ed intellettuali olandesi, mentre in Svezia il timore verso la Russia procurava simpatie nei riguardi di Berlino e non mancava chi avrebbe voluto scendere in campo al fianco dei soldati del Kaiser Guglielmo. In Spagna i nostalgici della grandezza imperiale ed i monarchici carlisti guardavano con favore alle Potenze Centrali. Per quel che riguarda la nostra Italia notava che elementi cattolici nutrivano, prima dell’ingresso nel conflitto una tiepida simpatia, verso Berlino e Vienna, altri avevano nutrito una certa avversione verso la Gran Bretagna, “Questo settore anti alleati e filo tedesco dell’opinione pubblica italiana, non era numeroso ma influente”(pag.153) Riguardo ai nazionalisti il nostro notava come il loro fosse un movimento più propriamente che e rimarcava come alcuni di loro allo scoppio della guerra europea non avessero escluso di schierarsi con gli allearti della Triplice. Purtroppo la storiografia ha lasciato nel più completo oblio questi italiani che nel 1914-1915 avrebbero voluto fare una scelta opposta a quella che venne poi fatta, o per lo meno difesero la neutralità con accenti non sfavorevoli agli antichi alleati di Berlino e anche di Vienna, ne fece cenno il Volpe nel suo (Istituto per gli Studi di Politica Estera, Roma, 1940- Cfr anche Pino RautiCEN, Roma, 1966 ) Credo utile riproporre quanto ebbe a scrivere Julius Evola () Mediterranee, Roma, 2001, pag.135) “Con l’ e con la guerra contro le democrazie … si andò a fare esattamente quel che si sarebbe dovuto fare nel 1914,…. Qualcuno ha voluto vedere una specie di Nemesi storica,un rapporto di azioni e reazioni concordanti nel fatto che l’Italia, vinta una guerra che non avrebbe dovuta fare(1915-1918), perse quella che doveva fare(1940-1945)”.Evidentemente anche Benito Mussolini volle la guerra dalla parte(naturalmente nel 1915, non nel 1940!)

Nel 1920 lo Stoddard pubblicò la sua opera rimasta più famosa (“La marea crescente delle razze di colore contro la supremazia mondiale bianca”), il libro(utilizziamo qui l’edizione C.Scribner’Sons, New York, 1921, ma in seguito ve ne furono molte altre ancora in commercio) ebbe un’introduzione di Madison Grant allora famoso sostenitore americano della superiorità della “razza nordica” (5). In codesta introduzione il Grant tracciava una sintesi della storia mondiale dal punto di vista dei popoli bianchi e specialmente di quelli “nordici”Egli vi tratteggiava la storia delle tentate invasioni dell’Europa da parte di popolazioni asiatiche (Cfr.a tale proposito G.De Reynold Idee in Movimento, Genova, 2008) Per poi notare che quando scriveva “l’Asia sotto la maschera del bolscevismo con una dirigenza semitica e plotoni di esecuzione cinesi,.sta organizzando un assalto all’Europa occidentale(XXXI)(6). Dopo le stragi della Prima Guerra Mondiale, ulteriori conflitti tra popoli bianchi sarebbero stati per il Grant un vero e proprio suicidio razziale “Se bisogna combattere, che la lotta non sia una guerra civile tra fratelli di sangue ma contro le pericolose razze straniere, sia che esse avanzano con la spada in pugno o nella veste ancor più insidiosa di mendicanti che chiedono alle nostre porte di venire ammessi a godere della nostra prosperità”(XXX)(7)

Anche per lo Stoddard il conflitto mondiale è stato una guerra civile tra i bianchi, tutto il mondo bianco ne è uscito indebolito e ciò apre possibilità catastrofiche, se per il momento non erano da attendersi conquiste a mano armata di territori “bianchi”da parte dei popoli da colore, si profilava però un pericolo ancora più grande: quello di “… conquiste effettuate tramite migrazioni che avrebbero fatto dilagare intere popolazioni e mutare territori oggi bianchi in terre degli uomini di colore irrimediabilmente perse per l’uomo bianco.”L’Autore notava i segni del risveglio dei popoli di colore a cominciare da quelli asiatici, in crescita dopo la rovinosa sconfitta della Russia nel conflitto col Giappone del 1904 1905 (8) In effetti pareva quasi che il Giappone volesse coniugare la propria politica di espansione a una lotta di liberazione dei popoli asiatici dal dominio bianco, una tendenza che sarebbe riaffiorata nel II conflitto mondiale. Lo Stoddard non escludeva che i Cinesi avrebbero potuto in futuro rivolgere i loro sguardi alla Siberia e in effetti, parrebbe che attualmente stiano muovendo alla conquista di codesta immensa regione grazie ad una massiccia immigrazione per ora pacifica, L’autore passava poi a parlare del dei paesi islamici, del progresso di tale religione nell’Africa negra e dei vari fermenti indipendentistici di Nord Africa e Medio Oriente, riguardo all’Africa . Per il Nostro il mondo bianco doveva prepararsi a rinunciare al dominio sull’Asia, ma ritenendo che i popoli negri dell’Africa fossero di livello inferiore a quello della più parte degli asiatici, riteneva che solo l’indebolirsi della razza bianca avrebbe potuto permettere ai popoli negri o negrizzati di liberarsi dal giogo bianco. Sottratta al dominio europeo l’Africa considerata incapace di fare da sé sarebbe stata aperta ad altre influenze, e noi oggi vediamo avanzare nel continente una penetrazione economica cinese che forse aprirà la strada ad un flusso migratorio, ed il “pericolo giallo”minaccerà l’Europa anche da Sud oltre che da Est.
Lo Stoddard passava poi al caos etnico delle Americhe centrale e meridionale, scriveva di ritenere l’elemento indio superiore a quello negro, riteneva dannosi gli incroci fra le varie razze e paventava infiltrazioni giapponesi. In complesso (pag.141) “,… la razza bianca ha continuato a retrocedere e l’America latina è diventata negli ultimi 100 anni sempre più india e sempre più negra.”

Da parte sua la razza bianca sarebbe “in ritirata”sul piano globale dopo un periodo di formidabile espansione (pag.145) “L’espansione mondiale della razza bianca durante i 4 secoli dal 1500 al 1900 è il fenomeno più prodigioso della storia conosciuta.”In effetti, tale espansione era succeduta a innumerevoli assalti subiti dall’Europa da parte dell’Asia(pag.146-147) “Iniziando con gli Unni negli ultimi tempi dell’Impero Romano, continuando con gli Arabi, e poi con i Mongoli e i Turchi ottomani, l’Europa ha subito una millenaria aggressione asiatica e sebbene essa sia riuscita sostanzialmente a mantenere la propria libertà, molte delle sue marche confinarie sono cadute sotto il dominio asiatico. Per esempio, nel 1480, i Turchi marciavano trionfalmente attraverso l’Europa sud orientale, la nascente Russia era sotto il dominio dei Tartari, mentre i Mori dominavano ancora la Spagna meridionale.”Ripetiamolo bisogna abituarsi a considerare la storia dell’Europa, penisola dell’Asia fronteggiante l’Africa, come quella di una da sempre assediata e assalita dai popoli extraeuropei, come aveva ammonito Madison Grant le pacifiche possono essere ancora più letali di quelle armate.

Con le e le successive conquiste la situazione mondiale cambiò radicalmente. Poi con l’inizio del secolo XX iniziò il riflusso “L’anno 1900 segnò il punto culminante della marea bianca che aveva avanzato per 400 anni. In quel momento l’uomo bianco era al culmine del suo prestigio e del suo potere. Dopo soli 4 anni, i lampi dei cannoni giapponesi sulle scure acque della baia di Port Arthur indicarono ad un mondo spaventato l’inizio del riflusso’ Poi scoppiò la guerra mondiale disastrosa per l’Europa quanto quella del Peloponneso lo era stata per l’Ellade. Leggiamo a pag-179 “La guerra fu null’altro che un gettarsi a capofitto verso il suicidio della razza bianca. Fu essenzialmente una guerra civile tra stirpi bianche strettamente imparentate;una guerra in cui ogni elemento valido ……. venne arruolato e scagliato nell’inferno di un meccanismo letale che sterminò precisamente i più giovani, i più coraggiosi e i migliori”E lo Stoddard non mancava di ritornare più volte sugli effetti disgenici del conflitto. Inoltre nel gigantesco scontro ogni residuo senso di solidarietà tra i popoli bianchi era stato distrutto dall’aver usato entrambe le parti in lotta truppe di colore contro altri bianchi. In quest’ottica la Germania imperiale veniva aspramente criticata per essersi alleata con quell’Impero Turco contro il quale i popoli europei avevano dovuto difendersi per secoli. (9) Infine il bolscevismo aveva trionfato in Russia, esso(pag.220) “..non solo fomenta la rivoluzione sociale all’interno del mondo bianco, ma tenta anche di arruolare le razze di colore in un grande assalto contro il mondo bianco.” “Il bolscevismo si rivela così come l’arci-nemico della civiltà e della razza. Il bolscevico è il rinnegato, il traditore all’interno delle nostre mura che vuole tradire la fortezza, degradare la fibra più intima del nostro essere, e in ultimo gettare un mondo ripiombato nella barbarie e razzialmente impoverito nel meticciato più abietto e disperato.”(pag.221)

L’opporsi a tutto ciò richiede una strategia globale(pag.228) “..l’uomo bianco deve riconoscere che il dominio mondiale quasi assoluto che ha esercitato nel XIX secolo non può più venire mantenuto. Soprattutto grazie a codesto dominio, le razze di colore sono state strappate dal loro secolare isolamento e sono state vivificate da idee divulgate dai popoli bianchi, mentre il ruolo naturale di difensore della vita svolto dal dominio bianco ha ovunque favorito il moltiplicarsi delle razze di colore. Questi fattori si sono uniti per spargere un diffuso fermento che è diventato visibile negli ultimi 2 decenni ed è destinato a crescere ulteriormente.” Dunque l’uomo bianco deve rinunciare al dominio sui popoli asiatici, ma impedire ogni immigrazione “gialla”nei propri territori(pag.231), mentre sorgono i primi profetici timori sulla futura concorrenza che lo sviluppo industriale dell’Estremo Oriente avrebbe fatto ai prodotti occidentali. Se il “ pericolo giallo” non era ancora da temersi sul piano militare, lo Stoddard non cessava di invocare la più totale chiusura a ogni tipo di immigrazione di colore (Pag.302 e segg )“infine il moderno fenomeno migratorio è esso stesso uno degli aspetti di un processo disgenico molto più vasto .L’intero sviluppo della vita industriale e urbana è di natura disgenica, al di sopra e oltre ai fenomeni migratori, la tendenza generale è verso la sostituzione degli elementi più validi di una popolazione. In tutto il mondo civilizzato i valori razziali sono in declino e la logica conclusione di codesto processo è una bancarotta razziale e il collasso della civiltà.” Lo Stoddard, infatti, aveva ben in vista anche i pericoliche minacciavano la Razza Bianca “Ovunque si dia un’occhiata al mondo bianco, sono precisamente le stirpi di più alto valore genetico quelle il cui quoziente di natalità declina più velocemente, mentre nell’ambito di vari popoli sono le classi sociali che contengono la più alta proporzione di elementi superiori che contribuiscono meno al riprodursi della popolazione. Ovunque i tipi migliori(dai quali dipende il futuro della razza) sono in diminuzione, mentre, al contrario i tipi più bassi guadagnano terreno …” ( pag.162 )”Inoltre “E’facile notare quanti elementi tendenti ad una vera e propria selezione alla rovescia siano presenti nella società moderna; ad esempio nelle guerre,sono gli elementi migliori che vanno a morire mentre i più deboli restano a casa. I troppo piccoli di statura, di muscolatura o cervello troppo debole, gli uomini afflitti da deformità ereditarie o indeboliti da malattie anch’esse ereditarie rimangono a casa a riprodursi”(pag.181) Il caso più eclatante di quelle “selezioni alla rovescia”di cui la Razza Bianca è soggetta probabilmente in misura maggiore delle altre.

Il quadro che lo Stoddard tracciava a livello mondiale era dunque alquanto allarmante per la Razza Bianca: essa era assediata dalla crescente marea dei popoli di colore che già si infiltrava al di qua dei suoi confini, divisa da rivalità foriere di massacri sanguinosi e indebolita progressivamente dai fenomeni di contro selezione. Dopo il II conflitto mondiale tutto ciò si sarebbe aggravato sempre più velocemente,anche a causa del dominio incontrastato delle ideologie egualitaristiche.

Qualche anno dopo (1933) Oswald Spengler nel suo (AR, Padova, 1994, pag.171)avrebbe ammonito: “Dietro le guerre mondiali… spunta il più grave di tutti i pericoli, il pericolo rappresentato dai popoli di colore. Per fronteggiarlo sarà necessariotutto ciò che in fatto di ancora sussiste nei popoli bianchi.”. “Uno degli scrittori più efficaci fra quanti temono che le razze di colore soppiantino la bianca, è Lothrop Stoddard .Infatti il suo libro sensazionale … è forse l’unico esempio di uno sforzo basato su dati statistici per dimostrare la verità di tali vedute.”(E.Murray EastF.lli Bocca, Torino, 1926,pag.88) Il testo ebbe grande successo: il 26 ottobre 1921 lo stesso presidente degli USA Harding ne sottolineò l’importanza in un suo discorso; nel famoso romanzo di F.Scott Fitzgerald un personaggio legge un libro : di un certo Goddard: è chiara l’allusione al nostro!

Lo Stoddard fu chiamato a far parte dei dirigenti della Lega Americana per il Controllo delle nascite(American Birth Control League,evidentemente mirando a limitare il prolificare degli elementi che erano a torto o a ragione ritenuti “non troppo desiderabili”) e fu anche membro della American Political Science Association e della Academy of Political Science.

Nel 1922 il Nostro pubblicò un altro libro ancor oggi di grande interesse,quello appunto citato positivamente dall’Evola,: ,un libro fra i tanti che sgorgavano da una sensazione che si andava diffondendo:le civiltà erano mortali e anche fragili e quella occidentale non sfuggiva alla regola, ed anche le razze all’origine delle varie civiltà non avevano la garanzia di poter vivere in eterno: De Gobineau e Spengler trovavano lettori in numero crescente.

Base del libro è il concetto di (sotto –uomo )(9) cioè “l’individuo al di sotto dei requisiti di capacità e adattabilità imposti dall’ordine sociale in cui vive”Data la sua situazione “la sua attitudine fondamentale è quella di una istintiva e naturale rivolta contro la civiltà.”Qualunque aspetto assuma una società nel suo ambito rimane sempre “un vasto residuo di umanità ad essa inadattabile.”.Perciò (Pag 24 ) “Ogni società genera in se stessa orde di selvaggi e barbari maturi per la rivolta e sempre pronte a insorgere e distruggere”.Veramente per ora possiamo dire che se vi sono, molto probabilmente,già presenti nella nostra decadente società,esse paiono limitarsi più che altro alla delinquenza. Già Gustave Le Bon aveva scritto : I “barbari “ si trovano nel seno delle stesse nazioni civili …. ogni popolo contiene un immenso numero di elementi inferiori incapaci di adattarsi ad una civiltà troppo elevata per loro. Così si forma un enorme scapito che cresce continuamente, e la cui azione sarà terribile per i popoli che la subiranno”(Monanni, Milano, 1927, pag. 136.).Possiamo pensare al di cui aveva scritto il socialista- razzista-nietzschiano Jack London!

. Secondo lo Stoddard per lo più tali elementi vengono più o meno facilmente controllati dall’organizzazione sociale e dalle forze di cui questa dispone ,ma “quando una civiltà cade per il proprio peso e per la decadenza dei suoi fondamenti umani,quando la sua struttura è scossa dalle tempeste della guerra,da disastri e calamità,allora le forze lungamente represse della rivolta atavica si riuniscono per balzare fuori.”(pag.25):Ciò che è peggio è che tali forze distruttive trovano dei capi che le guidino,infatti anche i ceti superiori nutrono nel loro seno degli elementi disadattati che,peraltro sono talvolta provvisti di quelle qualità che li mettono in grado di svolgere la funzione di capi e che si pongono alla testa degli elementi inferiori dotandoli di quelle guide necessarie che essi non potrebbero trovare tra i loro ranghi. Lo Stoddard non era il solo a sostenere certe tesi, il famigerato Max Nordau scriveva: “Giusta le indagini di Lombroso non si può mettere neppure lontanamente in dubbio che gli scritti e le azioni di molti rivoluzionari ed anarchici non sieno basati sulla degenerazione”(,F.lli Bocca,Torino,1923,pag.31) Qualche anno dopo, per alcuni “..il fascismo fungeva da scudo contro la rovina della civiltà causata dai bassifondi delle metropoli e da alcuni intellettuali traviati” W.Laqueur Tropea,Milano2008,pag.85.

Notiamo che per il Nostro la lotta tra l’elemento inferiore e quello superiore non riguarderebbe soltanto la società nel suo complesso,ma anche,almeno sotto certi punti di vista,l’individuo stesso. “Non è solo la società a trovarsi nella morsa dei propri barbari,ma ogni individuo può ricadere in un certo grado,sotto il dominio dei suoi istinti più bassi,Ciò perché l’individuo è simile alla società,ognuno di noi ha in se stesso l’under man….. Questo under man può rimanere sepolto profondamente nei recessi del nostro essere ,ma rimane,e la psicanalisi ci informa della sua latente potenza. Questa animalità primitiva,potenzialmente presente anche nelle nature più nobili, viene sempre a dominare negli elementi inferiori ….., i criminali e i degenerati,i barbaridella civiltà.”Appunto nei periodi di crisi tale elemento barbarico si scatena. Appoggiandosi a quelle che erano le conoscenze del tempo nel campo della genetica,lo Stoddard riteneva che l’elite di ogni nazione provenisse da un ristretto strato della popolazione che dovesse ad ogni costo,essere preservato e favorito. Naturalmente egli pensava anche che le diseguaglianze tra le razze si riflettessero nelle differenze nei quozienti di intelligenza.

Non mancava poi di mettere bene in rilievo che fossero comunque gli elementi di minor valore a riprodursi maggiormente. Per quel che sappiamo parrebbe che la genetica moderna abbia,almeno in parte,confermato le impostazioni dello Stoddard specialmente riguardo all’importanza del ruolo dell’’ereditarietà nei confronti di quello dell’ambiente anche riguardo all’intelligenza. Ricordiamo che anche lo Spengler era assai preoccupato del moltiplicarsi degli elementi e tarati(Cfr)

Facciamo qui una riflessione: sulle orme del Conte De Gobineau lo Stoddard si fermava, per lo più, al livello biologico :noi sappiamo che limitarsi a tale ambito (alla mescolanza delle razze, che pure è un fattore importantissimo)non basta a spiegare del tutto gli accadimenti storici e il fenomeno della decadenza delle civiltà. Ad avvisarci su tale punto è stato più volte Julius Evola “..se le razze occidentali muoiono demograficamente, ciò accade perché esse già da secoli sono entrate spiritualmente in agonia,..” <(Hoepli,Milano,1934,pag.220) “.. dovendosi parlare di popoli statici perché giunti alla fine delle loro possibilità vitali, e di popoli,invece ,dinamici,pervasi da una tensione creativa ed espansiva” Ar,Padova,2006,Vol II,pag.477


Potremmo consigliare i lettori a riflettere su ciò che si può ancora accettare del pensiero di Oswald Spengler o magari della teoria della elaborata dal russo Leo Gumilev (cfrProgress, Moskow1990)


Comunque possiamo dire che, a parere di chi scrive, andrebbero riveduti, alla luce della società plurirazziale e meticcia in cui stiamo irrefrenabilmente precipitando alcuni concetti di cui si è parlato negli anni passati: dell’di cui scrisse Evola, delle concezioni sociologiche di L.Gumplowicz, del concetto dei due proletariati (quello “esterno”e quello “interno”)di cui parlava A.Toynbee e forse anche della oggetto delle meditazioni di Ortega y Gasset. In ogni caso, nei confronti della civilizzazione in cui ci tocca vivere potremmo ricordare le parole di F. Nietzsche (Monanni. Milano, 1927, pag.148- 149 )“Io indico alcunché di nuovo; certo, per simile creatura democratica c’è il pericolo del barbaro, ma lo ricerca soltanto nella profondità. C’è anche un’altra specie di barbari, i quali giungono dall’alto: una specie di nature conquistatrici e dominanti, che cercano una materia da poter foggiare. Prometeo fu un barbaro di questa specie.”


Certamente lo Stoddard mostrava di ritenere che le “classi superiori” della società attuale rappresentassero il meglio della Razza Bianca e nel suo atteggiamento conservatore mostrava di ignorare quante giustificazioni vi fossero contro un ordine sociale non privo di evidenti ingiustizie.


Parlando degli “intellettuali”che ispiravano e/o si mettevano a capo delle rivolte, egli, naturalmente trattava, seppur succintamente, anche del Marx il che gli dava occasione di accennare al ruolo svolto nell’ambito del fronte della sovversione da molti elementi di origini ebraiche, leggiamo alle pagg151-152: “L’apparizione di Karl Marx rappresenta una nuova influenza che aveva fatto la sua comparsa nel movimento rivoluzionario-quella degli ebrei. Prima del XIX secolo gli ebrei erano stati talmente segregati dal resto della popolazione da non poter influire in alcun modo sul modo di pensare o sull’agire del resto della popolazione. A partire dal 1848, in ogni caso, gli ebrei dell’Europa occidentale erano stati emancipati dalle interdizioni civili cui erano sottoposti, erano usciti dai ghetti, e avevano iniziato a prendere parte attiva nella vita pubblica. Molti ebrei furono pronti ad adottare idee rivoluzionarie e ben presto acquisirono una grande influenza nell’ambito dei movimenti che si richiamavano a tali idee. Vi sono varie ragioni che spiegano questo sviluppo: in primo luogo, la mente degli ebrei, istintivamente analitica e aguzzata dalle sottigliezze dialettiche del Talmud, propende naturalmente ad un criticismo demolitore. Inoltre gli ebrei sentendosi più o meno separati dalle nazioni in cui si trovavano a vivere, tendevano ad accogliere lo spirito decisamente internazionalista delle dottrine social rivoluzionarie. Infine, gli intellettuali ebrei, con la loro vivace e ingegnosa intelligenza, diventavano facilmente dei leader e potevano mirare a raggiungere posizioni elevate nei “corpi degli ufficiali” delle armate della rivoluzione. Per tutte queste ragioni, da allora, gli ebrei hanno giocato una parte importante in tutti i movimenti social rivoluzionari a partire dai giorni di Marx.. fino al presente regime bolscevico, diretto soprattutto da ebrei, nella Russia sovietica.”.


Per lo Stoddard (pag.191 in generale al caos rivoluzionario succede necessariamente un nuovo regime che impone un nuovo ordine “Questo è la tragedia delle sollevazioni sociali- il risultato è che la nuova classe dirigente usualmente inferiore all’antica, mentre la società ha nel frattempo sofferto irreparabili perdite sul piano culturale e razziale”(pagg.190-191).Per il nostro il bolscevismo è il peggiore dei mali anche perché esso tenderebbe a mobilitare contro l’Occidente bianco le razze di colore. Chi come l’autore di queste note sia ormai anziano ricorderà ancora le manovre della defunta Unione Sovietica( e poi della Cina maoista) per porsi alla guida del cosiddetto “Terzo Mondo”.


Come reazione a tutto questo, lo Stoddard lanciava l’appello ad una “guerra contro il caos”e invocava la creazione di una società gerarchizzata in base al merito, in cui si desse modo agli elementi migliori di emergere, mentre severe misure eugenetiche avrebbero dovuto frenare il moltiplicarsi degli asociali e degli elementi ritenuti inferiori in genere. La nuova filosofia su cui avrebbe dovuto basarsi tale società avrebbe ben potuto essere chiamata della in quanto essa avrebbe richiesto, in primo luogo, l’abbandona del culto della democrazia e la riabilitazione della screditata idea aristocratica, in quanto essa avrebbe contenuto un elemento nobilitante da preservarsi e recuperarsi .Comunque fin da quel momento il principio aristocratico avrebbe dovuto essere posto in rilievo come componente di una sana reazione intellettuale contro la schiacciante preponderanza delle idee democratiche.(cfr.pag.266)(12)Naturalmente si sarebbe dovuto far ampio ricorso alle misure eugenetiche per diminuire il numero degli e incrementare quello degli elementi(13)


Del 1924 è (chi scrive ne ha sottomano l’ed.1981della britannica Historical Review Press); ci limitiamo a coglierne qualche spunto.: Il libro è una rassegna del nostro continente sul piano etnico, oltre a Nordici, Alpini e Mediterranei egli nota le infiltrazioni africane e asiatiche. A pag.27 possiamo leggere : “.. vi sono in Europa poderosi elementi asiatici che creano nuove difficoltà. Durante gli scorsi 1500 anni l’Europa orientale ha subito una lunga serie di invasioni asiatiche. Questi elementi asiatici- Unni, Mongoli, Tartari, Turchi, ebrei, zingari, e molti altri hanno lasciato il loro marchio su varie popolazioni dell’Europa orientale. In varie zone essi si sono largamente incrociati con gli abitanti; in altre sono rimasti in gran parte separati, formando caste e comunità distinte. In entrambi i casi, comunque, hanno contribuito a rendere più confusa e complicata la situazione ”Oggi noi assistiamo, tra l’altro, al crescere dei problemi posti in tutta Europa dalle prolifiche comunità zingare che si rivelano sempre più incapaci di adottare un sistema di vita che li renda accettabili dalla maggioranza degli Europei. Inoltre lo Stoddard non mancava,naturalmente, di ricordare le pesanti infiltrazioni africane subite nei secoli dalle regioni meridionali del nostro continente.


Parlando della Francia lo Stoddard(pag.80)notava gli effetti diche, a suo giudizio, avrebbe avuto la rivoluzione del1789 con le stragi e le guerre che ne seguirono “La rivoluzione segna, … un punto di svolta nella storia razziale della Francia.Essa diede inizio a quel rapido declino dell’elemento nordico che è tuttora in pieno svolgimento. Non solo l’aristocrazia nordica venne irrimediabilmente stroncata ma la componente nordica nell’insieme della popolazione fu eliminata sempre più velocemente.”.E il nostro non poteva non notare il crescente numero degli elementi stranieri presenti nel paese; oggi le condizioni della Francia in via di africanizzazione sono sotto gli occhi di tutti! Riguardo a Spagna e Portogallo lo Stoddard ha modo di deplorare gli effetti della dominazione moresca cui codesti paesi furono soggetti per secoli, per quanto riguardava, in particolare, la Spagna egli notava che la dittatura di Miguel Primo de Rivera (padre di Jose Antonio fondatore della Falange, si trattò comunque di un regime che, a parere di chi scrive, andrebbe rivalutato) aveva realizzato ben poco a paragone di quella di Mussolini in Italia. Della Germania notava la progressiva denordicizzazione, ricordava i catastrofici effetti della Guerra dei Trenta Anni e le ingiuste durezze del Trattato di Versailles. Riguardo all’Europa centro orientale lo Stoddard aveva modo di mettere in rilievo i danni provocati dalla scomparsa dell’Impero Asburgico.(pag.156) “I risultati sono stati deplorevoli, le condizioni dell’Europa Centrale sono oggi di gran lunga peggiori di quelle precedenti la Guerra 1914-1918, le passioni nazionalistiche sono sempre più ardenti, mentre le considerazioni a livello economico sono state del tutto trascurate: pochi trattati sono stati formulati più stupidamente che quelli che hanno preteso di il bacino danubiano, ” Riguardo alla Russia lo Stoddard, come avrebbe poi fatto il Nazionalsocialismo tedesco, probabilmente ne esagerava le influenze asiatiche, inoltre egli accusava la rivoluzione bolscevica di aver eliminato le classi dirigenti più o meno nordiche dell’antico Impero degli Zar .A pag.198 leggiamo “I veri sconfitti della rivoluzione furono gli elementi veramente occidentalizzati che avevano operato perché la Russia si occidentalizzasse spiritualmente e che poi videro il crollo delle loro illusioni. In effetti, la rivoluzione fu largamente una rivolta contro l’occidentalizzazione.”(Crediamo che gli attuali russi ne darebbero una valutazione opposta a quelle del nostro!) . Parlando dei paesi balcanici il nostro accennava alla plurisecolare dominazione che essi dovettero subire da parte dei più recenti, per ora, conquistatori asiatici: i Turchi. Leggiamo(pag,204-205) “Il dominio turco portò con sé i germi della decadenza. I più terribili tra i conquistatori,i Turchi furono i meno abili nell’assimilare gli altri popoli. Essi rimasero una semplice armata asiatica accampata sul suolo europeo, e non riuscirono mai a trasmettere la religione islamica o a loro lingua alle masse dei loro sudditi cristiani. Quello che fecero fu di brutalizzare e degradare i popoli balcanici. Ovunque la conquista turca distrusse i più forti e i migliori elementi delle popolazioni assoggettate, che perirono sul campo di battaglia e dovettero fuggire in esilio. I resti delle classi superiori abbracciarono l’islamismo allo scopo di conservare i loro privilegi ed in tal modo si mescolarono con i loro conquistatori. La massa della popolazione privata dei propri leader naturali e ridotta in uno stato prossimo alla schiavitù, precipitò al livello di una contadinato oppresso che, significativamente, veniva chiamato dai dominatori: bestiame. Quegli elementi di civiltà che avevano posseduto svanirono, benché i ricordi di giorni migliori continuassero a vivere nelle leggende che glorificavano il passato come una sorta di età dell’oro e che andarono a formare le basi di quelle stravaganti pretese imperiali e nazionali che hanno tanto funestato i Balcani in tempi recenti.”.


Parlando delle infiltrazioni asiatiche nel suolo europeo lo Stoddard veniva anche a trattare delle comunità ebraiche dell’Europa orientale (pag.171-172) “Oltre alle componenti asiatiche che sono state assorbite nell’’insieme della popolazione, vi sono altri elementi asiatici che rimangono ancora distinti dai loro vicini. Sono i Tartari musulmani della Russia orientale e meridionale, tenuti separati dalle popolazioni circostanti dalle barriere della religione e della cultura. Lo stesso si può dire della grande popolazione ebraica della Polonia e della Russia Occidentale. Gli ebrei di Polonia e Russia sono una schiatta molto mescolata, molto differenti in tipo e temperamento dai correligionari dell’Europa occidentale e del bacino mediterraneo. Questi ebrei dell’Est europeo, della Russia, della Polonia e della Romania formano il cosiddetto ramo dell’ebraismo, mentre quelli dell’Europa occidentale, e dei paesi mediterranei sono noti come . La composizione razziale degli askenaziti è alquanto complicata. La maggior componente consiste in vari componenti della razza alpina acquisite; non solo dalle popolazioni europee riconducibili a codesta razza ma anche a lontani parenti di queste ultime come gli Armeni e le affini stirpi a testa rotonda dell’Asia occidentale. Gli Askenaziti possiedono ben poco del sangue semitico degli antichi ebrei. D’altro lato, essi hanno una forte mongolica dovuta al loro essersi mescolati con i Kazari, una tribù asiatica mongola che si era stabilita nella Russia meridionale e si era convertita all’ebraismo circa 1.000 anni or sono e che fu assorbita per mescolanza nel resto del ramo askenazita. Sembrerebbe che le stature molto basse, le facce piatte, gli alti zigomi e altri tratti mongoloidi riscontrabili comunemente tra gli ebrei dell’Est europeo siano principalmente dovuti a codesto apporto. La natura razzialmente mescolata degli ebrei dell’Europa orientale si mostra nella vasta varietà di apparenze fisiche e di temperamenti che appaiono in codesta stirpe, questa estrema variabilità viene a produrre frequentemente della molto particolari.


Per quanto riguarda la nostra Italia, lo Stoddard come tanti altri, accentuava le differenze tra e , ricordava il carattere nordico dell’aristocrazia latina e gli effetti delle innumerevoli invasioni subite dalla penisola. Riassunte le vicende storiche italiane, il Nostro passava a parlare della di quegli anni: il Fascismo! Pag.107 e segg. “Allora “ sorse il Fascismo! Una piccola ma determinata minoranza guidata da abili capi, il supremo dei quali Mussolini, si riunirono in un fascio, combatterono e sconfissero gli elementi bolscevichi che stavano preparando una rivoluzione sociale, poi si rivolsero contro il governo, che era rimasto supinamente a guardare- lo rovesciarono e stabilìrono una aperta dittatura. Da quasi 2 anni Mussolini e le sue Camicie Nere, rimangono i dominatori incontrastati dell’Italia. Il mondo è abbastanza a conoscenza dei risultati materiali raggiunti dal dominio fascista. L’ordine, l’efficienza e la prosperità che esso ha dato all’Italia sono ben noti. Ciò che non è, invece, ben conosciuto è lo spirito del Fascismo e la vera natura dei suoi ideali. Per apprezzare pienamente il significato del Fascismo si dovrebbe andare in Italia e incontrare di persona i capi fascisti, farlo è un’esperienza unica e stimolante; nell’Italia di oggi si coglie un senso di freschezza e vitalità La gente pensa apertamente e agisce arditamente. Le teorizzazioni e i richiami ai precedenti storici vengono tenuti in poco conto,a vantaggio degli impulsi naturali e del senso comune. Considerare il fascismo come una semplice reazione contro le mene bolsceviche e la debolezza del governo è mancare completamente di capirne il reale spirito e il suo più ampio significato. Il Fascismo va molto al di là di tutto questo. Esso è nientedimeno che un vivace e vitale sfogo dello spirito italiano che mira a forgiare nuove istituzioni e nuovi ideali in armonia con la mente e l’anima del popolo italiano…”


Ciò che lo Stoddard apprezzava era il dei fascisti, essi si vantano di non filosofeggiare, esaminano le situazioni specifiche che hanno da affrontare e le giudicano con un sano realismo. Soprattutto essi non adorano idoli ormai obsoleti. Pag.109: “Consideriamo alcuni degli odierni idoli; essi si chiamano democrazia, libertà, eguaglianza, diritti, governo parlamentare e via elencando.Osserviamoli da vicino. Che cosa significano veramente? In se stessi, non hanno alcun significato concreto. Non lo hanno perché sono astrazioni teoretiche . …..”Per i fascisti, continuava il nostro, tale idolatria è sciocca e pericolosa, essi respingono la democrazia e l’egualitarismo e antepongono i doveri ai diritti, e soprattutto, pragmaticamente, si chiedono se una idea o una istituzione siano funzionali o no e non se rispondano a dei principi cosiddetti . Poi lo Stoddard ricorda . Titolo veramente significativo!….nelle sue pagine noi troviamo una teoria della società che rigetta senza incertezze le dottrine della democrazia e dell’egualitarismo. Invece di predicare l’eguaglianza degli uomini, sottolinea l’ineguaglianza. Ed essendo gli uomini ineguali tra loro, la democrazia, nel senso ordinario della parola, è un’assurdità. La struttura sociale ideale per Mussolini non prende la forma di un piano livellato ma quella di una torreggiante piramide. Egli intravvede una società in cui gli individui, dovrebbero avere un rango a seconda delle loro qualità e dei loro limiti.”


Il libro si conclude con delle considerazioni generali: lo Stoddard vi riassume la sua (pag.236) “Ora noi sappiamo che il fattore di base nelle vicende degli uomini non è l’ambiente che li circonda, ma sono le qualità degli uomini stessi e che codeste qualità sono innate e non innestate da circostanze esteriori. In altre parole, il patrimonio ereditario di un uomo è di più fondamentale importanza dell’ambiente in cui si trova nel determinare la sua vita, poiché l’ambiente può solo far emergere le qualità che un uomo ha ereditato. Inoltre sappiamo che, invece di nascere molto simili tra loro, gli uomini nascono grandemente dissimili. Durante le lunghe ere della sua esistenza l’umanità si è differenziata in una amplissima gamma di tipi differenti gli uni dagli altri nelle caratteristiche innate. Questi tipi umani, conosciuti come razze, differiscono tra loro non solo nell’aspetto esterno, ma anche nelle potenzialità della mente, nel temperamento e nelle capacità”Forti di queste conoscenze gli abitanti degli USA, auspicava lo Stoddard, dovevano difendere le componenti migliori della loro popolazione ed impedire che esse venissero sommerse da maree di immigrati di minor valore.


Nella sua già citata introduzione Rachel Dixon scriveva (IV )“Il più importante frutto delle opere dello Stoddard fu l’Immigration Act del 1924, che cercava di fermare la decadenza razziale degli USA col fissare le quote dell’origine nazionale(degli immigrati)alle proporzioni della popolazione americana del 1890 . Dato che l’immigrazione non bianca era stata già severamente ristretta, il risultato dell’Atto del 1924 fu, in pratica, che gli immigrati dalle Isole Britanniche e dall’Europa settentrionale potevano acquisire la cittadinanza statunitense senza troppe difficoltà, mentre l’immigrazione proveniente dall’Europa meridionale ed orientale fu grandemente limitata. Discutendo dell’approvazione di tale Atto, membri del Congresso ebbero a citare le opere di Lothrop Stoddard ed esso passò senza incontrare molta opposizione. Codesto sistema di quote restò in vigore fino al 1965,quando venne abolito da una nuova legge sull’immigrazione.”

Dopo l’approvazione di codesto , lo Stoddard si fece paladino di un tentativo di rafforzare l’unità nazionale mediante l’assimilazione di quei gruppi di immigrati valutati più positivamente. Distanziandosi ancora dai più ferventi difensori del “nordicismo”,egli riteneva che dovessero venire assimilati tutti i bianchi presenti nel Nord America,compresi quelli di origini non nordiche .Per lui gli Stati Uniti sarebbero rimasti una nazione “vitale” finché la loro popolazione fosse rimasta sostanzialmente “bianca”, stretta attorno ad un nucleo direttivo “nordico” ed anglo sassone.Soprattutto egli, prevedendo grandi conflitti a livello mondiale, tra il mondo bianco e le razze di colore, non si stancava di condannare ogni possibile ostilità tra le nazioni di origine europea come il maggiore dei pericoli per la Razza Bianca, Tali posizioni lo avevano portato, naturalmente, ad opporsi all’intervento statunitense nei due conflitti mondiali.”


Nella sua intensa attività pubblicistica lo Stoddard ebbe a scrivere più volte del Fascismo italiano; abbiamo letto i giudizi che ne aveva dato in. John P. Diggins in (Laterza, Bari, 1972) giunse a definirlo (pag.29) un “apologista”del Regime. (A pag.75 lo pone tra i “reazionari sostenitori delle posizioni nativiste”)Particolarmente importante l’articolo apparso su dell’Ottobre 1927: Scrive il Diggins (pag.269 ) che nelle loro critiche alle ideologie democratiche “..i razzisti americani nativisti avevano nel fascismo una pedina vincente,e i loro attacchi contro la democrazia e la loro difesa dell’autoritarismo trovavano il portavoce più battagliero in Lothrop Stoddard. Convinto che nella maggior parte dei paesi la democrazia non potesse funzionare, Stoddard fece una grande difesa del fascismo sul celebre .La forza dei fascisti,sosteneva Stoddard, risiedeva nell’abile “realismo” con cui avevano gridato ; il fascismo creava sì nuovi idoli, ammetteva … Stoddard, ma solo per mantenere il popolo sotto una ; Mussolini aveva sgonfiato le vuote dottrine del repubblicanesimo e dell’eguaglianza, e da ciò il fascismo aveva ricavato : infatti anche se si tratta di una protesta ultradrammatica, ”Inoltre (pag.289) “nel suo provocatorio articolo su , Lothrop Stoddard suggeriva agli americani che la forza del pensiero fascista rappresentava in grado di mettere a nudo il rigido determinismo del marxismo e il vuoto formalismo della democrazia .e raggiungeva questo risultato col suo e mediante la manipolazione di miti(quale il nazionalismo),per dare via libera al potere propulsore delle idee scoperte da James e da Georges Sorel”


Tra la fine del 1939 e gli inizi del 1940, lo Stoddard passò alcuni mesi come giornalista nella Germania nazional socialista e al riguardò pubblicò nel 1940 il libro (le “tenebre” cui si riferisce il titolo sono quelle dell’oscuramento).In queste pagine egli dava una quadro sostanzialmente imparziale della situazione, si dimostrava tra l’altro. preoccupato per l’avvenire delle comunità ebraiche europee. Egli era assai critico, nonostante il comune interesse per l’eugenetica, verso il nazional socialismo, già in passato aveva biasimato gli “Imperialisti Teutonici”per essere stati all’origine della Prima Guerra Mondiale ed ora vedeva nei nazional socialisti dei loro eredi ancora più radicali. Soprattutto egli continuava ad opporsi ad ogni conflitto tra popoli bianchi come disastroso per l’intera razza. Comunque lo Stoddard era molto interessato alle politiche nazional socialiste soprattutto nell’ambito sociale e in quello razziale,con particolare riguardo alle iniziative in campo eugenetico.


Il libro è ricco di acute osservazioni sulla vita della Germania in guerra, con speciale riguardo al razionamento dei cibi e dei beni di consumo, l’autore chiaramente mostra di aver incontrato molte persone che parlavano con lui abbastanza liberamente.Quello che per noi è più interessante è che lo Stoddard vi narra dei suoi colloqui con Hans. F.K.Gunther e Fritz Lenz sulla razza ed eugenetica, con Walther Darrè sull’agricoltura, con Robert Ley capo del Fronte del Lavoro, con Gertrud Scholz Klink sulla posizione delle donne nel Reich nazional socialista, col Generale Alexander Lőhr sul ruolo della Luftwaffe nella trionfale campagna di Polonia, e non mancarono incontri con lo stesso Hitler, con Himmler. Goebbels ed altri importanti gerarchi. Recatosi anche in Slovacchia lo Stoddard poté incontrarvi Monsignor Tiso il prelato capo di un governo “collaborazionista”, in tali circostanze visitò anche l’Ungheria allora neutrale ma assai timorosa delle attività dell’Unione Sovietica. Ampliando codeste note si potrà trattare di tutto questo ben più diffusamente.


Poco dopo anche gli Stati Uniti, grazie soprattutto alle provocazioni attuate dal presidente Roosevelt, entravano nella Seconda Guerra Mondiale. Come è noto per alcuni a uscire sconfitta da tale guerra fu l’Europa intera(anche quei paesi che figurarono tra i “vincitori”) “ La guerra 1939-1945 apparirà come il conflitto decisivo nel quale l’Europa suicidandosi, cedette la sua supremazia sui popoli di colore” John Barraclough Oxford, 1955, pag. 183. Altri giungono a vedere che ad essere vinta fu l’intera Razza Bianca. “In ultima istanza, come è chiaro che la Germania abbia perso la guerra, lo è altrettanto che la abbiano persa anche la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. In effetti, ad essere sconfitta fu la Razza Bianca: l’Europeo, qualunque fosse la sua nazionalità. Fu la più grande, la più catastrofica sconfitta che la nostra razza abbia mai sofferto. Rimane da vedere se tale disfatta si rivelerà del tutto decisiva e irreparabile.”W L Pierce cap.25 in Genn.1982(cfr. anche Francis Parker Yockey Liberty Bell,USA, 1981)(14)


Da un certo punto di vista anche i “bianchi” degli Stati Uniti potrebbero dire di aver perso la guerra: nel 1945 avevano trionfato i principi egualitaristici ed antirazzisti e la loro vittoria aveva condannato anche la segregazione razziale e la politica di “supremazia bianca”negli USA(anni dopo sarebbe toccato al Sud Africa)


L’immigration Reform Act del 1965 approvata negli Stati Uniti abolì’ il sistema delle origini nazionali del 1924 e probabilmente trasformò l’America più di quanto abbia fatto qualsiasi altra legislazione del ventesimo secolo…… verso la metà degli anni ‘70, le riserve sudeuropee si esaurirono e la ricostruzione dell’Europa ridusse ulteriormente l’ immigrazione in provenienza dal nostro continente …… Nel 1980 solo il 5% dell’immigrazione legale proveniva dall’Europa, mentre gli asiatici(soprattutto filippini, coreani, vietnamiti e indiani) ne rappresentavano circa la metà .L’immigrazione dall’America Latina(principalmente dal Messico) costituiva circa il 40% .Alimentato da un sistema di preferenza su base familiare, il nuovo modello d’immigrazione raggiunse livelli record negli anni ’80, mentre un’ondata di immigrazione ispanica illegale fu percepita come una perdita di controllo delle frontiere nazionali. Controllo che, pare, non è stato più recuperato.


Inoltre ogni considerazione sulla superiorità della Razza Bianca e sulla necessità di prevenirne la mescolanza con quelle e soprattutto con la negra, venne associata, durante il conflitto, con la Germania nazionalsocialista e dopo la sconfitta di questa, tutto ciò era destinato a cadere.


Così negli Stati Uniti, seguiti pochi anni dopo su codesto fatale cammino anche dall’Europa, la Razza Bianca iniziava ad intraprendere una marcia inarrestabile verso quella che, oggi, appare sempre più come la sua crisi finale, tanto che si calcola che entro il 2050 negli USA i (o perlomeno coloro che passano per tali) saranno in minoranza.(Probabilmente lo stesso avverrà, forse poco tempo dopo,anche in vari paesi europei).



Ancor prima del secondo conflitto mondiale le opere dello Stoddard cominciarono ad apparire sempre più “politicamente scorrette”mentre gli USA si schieravano sempre più apertamente contro la Germania nazionalsocialista e l’Italia fascista. Dopo la guerra le opere e le concezioni dello Stoddard, nonostante la diffusione avuta nel periodo precedente, caddero gradualmente nell’oblio in quanto associate a torto o a ragione con il Nazismo, la sua morte nel 1950 causata da un cancro, passò quasi inavvertita.


Noi oggi possiamo catalogarlo tra i tanti “profeti inascoltati” le cui visioni si stanno realizzando sotto i nostri occhi: una “marea nera … sta invadendo l’Europa ed intaccherà fino al midollo la sostanza etnica dei nostri popoli tanto da impedire qualsiasi possibilità di risalita.”(Daniele Verzotti in n.31/32, prima serie, 1987-88). Alcuni anni or sono il demografo francese Gerard –Francois Dumont aveva scritto: “L’uomo bianco è attualmente davanti a due scelte, suicidarsi o salvare il mondo salvando se stesso.”(cit. da Carlo Rossella in6/X/1985).L’autore di queste note teme che la scelta sia stata ormai fatta,ma forse non si potrebbe ancora totalmente escludere che ,in un futuro non molto lontano,mentre il pianeta sarà devastato dai cataclismi globali che si annunciano,una rude razza pagana di guerrieri ario-europei riuscirà a rovesciare il corso della storia,rigenerandola e indirizzandola su nuovi antichi sentieri. Ma se si ritenesse ancora aperta tale possibilità allora si consideri che non vi è più alcun tempo da perdere per prepararsi in tal senso sul piano ideologico e su quello organizzativo.



Alfonso De Filippi




Note


(1)Certe preoccupazioni erano vive anche nel pensiero del fratello del Duce Arnaldo “Per Arnaldo (Mussolini), l’Europa correva tre pericoli mortali: il bolscevismo, la plutocrazia statunitense e ….. La via indicata da Roma avrebbe potuto rappresentare l’ultima speranza per un continente condannato dall’incapacità dei suoi governanti democratici a fronteggiare questi pericoli” Marco Curzi (Mursia, Milano, 2005, pag. 393) Altri esempi: nell’Agosto 1935 Mirko Ardemagni scriveva su “Gerarchia” un articolo dal significativo titolo : egli vi sosteneva: “Il risultato finale al quale tende la Rivoluzione Fascista è quello della difesa della Razza Bianca contro la balenante minaccia che per questa si presenta di essere sommersa dai popoli di colore.” Infatti, per l’autore “… il socialismo e il liberalismo rappresentano …per vie diverse 2 vere e proprie congiure contro la razza e contro i popoli che hanno retto finora i destini del mondo.” Due anni dopo lo stesso Ardemagni nel libro (F.lli Treves, Milano, 1937, pag. 55) scriveva: “La rivoluzione italiana, che è veramente universale, … tende alla conservazione e al prestigio della razza bianca ….Il Fascismo, che ha un senso gerarchico delle razze,… è inconciliabile con quei regimi che procedono alla degradazione qualitativa delle razze europee o a quegli inserimenti artificiosi delle popolazioni che pregiudicano le caratteristiche e le differenziazioni necessarie al perfezionamento umano…” Dopo l’inizio della II guerra mondiale, il noto giornalista Virginio Gayda in un libro ancor oggi interessante ( Ed. de “Il Giornale d’Italia” Roma, 1940, pag, 434 e segg. parlava di “ La Difesa Bianca” e scriveva: ” Bisogna pensare alla difesa dell’Europa e delle razze bianche. La difesa sta anzitutto nella loro potenza demografica. Ma questa potenza, che varia nelle diverse nazioni europee, deve essere sostenuta e favorita da adeguate basi territoriali, ossia da sufficienti e liberi mezzi di lavoro e di vita. Perciò il comune interesse della civiltà europea e delle razze bianche è quello di riconoscere il supremo valore della capacità demografica, che sopravvive in alcuni grandi popoli europei, e dare spazio, alla sua libera e rigogliosa espansione” (ovvio che ci si riferisse ad Italia e Germania).Continuava il Gayda (pag. 438) ” Oggi, si può dire, molta parte della razza bianca è in crisi. Crescono invece vertiginosamente di densità le razze di colore e ascendono con tutte le armi della civiltà moderna apprese dai bianchi. Così disciplinata nelle nuove forme civili, la massa della loro popolazione non è più soltanto una forza bruta e passiva: diviene una forza d’espansione, di concorrenza, di dominio.”. Concludiamo con un richiamo alla II Guerra Mondiale Carlo Rastrelli in Mursia Milano 2010 pag. 126 riferisce di un discorso radiofonico di C. Scorza, segretario del P.N.F. del 18 Luglio 1943 “Il popolo italiano sa che questa è guerra di continenti … di razze, nella quale gli anglo-americani non sono che l’avanguardia di quelle formidabili ondate di razze inferiori, le quali muovono all’assalto dell’integrità spirituale, morale e fisica dei popoli di più alta civiltà”.


(2) Per quanto si possa essere ostili alla d’oltre atlantico non si può negare l’importanza e l’interesse di vari autori statunitensi:oltre al grande Francis Parker Yockey (>The Enemy of Europe>), ci limitiamo qui a ricordare Revilo P. Oliver(- etc), W.G. Simpson (),Patrick Buchanan (-)David Duke (-, Wilmot Robertson () e via elencando.


(3) In un altro suo scritto Julius Evola fece di nuovo riferimento allo Stoddard si tratta di apparso in e ripreso poi in Ed.All’Insegna del Veltro, Parma, 1995,Vol.II pag.206 “.. americano lo Stoddard Lothrop (che) ebbe già scrivere un libro interessante. The Revolt against Civilisation- per dimostrare che tutti i movimenti rivoluzionari hanno un substrato biologico: al loro fondo si trova sempre una sub-razza, una sub-umanità> Ricordiamo che, tra gli altri, anche Oswald Spengler ebbe a citare nel suoil a proposito di mene nipponiche nel Messico(cfrAr, Padova, 1994, pag. 179) Citiamo ancora Hans F.K.Gunther (cfr. la versione italiana Ed. Ghenos, Ferrara, 2003)in cui si ricorda (pag.214) che “Lo stesso presidente Harding, in un discorso pubblico(il 26 ottobre 1921)indicò l’importanza del libro di Stoddard .”. Anche che Armin Mohler nel suo (Akropolis, Napoli,1990,pag.19)ebbe ad accostare i nomi di Lothrop Stoddard e di Madison Grant definiti “i due maestri della lotta razziale”,appunto, alla Konservative Revolution stessa. Sull’utilizzo delle tesi dello Stoddard da parte dei razzisti italiani cfr.Francesco Cassata Einaudi,Torino,2008, pagg.34 e 203). Cfr.ancora Silvano Lorenzoni (Ghenos, Ferrara, 2005, pag.101) Ci si permetta di ricordare che chi scrive ebbe a dedicare a questo autore un articolo(apparso, firmato con lo pseudonimo “Filippo Valdemaro”,nel Luglio 1980 sul periodico


(4)“Tutte le volte che per uno di quei casi che nell’antichità sono accaduti in Etiopia,ai giorni nostri ad Haiti, una civiltà elevata è caduta nelle mani della razza negra, questa civiltà è stata ricondotta rapidamente a forme inferiori”Gustave Le Bon Leggi psicologiche dell’Evoluzione dei Popoli>Monanni, Milano, 1927, pag.93


(5)Madison Grant(19 Nov.1865-30 Maggio 1937)nacque a New York figlio di un noto medico,ebbe fin da giovane occasione di viaggiare in Europa e on Medio Oriente .Frequento la Yale University laureandosi nel 1887.ebbe poi una seconda laurea alla Colombia Law School,benché avesse iniziato a lavorare nel campo legale i suoi interessi si volsero ben presto verso le scienze naturali. Nel 1916 pubblicò il suo libro più famoso () sottotitolato (. Egli era un convinto fautore del nordicismo, considerando la , gruppo biologico culturale originario della Scandinavia come il ramo più dotata della razza bianca e il più importante per la civiltà umana. Sua massima preoccupazione era che le componenti nordiche della popolazione statunitense venissero sommerse da altri gruppi. Il libro godette di immediata popolarità e venne tradotto in tedesco e francese, Fautore della eugenetica il Grant chiedeva che si procedesse al miglioramento della popolazione statunitense con incroci “selettivi” e misure atte a limitare l’immigrazione dall’Asia e dall’Europa meridionale. Un suo successivo volume sul popolamento del continente americano da parte dei bianchi venne boicottato da ambienti ebraici Il Grant si distinse anche come difensore della natura battendosi per la protezione di specie animali in pericolo di estinzione e dell’ambiente in generale, ciò gli valse molti riconoscimenti, tra l’altro, una specie di caribù venne denominata in suo onore .Al processo di Norimberga fu citato dal difensore del medico Karl Brandt già responsabile del programma di eutanasia nazional socialista(poi condannato a morte) come prova del fatto che certe preoccupazioni in campo razziale ed eugenetico non erano state una esclusiva dei Nazisti.


(6)In questa ottica si potrebbe anche inquadrare il fatale assalto all’URSS del 1941.L’URSS “Per Hitler e per le SS la nuova guerra non era un conflitto alla vecchia maniera, come quella che continuavano contro gli alleati occidentali, bensì rappresentava un episodio ulteriore della lotta millenaria fra due concezioni essenziali, quella europea e quella asiatica. Quest’ultima era rappresentata dal comunismo e tutto quello che comportava, secondo lo schema ideologico nazista, (il giudaismo, odio antieuropeo, impiego delle razze non bianche per la distruzione dell’Europa)” Erik Norling Novantico, Pinerolo, 2010, pag.95-. Su di un più vasto sfondo “..la guerra del nazionalsocialismo era la guerra per l’indipendenza e l’unità dell’Europa contro gli imperialismi russo e americano e.., quale ne fosse il prezzo, essa avrebbe conservato all’Europa e all’uomo bianco il suo posto nel mondo.”A. Romualdi (Edizioni de L’Italiano,s.a.i. pag. 184)


(7) Sul del 28 IX 1998 Indro Montanelli in scriveva : Per quanto inattuale, per oggi e per domani, sia l’ipotesi di una invasione militare, potrebbe verificarsene un’altra, di cui c’è già qualche avvisaglia: un’alluvione di extracomunitari talmente massiccia da mettere in pericolo la nostra Gente- moglie, figlio, eccetera- e la nostra Roba. E in tal caso, spento in noi ogni Spirito di combattenti perché spento ogni valore di Patria, di Dovere, eccetera,a cosa attingeremmo la forza di resistere?” “Noi veniamo aggrediti,la guerra ci è stata dichiarata, il nostro sangue tramonta o viene corrotto. E tutta l’opera del sistema consiste nel persuaderci che questo formidabile avvenimento non esiste.”Guillaume Faye L’Aencre, Paris, 2002,pag.341.


(8) Oswald Spengler in Il Borghese, Milano, 1973, pag. 116 avrebbe scritto “Quando i Giapponesi vinsero la Russia, si accese una speranza per tutta l’Asia, un giovane Stato asiatico aveva costretto, mediante mezzi occidentali alla resa la più grande potenza d’Occidente e con questo aveva distrutto il prestigio di invincibilità che circondava l’Europa”. Fu come l’effetto di un segnale in India, in Turchia, perfino nell’Africa del Sud e nel Sahara: era dunque possibile far pagare ai popoli bianchi dolori e umiliazioni plurisecolari”.

(9)Qualche anno dopo (1933)Oswald Spengler nel suo (AR,Padova,1994,pag.171)avrebbe ammonito : “Dietro le guerre mondiali … spunta il più grave di tutti i pericoli,il pericolo rappresentato dai popoli di colore. Per fronteggiarlo sarà necessariotutto ciò che in fatto di ancora sussiste nei popoli bianchi.”

(10)Come è noto di codesto concetto fecero uso ed abuso i nazionalsocialisti, tra costoro lo stesso Rosenberg riconosceva ,in proposito, il suo verso lo Stoddard, Si potrà tornare sull’argomento ampliando queste note.

(11) I “barbari”aveva già scritto Gustave Le Bon “ si trovano nel seno delle stesse nazioni civili …. ogni popolo contiene un’ immenso numero di elementi inferiori incapaci di adattarsi ad una civiltà troppo elevata per loro. Così si forma un enorme scapito che cresce continuamente, e la cui azione sarà terribile per i popoli che la subiranno”(Monanni, Milano, 1927, pag. 136.

(12)Possiamo ricordare qui un grande difensore del principio aristocratico su cui potremmo ritornare in futuro,l’inglese Anthony Ludovici, studioso di Nietzsche e ammiratore del Fascismo italiano (cfr.per i temi qui trattati i suoi saggie riediti da Renaissance Press P.O.X.1627 Paraparaumu Beach New Zealand). Possiamo anche fare un cenno ai tentativi e alle velleità dei passati regimi “fascisti”di giungere a creare una aristocrazia andando oltre la stessa formula del partito unico. Per quanto riguarda l’Italia: “i.. principi della Rivoluzione Fascista.. tendono alla creazione di una nuova aristocrazia”Mario Carli Bemporad, Firenze, 1926, pag. 15. “E’una nuova epoca aristocratica che deve affermarsi al di là dalla decadenza borghese della civiltà occidentale.”Julius Evola in Giugno 1940( ora in Ar,Padova,2005,vol. II, pag. 179).Anche a questo proposito il Nazionalsocialismo tedesco si spinse molto più avanti.

(13)I lettori di Evola (se ve ne sono ancora,di questo autore si parlò forse troppo anni or sono quando parecchi ne accolsero il pensiero troppo acriticamente,oggi pare essere stato messo in soffitta troppo frettolosamente) potranno facilmente trovare analoghe considerazioni nelle pagine dell’autore de ,“Dal punto di vista pratico,si debbono senz’altro approvare le misure atte ad impedire che una eredità guasta si trasmetta in altre generazioni,non solo,ma si può anche pensare ad un potenziamento della stessa esigenza,per far sì che in una gente o nazione gli elementi inferiori di una data razza in senso generico non abbiano numericamente,il sopravvento su elementi superiori.”Julius EvolaHoepli,Milano,1941,pag. 97. “Nel quadro di un vero Stato il compito sarà duplice: arginare il proliferare canceroso di una massa promiscua e anodina e realizzare i presupposti per l’enucleazione e il consolidamento di uno strato nel quale si stabilizzino qualificazioni tali da rendere capace degni di tenere saldamente il potere” Julius Evola Mediterranee, Roma, 2002.pag.213.Si può ricordare che preoccupazioni e misure eugenetiche erano presenti anche in Stati non certo etichettabili come “fascisti”. “Stati Uniti e Svezia furono pionieri della sterilizzazione coatta contro i criminali abituali(con particolare riguardo agli afro-americani nel caso degli USA”(R.O.PaxtonMondadori,Milano,2005,pag.41)

(14) “ La guerra 1939-1945 apparirà come il conflitto decisivo nel quale l’Europa suicidandosi, cedette la sua supremazia sui popoli di colore” John Barraclough Oxford, 1955, pag. 183da parte sua Domenico Losurdo in N.17 gennaio 2004 ha scritto “In ultima analisi,il Terzo Reich si presenta come il tentativo ,portato avanti nelle condizioni della guerra totale e delle guerra civile internazionale ,di reagire al pericolo del tramonto e del suicidio razziale dell’’Occidente e della razza superiore, realizzando un regime di white supremacy su scala planetaria e sotto egemonia tedesca.”

Da Wikipedia bibliografia(parziale )di L.Stoddard.

• The French Revolution in San Domingo. New York: Houghton Mifflin, 1914.

• Present-day Europe, its National States of Mind. New York: The Century Co., 1917.

• Stakes of the War. New York: The Century Co., 1918.

• The Rising Tide of Color Against White World-Supremacy. New York: Charles Scribner’s Sons, 1920. ISBN 4-87187-849-X

• The New World of Islam. New York: Charles Scribner’s Sons, 1921.

• The Revolt Against Civilization: The Menace of the Under Man. New York: Charles Scribner’s Sons, 1922.

• Racial Realities in Europe. New York: Charles Scribner’s Sons, 1924.

• Social Classes in Post-War Europe. New York: Charles Scribner’s Sons, 1925.

• Scientific Humanism. New York: Charles Scribner’s Sons, 1926.

• Re-forging America: The Story of Our Nationhood. New York: Charles Scribner’s Sons, 1927.

• The Story of Youth. New York: Cosmopolitan book corporation, 1928.

• Luck, Your Silent Partner. New York: H. Liveright, 1929.

• Master of Manhattan, the life of Richard Croker. Londton: Longmans, Green and Co., 1931.

• Europe and Our Money. New York: The Macmillan Co., 1932

• Lonely America. Garden City, NY: Doubleday, Doran, and Co., 1932.

• Clashing Tides of Color. New York: Charles Scribner’s Sons, 1935.

• Into the Darkness: Nazi Germany Today. New York: Duell, Sloan & Pearce, inc., 1940.

http://www.ereticamente.net/2011/05/lothrop-stoddard-cassandra-del-tramonto.html

Germania nazional-socialilista – Alcune osservazioni dopo 50 anni

Alcune osservazioni dopo 50 anni (1) di Rudolf Jordan (2)
(Traduzione dal tedesco e commento di Ronald Klett)
Tratto da The Journal of Historical Review, volume 5, no. 1, pagine 77-83. www.ihr.orgTraduzione italiana di F. R.,
In Germania, e dappertutto nel mondo democratico, il problema più pressante che domina la politica odierna è l’aumento della disoccupazione e la sua causa, la mancanza di posti di lavoro sufficienti per la totalità della forza-lavoro.

Dopo il lungo periodo post-bellico di crescita economica tedesca, noto come Wirtschaftswunder (3), che vide circa 4 milioni e ottocentomila lavoratori stranieri affluire nel paese, la situazione attuale è di quasi 2 milioni di lavoratori tedeschi che cercano lavoro e non riescono a trovarlo (4). La loro disperazione riecheggia oggi gli eventi che impressionarono profondamente la Germania e l’Europa –in realtà, il mondo intero- mezzo secolo fa, quando echeggiarono le parole “Hitler ante portas” al tempo in cui la Germania era sull’orlo del collasso. Qual’era allora la situazione? Il Presidente del Reich, Hindemburg, nominò Adolf Hitler Cancelliere il 30 gennaio 1933. Nel suo successivo discorso alla Nazione tedesca, Hitler sottolineò che due erano i problemi più seri, fra tutti quelli che opprimevano la società. E la loro soluzione richiedeva la totale attenzione ed energia della Nazione stessa. Usando parole estremamente chiare Hitler annunciò che si trattava della disoccupazione e della situazione critica dei contadini. Ambedue sorgevano come spettri dalle rovine della repubblica di Weimar. Nazionalisti e socialisti erano chiamati ad agire. Fino a che punto era grave la situazione in Germania? Fra il 1929 ed il 1932 la media ufficiale annua di disoccupati era cresciuta dalla cifra di 1 milione e ottocentomila a quella sbalorditiva di 6 milioni e centomila, su un totale di 18 milioni di lavoratori, il che equivale ad una percentuale di disoccupazione del 34%. La cifra di oltre 6 milioni venne raggiunta nel febbraio del 1932, mese che vide le lunghe file dei disoccupati in attesa davanti agli uffici di collocamento. Belino, capitale del Reich, aveva allora una popolazione di 4 milioni e duecentomila abitanti, dei quali 650.000 disoccupati (circa l’11% dei disoccupati di tutta la Germania, sebbene la città avesse meno del 7% della popolazione totale della paese). Queste cifre, benché dolorose, minimizzano la reale sofferenza, in quanto i lavoratori agricoli e i domestici non venivano inclusi nelle statistiche ufficiali sulla disoccupazione. A queste cifre dovevano essere aggiunti altri 3 milioni di lavoratori che, al dicembre del 1933, lavoravano ad orario e salario ridotti. Circa un terzo della forza-lavoro complessiva nel 1932 non aveva quindi un ruolo attivo nell’economia nazionale. Il reddito dei lavoratori attivi crollò dai 5 miliardi e 700 milioni di dollari del 1929 ai 2 miliardi e 620 milioni del 1932 (5). Le statistiche delle tasse sui redditi ci dicono che su circa 31 milioni di tedeschi che percepivano un reddito, il 69,2% guadagnava meno di 286 dollari l’anno; il 22,7% percepiva fra i 286 ed i 714 dollari e soltanto l’8,1 % superava la soglia dei 714 dollari annui. Su un totale di 18 milioni di lavoratori, erano circa 12 milioni ad averne effettivamente uno. Degli oltre 6 milioni di disoccupati, oltre un terzo era escluso da qualsiasi sussidio di disoccupazione o aiuto straordinario. Ai beneficiari dell’assistenza veniva concessa la cifra media mensile di 13,09 dollari. La conseguenza fu che lo stato nel 1932 distribuì circa il 16% dei salari e degli stipendi totali, cioè il 9% del reddito complessivo della popolazione tedesca. La tabella successiva mostra chiaramente il successo senza precedenti della lotta Nazionalsocialista alla disoccupazione, paragonandolo alla situazione statunitense dello stesso periodo.
Anno
Data
Disoccupati in Germania (milioni)
Disoccupati negli Stati Uniti (percentuale annua) (6)
1932

23.6 %
1933
31 gennaio
6.019 (33%)
1933
30 giugno
4.856 (27%)
24.9%
1933
31 dicembre
4.059 (23%)
1934
30 gennaio
3.773 (21%)
21.7%
1934
31 giugno
2.880 (16%)
20.1%
1935
31 gennaio
2.927 (16%)
1935
30 giugno
1.710 (9.5%)
1936
16.9%
1937
14.3%
1938
2.8%
9%
1939
17.2&
1940
0.7%
14.6%

All’inizio del 1938 (prima dell’unione con l’Austria), i disoccupati in Germania ammontavano a sole 507.000 unità, ovvero il 2,8%, una cifra che il New Deal rooselveltiano non eguaglierà che nel febbraio del 1943, ben 14 mesi dopo che gli Stati Uniti erano entrati ufficialmente in guerra. Dopo la II Guerra mondiale lo straordinario successo socialista della Germania venne sminuito usando fantasiose menzogne. Si raccontò alla gente che il successo degli anni ’30 era dovuto esclusivamente al riarmo, che apparentemente sarebbe iniziato subito dopo che Hitler aveva assunto l’incarico di Cancelliere. Ma se realizziamo quando effettivamente iniziò il vero riarmo e la ricostruzione delle forze armate, comprendiamo da soli che la tabella precedente ci racconta una storia assai diversa. Quando fu introdotta la coscrizione obbligatoria, alla fine del 1935, oltre 4 milioni di disoccupati avevano già ricominciato a vivere. Alla fine del 1938 il Ministro del Lavoro (7) segnalò che si stavano cercando oltre 1 milione di lavoratori per nuovi impieghi. Non esisteva più alcuna disoccupazione: il problema da allora sarebbe stato quello della scarsità di lavoratori. L’originale successo dell’attacco tedesco alla disoccupazione non fu dovuto a qualche “decisione solitaria” uscita dalle più alte cerchie del Governo, bensì ad un sodalizio ideale, dotato di “spirito di gruppo”, che comprendeva lo Stato, l’industria, il Partito, e gli stessi lavoratori. I dirigenti politici si riunirono con gli specialisti economici di settore per mettere in pratica ciò che questi ultimi avevano raccomandato alla luce delle proprie esperienze. Per sconfiggere 8 la crisi e creare lavoro, lo Stato investì in questo periodo, cioè fino al 1935, la cifra supplementare di 1 miliardo e 330 milioni di dollari. La creazione di posti di lavoro s’imperniava su questa regola risolutiva: “Prima di tutto, a ciascuno un lavoro, poi a ciascuno il proprio lavoro”. (Com’è diverso questo comportamento dall’etica del benessere odierna!). Il pieno significato dell’impresa compiuta dal 1933 al 1935 può essere compreso del tutto solo se lo si considera alla luce della situazione politica all’estero, segnata dalla prima dichiarazione di guerra contro la Germania, che il Daily Express di Londra del 24 marzo 1933 annunciava in prima pagina col titolo “Judea Declares War on Germany”. (9) Cosa significasse davvero quel titolo per la nuova Germania (10) viene chiarito nel testo dell’articolo:
“L’intero mondo israelita serra i ranghi per dichiarare una guerra economica e finanziaria alla Germania…Quattordici milioni di ebrei, in ogni angolo del mondo, si sono uniti come un sol uomo per dichiarare guerra ai persecutori tedeschi dei propri correligionari…la Germania dovrà pagare un prezzo molto alto. Il Reich affronterà un boicottaggio totale nel commercio, nella finanza e nell’industria”.

L’articolo del 24 marzo 1933 citato da Rudolf Jordan
(Il sottotitolo rincara la dose: “Ebrei di tutti il mondo si uniscono all’azione”)
Infatti ciò che la Germania si guadagnò –nonostante la dichiarazione di guerra- fu l’ammirato riconoscimento estero (di Churchill in Inghilterra, per esempio), e all’interno di uno dei principali teorici economici tedeschi, la cui adesione al partito che governa attualmente la Germania Ovest (11) aggiunge una legittimità democratica, che è d’obbligo, alle sue opinioni. Nel 1935, mentre studiava all’Università di Heidelberg, scrisse la propria tesi dottorato (premiata con la summa cum laude), dal titolo Creazione del Lavoro e Ordine finanziario. Lo citiamo:
“La battaglia organizzata della Germania contro la disoccupazione ha elevato ed allargato il concetto di creazione di posti di lavoro dal suo significato letterale di intervento di tipo assistenziale (12) a qualcosa che va oltre la mera stimolazione dell’economia e che richiede una collaborazione da tutte le forze della vita economica…Dopo gli inizi stabiliti dalla legge del giugno del 1931 e del luglio del 1932, e dopo la rivoluzione Nazionalsocialista, lo sforzo si è sviluppato in un ampio servizio e in una impresa educativa dell’intera Nazione: il risultato supremo di questa impresa è stato l’attrarre coscienziosamente in essa i lavoratori”.
Chi ha voglia di contraddire l’ex-ministro federale dell’economia con Helmut Schmidt, cioè il professor Karl Schiller (13), membro del partito socialdemocratico? Già, è proprio lui l’autore della competente valutazione sopra riportata. Quelli di noi che fecero ciò che dovevano allora (14), pienamente consapevoli di realizzare una rivoluzione nazionalista e socialista vedono in queste parole del 1935 del socialdemocratico d’oggi una sonora conferma delle proprie intenzioni.
Commento
di Ronald Klett
Perché la Germania Nazionalsocialista ottenne un successo così spettacolare nel ristabilire la piena occupazione, mentre le maggiori democrazie –gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, e la Francia- dovettero usare una guerra per porre fine alle proprie miserie economiche? (15) Stranamente –ma forse non è poi così strano- questa domanda viene posta di rado. Rudolf Jordan ci ha appena fornito una parte della risposta, e lo stesso ha fatto il professor Schiller. Lo stesso Führer ha risposto alla domanda. Parlando ad un gruppo di ospiti, la sera del 12 novembre del 1941, dichiarò: “Questo è il segreto del mio Piano Quadriennale (16): ho condotto (1) il popolo ad una economia autarchica! Non ho risolto il problema (18) con l’industria bellica”(19). L’opinione alla moda, in America come in Germania, è che i Nazionalsocialisti ottennero il pieno impiego dei lavoratori trasformando la Germania in una sorta di fortezza. Lo storico inglese A.J.P. Taylor espone questo tipico punto di vista: “Il pieno impiego che la Germania nazionalsocialista raggiunse, primo paese in Europa, dipese in larga parte dalla produzione degli armamenti;…” (20). Ma la frase successiva modifica quest’affermazione: “…ma avrebbe potuto essere raggiunto altrettanto facilmente (e fino a un certo punto lo fu) da altre forme di lavori pubblici, dalle strade ai grandi edifici”. La frase seguente diluisce ancora di più la prima dichiarazione: “Il segreto Nazionalsocialista non fu la produzione bellica; fu la libertà dai principi ortodossi dell’economia”. Taylor batte (21) su questo punto del tutto inutilmente, perché 29 pagine prima aveva cortesemente (sebbene forse inconsapevolmente) ammesso (22): “Ancora nel 1939 l’esercito tedesco non era attrezzato per una guerra prolungata; e nel 1940 le sue forze terrestri erano inferiori a quelle francesi in tutto, eccetto il comando”(23). Se “il pieno impiego [tedesco] dipese in larga parte dalla produzione degli armamenti”, la Germania non avrebbe dovuto essere “attrezzata per una guerra prolungata” già nel 1939? Con una tale “produzione degli armamenti” come poteva essere l’esercito tedesco, ancora nel 1940, “inferiore a quello francese in tutto, eccetto il comando”? Le statistiche reali, citate dallo storico dell’economia John Kenneth Galbraith, rispondono a queste due domande: “Ancora nel maggio del 1940 l’industria bellica [tedesca] rappresentava meno del 15% della produzione industriale totale [e questo otto mesi dopo l’inizio della guerra!]; la percentuale raggiunse il 19% nel 1941, il 26% nel 1942, il 38% nel 1943 ed infine il 50% nel 1944(24). La risposta alla domanda di fondo, posta nel primo paragrafo di questo Commento, si compone di tre parti:
1) il disavanzo keynesiano della spesa pubblica (25) (l’opinione di Jordan e di Galbraith);
2) i lavoratori inseriti nel processo economico fino a divenirne entusiasti sostenitori (secondo il professor Schiller);
3) l’autarchia, resa possibile dalle azioni precedenti (risposta del Führer). Nonostante quanto scrive A.J.P. Taylor, l’industria bellica fu un fattore senza importanza nel raggiungimento del pieno impiego tedesco.
Ma Taylor avrebbe potuto rivolgere il proprio rilievo, in maniera inequivocabile, proprio alle democrazie sia durante che dopo la II Guerra mondiale. Nel capitolo conclusivo del secondo volume de Il Declino dell’Occidente, Oswald Spengler, col suo stile inimitabilmente affascinante e con la consueta perspicacia, valuta così la frenetica attività commerciale privata che esige l’economia moderna per rimanere in piedi (26):
“L’antichissima lotta fra economia di produzione ed economia di conquista prende ora le proporzioni di una lotta gigantesca e silenziosa di spiriti sconvolgentesi sul suolo delle città cosmopolite. E’ la lotta disperata del pensiero tecnico, il quale difende la sua libertà contro il pensiero in funzione di danaro. La dittatura del danaro si consolida e si avvicina ad un apice naturale – ciò sta accadendo oggi nella civilizzazione faustiana come già è accaduto in ogni altra civilizzazione. Ed ora interviene qualcosa che può esser compreso solo da chi ha penetrato il significato essenziale del danaro faustiano. Se il danaro faustiano fosse qualcosa di tangibile, di concreto, la sua esistenza sarebbe eterna; ma poiché esso è una forma del pensiero, esso scomparirà non appena il mondo dell’economia sarà stato pensato a fondo: scomparirà per l’esaurirsi della materia che gli fa da substrato. Quel pensiero è già penetrato nella vita della campagna mobilitando il suolo; esso ha trasformato in senso affaristico ogni specie di mestiere; oggi esso penetra vittoriosamente nell’industria per mettere le mani sullo stesso lavoro produttivo dell’imprenditore, dell’ingegnere e dell’operaio. La macchina col suo seguito umano, la macchina, questa vera sovrana del secolo, è in procinto di soggiacere ad una più forte potenza. Ma questa sarà l’ultima delle vittorie che il danaro può riportare; dopo, comincerà l’ultima lotta, la lotta con la quale la civilizzazione conseguirà la sua forma conclusiva: la lotta fra danaro e sangue”(27).
Spengler scriveva immediatamente dopo la I Guerra mondiale, 65 anni fa, (28) quando le attività economiche erano ancora lontane dalla malattia (29) odierna. Le sue parole coinvolgenti ci rammentano che ogni malattia ha fine. C’è un momento critico, nascosto, nel quale un nuovo incremento di energie umane, l’intraprendenza, la lungimiranza, l’inventiva, il coraggio, la risolutezza, la perspicacia, la fatica, l’ottimismo e la speculazione –ingredienti essenziali per sostenere il commercio ai livelli auspicati o innalzarlo a vette ancora più elevate- perdono misteriosamente la propria consueta potenza o addirittura scompaiono del tutto. In quel frangente inizia la terribile discesa: un’avventura il cui inizio non può essere in un futuro molto lontano. Compito di un futuro, grande, movimento storico dovrà essere quello di far tornare le nazioni o i gruppi di nazioni del mondo –e non solo la Germania- ai rispettivi ruoli e quindi all’autarchia, come il Führer saggiamente voleva per il popolo tedesco. Presto o tardi, nel futuro, le nostre economie, oggi interdipendenti e suscettibili di parossismi da brivido ogni qualvolta sopraggiunge una seria tempesta economica dall’estero, saranno considerate una superstizione quale sono sempre state: il mito del ventesimo secolo della Fontana della Gioventù (30). Nei primi anni ’30 questa fontana si è prosciugata in Germania. Ora si sta esaurendo in tutto il mondo. L’esempio tedesco per risolvere questo problema, e soppiantare il metodo (31), non sarà dimenticato.
Le note del traduttore italiano sono precedute dalla sigla NdT. Le altre sono del traduttore dal tedesco. Le foto sono a cura del traduttore italiano

Note
1 Nella versione tedesca l’articolo è apparso col titolo Das Gespenst der Arbeitslosigkeit: Wie es vor 50 Jahren verjagt wurde, sul trimestrale Deutschland in Geschichte und Gegenwart, Volume 30, Numero 3 (1982), pubblicato dalla Grabert Verlag di Tubinga. www.grabert-verlag.de2 NdT. Rudolf Jordan, nato il 21 giugno 1902 a Grossenlüder in Assia. Iscritto alla NSDAP dal 1925. Dal 1933 SAGruppenführer, dal 1937 SA-Obergruppenführer. Dal 1931 al 1937 Gauleiter del Gau Halle-Merseburg, dal 1937 all’8 maggio 1945 Gauleiter del Gau Magdeburg-Anhalt. Membro del Reichstag. Dal 1944 Gauvolkssturmführer des Gaues Magdeburg-Anhalt (Capo del Volkssturm del Gau). Prigioniero del russi fino al 13 ottobre 1955. Muore nel 1988.
3 NdT. Miracolo economico.
4 NdT. L’articolo è del 1982. La situazione attuale, dopo l’acquisto della Germania Est da parte delle banche della Germania Ovest, è assai peggiore.
5 Il cambio è stato calcolato secondo il tasso ufficiale di 1 Reichsmark = 23,8 centesimi di dollaro statunitense.
6 Fonte: U.S. Department of Labour.
7 NdT. Franz Seldte nacque a Magdeburgo il 29 giugno 1882, si laureò in chimica a Braunschweig. Croce di Ferro di I e II Classe nella I Guerra mondiale, nella quale perse il braccio sinistro. Nel dicembre del 1918 fondò lo Stahlhelm. Dal 1933 Seldte guidò la progressiva confluenza dello Stahlhelm nella NSDAP e nella SA. Fu Ministro del Lavoro ininterrottamente dal 1934 al 1945. Arrestato nel 1945 morì nell’ospedale americano di Furth il 1° aprile 1947, prima dell’inizio del processo
a suo carico.
8 NdT. Letteralmente: “domare”.
9 NdT. “La Giudea dichiara guerra alla Germania”.
10 NdT. Letteralmente: “per il nuovo inizio della Germania”.
11 I Socialdemocratici dell’SPD, fino alla fine dell’82.
12 NdT. Letteralmente: “di lavoro assistito”.
13 NdT. Karl Schiller, nato a Breslau il 24 aprile 1911, fu uno dei più celebrati economisti tedeschi del dopoguerra. Schiller fu Bundeswirtschaftsminister (Ministro Federale degli Affari Economici) durante la Grande Coalizione del 1966- 1969, lavorando a stretto contatto con Franz Josef Strauss, Finanzminister (Ministro delle Finanze) e per lungo tempo leader della CSU. In una successiva coalizione SPD-FDP (1969-1972), con Helmut Schmidt, tenne contemporaneamente i due Ministeri dell’Economia e delle Finanze, cosa che gli valse l’appellativo di Superminister. E’ da notare che il suo metodo, in economia, venne definito Alleanza per il Lavoro e che fu caratterizzato da stabilità dei prezzi, alti stipendi e salari, crescita economica e lotta alla disoccupazione. Forse qualcosa di buono gli era rimasto….
14 NdT. Letteralmente: “che fecero il proprio lavoro in quei giorni”.
15 Per le democrazie la II Guerra mondiale fu, dal punto di vista economico, un toccasana mirabilmente efficace. L’economista statunitense John Kenneth Gaibraith è piacevolmente franco sull’argomento: “In effetti la Grande Depressione [americana] non finì mai. Fu solo spazzata via dalla II Guerra mondiale”. J. K. Gaibraith Money: Whence It Come, Where It Went (Boston, Houghton Mifflin, 1975), pagina 234.
16 NdT. Il Führer pose alla guida del Piano Quadriennale Hermann Göring, il 18 ottobre del 1936. A causa della guerra alcuni degli obiettivi del Piano furono procrastinati e portati comunque a termine fra il 1941 ed il 1944.
17 NdT. Letteralmente: “intessuto il popolo”.
18 NdT. Della disoccupazione.
19 Adolf Hitler, Monologe im Fuehrerhouptquortier 1941-1944: Die Aufzeichnungen Heinrich Heims herausgegeben von Werner Jochmonn (Hamburg, Albrecht Knaus Verlag, 1980), pagina 137. Il Piano Quadriennale a cui si riferisce Hitler è ilsecondo, annunciato nel 1936, che inaugurò una economia estesamente autarchica. Il Führer, ben consciodell’atteggiamento sempre più minaccioso dei paesi vicini, diede istruzioni a Göring perché l’economia tedesca e le forzearmate fossero pronte per la guerra nel 1940. Quest’ultime istruzioni non furono eseguite.
20 A.J.P. Taylor, The Origins of the Second World War (New York, Atheneum, 1962), pagina 104.
21 NdT. L’autore usa il verbo americano “belabor” che significa “tartassare, bombardare di [domande]”.
22 NdT. L’autore usa un’espressione gergale americana intraducibile. Si è preferito ometterla.
23 A.J.P. Taylor, The Origins of the Second World War, citato, pagina 75.
24 Werner Maser, Nuremberg: A Nation on Trial (New York, Scribners, 1979), pagina 138. Le ulteriori, abbondanti, statistiche sulla produzione bellica, citate da Maser in questo paragrafo sommergono il lettore rendendo più chiaro ciò che, comunque, è già ovvio. Per gettare uno sguardo realistico sulla pretesa preparazione tedesca per la guerra già nel 1939, e per una completa confutazione di tale affermazione, si possono consultare le testimonianze, rese al Tribunale di Norimberga, dal generale Karl Bodenschatz, dal feldmaresciallo Erhard Milch, e dal Generaloberst Alfred Jodl che si trovano alle pagine 127-130 e 136-139 del libro di Maser. Un esame ancora più dettagliato ed istruttivo sulla effettiva preparazione bellica della Germania nel 1939, confrontata con quella delle nazioni nemiche, è nel capitolo The German Standard of Armament in the Year 1939, nel libro di Udo Walendy, Truth for Germany: The Guilt Question of the Second World War (Viotho/Weser, Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, 1981), alle pagine 256-290. Sebbene Galbraith suggerisca, erroneamente, che le spese militari ebbero un ruolo più rilevante di quello realmente avuto, i suoi commenti sull’economia Nazionalsocialista prima e durante la guerra sono interessanti per il loro indiscutibile buon senso; vedi Money: Whence It Come, Where It Went (Boston, Houghton Mifflin, 1975) alle pagine 225-226 e The Affluent Society (New York, Houghton Mifflin, 1958), alle pagine 162-163.
25 NdT. Chi desideri approfondire le teorie keynesiane può consultare: http://www.studiamo.it/dispense/cors…aggregata.html
26 NdT. Letteralmente: “per galleggiare/rimanere a galla”.
27 NdT. Oswald Spengler, Il Tramonto dell’Occidente, Longanesi & C., 1981, pagine 1395-1396.
28 NdT. Il Tramonto dell’Occidente è del 1918. Oggi sono trascorsi 87 anni.
29 NdT. Letteralmente: “dalla febbre”.
30 NdT. La fontana abbeverandosi alla quale si ottiene l’eterna giovinezza.
31 NdT. Delle economie interdipendenti.

__________________
Sul piano politico‑razziale, noi affermiamo che, nell’apocalisse di Berlino, la forma politica nazionalsocialista scolpirà la connotazione razziale di una figura nuova, il soldato politico nichilista, il quale proietterà la sua disincarnata immagine oltre l’epilogo del secondo millennio.

“Le frontiere sono sempre state tracciate col sangue e le nazioni sono sempre state delimitate dalle tombe.” Rakto Mladic



MANIFESTO DEI NEGAZIONISTI


by Gianluca Freda

Questo è un articolo di Curt Maynard tratto dal suo blog Politically Correct Apostate. Lo pubblico qui, tradotto in italiano e vorrei farlo mio parola per parola, virgola per virgola. Non credo che avrei saputo esprimere meglio ciò che penso riguardo al mito dell’olocausto ebraico. Vorrei adottarlo come primo manifesto dei negazionisti, almeno fino a che le leggi europee non vieteranno per legge la ricerca storica non allineata alle bufale dei media.

Sono un negazionista dell’Olocausto e non ho paura

di Curt Maynard
Traduzione di Gianluca Freda

Perché mai una persona dovrebbe intitolare un articolo “Sono un negazionista dell’olocausto”? Lasciate che mi spieghi. Prima di tutto, io non nego affatto che gli ebrei siano stati discriminati e perseguitati dai Nazional Socialisti negli anni ’30 e ’40. Lo riconosco volentieri come un dato di fatto. Non nego che centinaia di migliaia di persone siano state mandate in “campi di concentramento” in Germania, Austria, Francia e Polonia. Non nego che l’Ebraismo Internazionale sia stato visto come entità problematica e parassitaria da molti europei negli anni ’30 e ’40 e non nego che molti ebrei abbiano perso la vita durante la Seconda Guerra Mondiale. Ciò che nego è che il numero dei morti sia stato di sei milioni: mi rifiuto di accettare questa cifra, prima di ogni altra cosa perché è proprio ciò che si vorrebbe farmi credere. Sono un negazionista dell’olocausto perché molti, vigliacchi governi europei mettono in carcere i loro cittadini per aver messo in discussione (non per aver negato) l’olocausto. Nessuno di costoro – nessuno – ha mai negato che i nazisti abbiano perseguitato ed emarginato gli ebrei prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Essi hanno invece messo in dubbio alcuni inverosimili racconti riguardanti il cosiddetto olocausto e di conseguenza anche l’affidabilità dei media, che come sapete (sì, lo sapete) sono sproporzionatamente sotto il controllo degli ebrei sionisti.

Il Canada e molti paesi europei, tra cui la Francia, la Germania e l’Austria, mettono in prigione i loro cittadini nel caso in cui mettano in dubbio alcune delle affermazioni più improbabili riguardanti l’olocausto, provenienti da fonti e testimonianze tra le più inaffidabili. Qui sotto ci sono alcuni esempi. Mentre leggete, non dimenticate che alcuni di questi esempi sono entrati nei registri processuali, supportati da presunti “testimoni oculari”, e sono stati usati per giustificare l’arresto e l’esecuzione di leader nazisti per crimini contro l’umanità al Processo di Norimberga, dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Mettendo da parte le risposte di riflesso, quanto credete sia verosimile che i fatti riportati qui sotto siano realmente accaduti?

– I malvagi nazisti privarono i poveri ebrei sofferenti dei loro animali da compagnia.

– I malvagi, malvagi, malvagi nazisti spezzavano a metà i bambini a mani nude dinanzi agli occhi delle madri (fisicamente IMPOSSIBILE).

– I parenti di Henry Kissinger vennero trasformati in saponette (la storia del sapone è ormai universalmente riconosciuta come non vera, perfino dai sostenitori dell’olocausto. Yehuda Bauer, che è ebreo ed è probabilmente il più noto storico vivente dell’olocausto, ha ammesso che la storia è falsa).

– Il New York Times afferma che un milione e mezzo di ebrei morirono nelle camere a gas a Majdanek (sfortunatamente per il Times, gli storici, anche quelli ebrei, hanno ridimensionato del 95% il numero degli ebrei uccisi a Majdanek).

– La cifra di 4 milioni di ebrei morti, riportata nella targa commemorativa di Auschwitz, nel 1989 è stata cambiata alla chetichella in 1,5 milioni (che fine hanno fatto gli altri due milioni e mezzo?).

I malvagi nazisti si servivano di pavimenti elettrificati per uccidere gli ebrei (assolutamente risibile).

– I malvagi, crudeli nazisti usarono una bomba atomica per incenerire gli ebrei ad Auschwitz (non ridete, si tratta di una testimonianza resa realmente al Tribunale Militare Internazionale di Norimberga e utilizzata come pretesto per impiccare davvero alcune persone per crimini che non avevano mai commesso).

– Dei “geyser” di sangue ebreo eruttarono per MESI dal suolo dopo lo sterminio (peccato che il sangue si coaguli molto rapidamente, è per questo che non moriamo dissanguati a causa di piccole ferite).

– Un intero fiume si tinse del rosso del sangue degli ebrei (testuale dal St. Petersburg Times).

– I principali media hanno riportato storie di ebrei che sono sopravvissuti a sei gasazioni consecutive. “Forse i bambini resistono meglio”, ha dichiarato un “sopravvissuto”. (Ovviamente non è così, ci vuole meno gas per uccidere un bambino).

– A Sachsenhausen esisteva una macchina per le esecuzioni attivata a pedale (divertente come gli “ingegnosi tedeschi” sentissero la necessità di implementare il loro sterminio con un apparecchio a pedale).

Potrei andare avanti all’infinito, ma credo di aver reso l’idea. Il problema è che se qualcuno provasse ad insinuare che uno dei fatti suddetti è falso, o anche solo discutibile, in Canada, Germania, Austria, Francia ed in altri paesi europei verrebbe messo in prigione e accusato di negazione dell’olocausto.

E’ per questo motivo e non per altri che esco allo scoperto e mi dichiaro negazionista dell’olocausto. Rifiuto di farmi intimidire da governi stranieri, compreso lo stato di Israele, che ha approvato una legge in cui si dichiara legittimato a perseguire i cosiddetti “negazionisti dell’olocausto” che vivano in qualunque parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, e che la nostra Costituzione e la libertà di parola vadano al diavolo! Rifiuto di svendere ulteriormente la mia integrità intellettuale a professori e studiosi codardi che non permettono ai loro studenti di studiare l’olocausto utilizzando tutte le fonti a disposizione. Io stesso sono stato una vittima di questi codardi e mentitori. Ho dovuto presentare loro tutta la spazzatura storica che volevano per poter ottenere la mia sudata laurea. La verità è che la loro codardia è sfrenata, non abbiamo motivo di aspettarci nulla da loro, mentre abbiamo ogni motivo per espellerli dalle accademie una volta che la verità sarà largamente diffusa e condivisa.

Mi dichiaro negazionista dell’olocausto non perché dubiti che i nazisti abbiano davvero oppresso e perseguitato gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, ma perché sento la responsabilità di stare dalla parte di coloro che vogliono parlarvi di quest’ultima. Che vogliono mostrarvi l’immensa quantità di materiali spacciati come prove, che sono invece contraddittori, fasulli e smentiti dai fatti, dalla scienza, dalla realtà! La storia dell’olocausto come la conoscete è falsa, è stata distorta, alterata, non di rado inventata e spesso fondata su nient’altro che fantasiose bugie. Sono un negazionista dell’olocausto perché Israele vuole impedirmi di esserlo. Sono un negazionista dell’olocausto perché Germania, Austria e Francia hanno messo in galera decine di migliaia di persone solo per avere osato discutere alcuni discutibili aspetti della “verità ufficiale”. Sono un negazionista dell’olocausto perché so che grandi uomini come Ernst Zundel, David Irving, Germar Rudolf, Siegfried Verbeke, Horst Mahler, Robert Faurrison, e migliaia e migliaia di altri non hanno altra colpa che quella di avere cercato di avvertirvi che i media sionisti e i governi occidentali loro complici rifiutano di lasciarvi vedere la verità. Sono un negatore dell’olocausto perché non dovrei esserlo, almeno secondo la “programmazione” che ognuno di noi subisce dal momento in cui nasce a quello in cui muore. Sono un negazionista dell’olocausto perché non ho paura delle conseguenze. So di stare combattendo la battaglia giusta e so che, alla fine, il corretto revisionismo storico vincerà. La verità trionfa sempre!

Sono un negatore dell’olocausto e che Israele e il sionismo siano maledetti!

http://blogghete.blog.dada.net/post/356931/MANIFESTO-DEI-NEGAZIONISTI.html

La cosiddetta repubblica partenopea




di Ubaldo Sterlicchio


«Unica ed indivisa la Repubblica Napoletana:

comincia a Posillipo e finisce a Porta Capuana»

Nel 1799, una sparuta minoranza di collaborazionisti (i giacobini napoletani) favorì l’invasione francese, macchiandosi dei gravissimi crimini di “alto tradimento” e di “intelligenza con il nemico”, commessi contro il proprio Popolo e la propria Patria.

I giacobini napoletani, infatti, con l’appoggio delle truppe straniere ed attraverso un “colpo di stato”, instaurarono a Napoli, contro la volontà popolare, una feroce dittatura oligarchica, impropriamente denominata “repubblica” partenopea.

Il giorno 13 gennaio 1799, decine di migliaia di popolani napoletani (i cc.dd. “lazzari”), presero il controllo della città, pronti a combattere fino alla fine contro i francesi invasori ed i giacobini locali; questi ultimi furono costretti a rinchiudersi nelle fortezze della capitale.

Quando il generale Jean Antoine Championnet, comandante in capo dell’Armata francese, decise di attaccare Napoli, i lazzari iniziarono un’eroica quanto impossibile resistenza, che durò fino al giorno 23.

Nei giorni 21, 22 e 23 gennaio 1799, mentre l’intera città di Napoli combatteva e moriva contro le truppe straniere, i giacobini, asserragliatisi in Castel Sant’Elmo, cannoneggiarono vigliaccamente alle spalle il popolo (come testimoniò lo stesso summenzionato generale francese in un dispaccio inviato al Direttorio di Parigi), provocando un bagno di sangue fra la propria gente.

Benché fossero bersagliati alle spalle dai giacobini, attaccati dall’alto e dal basso dagli studenti sedicenti “democratici” e falciati dalle cariche francesi, i “veri patrioti napoletani“ combatterono con eroico ardimento al Ponte della Maddalena, a Porta Capuana ed a Capodimonte.

Alla fine Championnet prese la città; ma occorsero, per venire a capo della resistenza popolare, tre contingenti di militari francesi e si dovette ricorrere alla mostruosità di dare fuoco alle case del popolo per far venire fuori la gente e fucilarla sul posto.

Nei tre giorni di resistenza, persero la vita ben 10.000 napoletani e più di 1.000 francesi.

Lo stesso generale si rese conto che, senza l’aiuto dei repubblicani napoletani, egli non sarebbe potuto entrare così presto nella capitale, e forse non vi sarebbe entrato mai.

La c.d. repubblica partenopea fu, pertanto, il frutto di una conquista straniera e l’esercito francese di occupazione fu il suo unico sostegno.

Migliaia di valorosi napoletani di ogni estrazione sociale morirono per difendere la loro terra, la loro Patria; tuttavia, sui loro nomi (Michele Pezza detto Fra’ Diavolo, Luigi Brandi, Giuseppe Pronio, Vito Nunziante, Sciarpa, Panedigrano e tanti altri) è calato l’oblio ed oggi si commemora ancora con grande enfasi la nascita della c.d. repubblica partenopea, imposta manu militari dalle truppe di occupazione francesi e caldeggiata da una esigua minoranza di collaborazionisti.

Con l’insorgenza popolare, e fino alla riconquista di Napoli da parte del Cardinale Ruffo (vale a dire nei soli 5 mesi della c.d. repubblica!), furono massacrati più di 60.000 regnicoli, come testimoniò il generale francese Paul Thiébault nelle sue Memorie. Infatti, le truci rappresaglie commesse dalle truppe franco-giacobine contro le popolazioni inermi del Sud provocarono, oltre ai già ricordati 10.000 morti napoletani nella sola settimana della rivolta dei lazzari, 1.300 vittime ad Isola Liri e dintorni; la devastazione di Itri e di Castelforte; 1.200 morti a Minturno in gennaio, più altri 800 in aprile; il massacro di tutti gli abitanti della cittadina di Castellonorato; 1.500 persone furono passate a fil di spada nella sola Isernia; 700 nella zona di Rieti; 700 a Guardiagrele; 4.000 ad Andria; 2.000 a Trani; 3.000 a San Severo; 800 a Carbonara; tutta la popolazione a Ceglie.

Inoltre, il 23 marzo 1799, 200 prigionieri napoletani furono ammazzati dai francesi, nei dintorni di Chieti, per evitare il fastidio di doverli trasportare fino a Napoli.

Le chiese furono saccheggiate, le Ostie consacrate sparse per terra: il disprezzo per la fede religiosa delle popolazioni italiane era infatti sempre presente nella truppaglia francese.

Lo stesso 23 marzo 1799, a L’Aquila, gli invasori depredarono la chiesa di San Berardino, spargendo per terra le spoglie del Santo ed ammazzando ben 27 frati più tanta gente che si trovava in chiesa, circa un centinaio di persone.

Il Regno di Napoli subì quindi la spietata occupazione straniera; i giacobini napoletani istituirono un antidemocratico governo fantoccio che, per ironia della sorte, non fu riconosciuto neanche dalla stessa Francia.

Le truppe francesi si autodefinirono falsamente “liberatrici” ed i giacobini si ritennero “patrioti”, sostenendo che la rivoluzione era a favore del popolo, per risollevarlo dalla sua miserrima condizione; intanto, però, ne fomentarono la strage, ritenendo che la felicità vada imposta dalle menti elette al prezzo di un bagno di sangue.

Gli invasori francesi imposero anche un’indennità di guerra di complessivi 17 milioni e mezzo di ducati (oltre mezzo miliardo di euro attuali): due milioni e mezzo alla città di Napoli e quindici milioni alle province, indennità che dovevano essere pagate entro due mesi; questo denaro fu raccolto dai collaborazionisti giacobini imponendo al popolo pesantissime tasse. Quelli che non potevano pagare in denaro dovevano portare i loro gioielli ed il loro argento che sarebbero stati stimati da agenti accreditati; molti furono imprigionati o multati col sequestro dei loro possedimenti per una somma doppia di quella che dovevano. «Noi tassiamo anche le opinioni» fece osservare un “democratico” agente addetto alla riscossione ad una signora il cui marito aveva seguito il Re in Sicilia.

I Francesi avevano solo brama di saccheggio e razziarono quanto potettero: tutti i beni pubblici furono dichiarati proprietà della Repubblica francese; confiscarono i Banchi, i depositi di danaro di privati, i beni dei conventi e dei proprietari assenti, le proprietà della Corona, i fondi dell’Ordine Costantiniano, le fabbriche di porcellane di Capodimonte e perfino le antichità degli scavi di Pompei e di Ercolano. Tutto fu fatto, ovviamente, con il beneplacito del governo c.d. repubblicano partenopeo.

Furono quindi trasferite in Francia migliaia di opere d’arte di inestimabile valore.

Una canzone popolare riassunse così la situazione:

«E’ venuto lo Francese

cu’ ‘nu mazzo di carte immano:

Liberté, Egalité, Fraternité,

tu rubbi a me, io rubbo a tte»

e mai, come in questo caso, risultò appropriato il proverbio latino: «vox populi vox Dei».

Altro che liberare i popoli oppressi dalla tirannide ed esportare, dalla sorella repubblica francese in Italia, i democratici valori di Liberté, Egalité, Fraternité.

E’ bene tener presente che, nelle Due Sicilie del ‘700, la maggior parte delle persone colte seguiva il pensiero politico dell’Illuminismo con animo moderato; si pensava più ad una monarchia costituzionale che ad una repubblica. D’altra parte, il disagio materiale della plebe duosiciliana non era così grave come quella francese; non c’erano quindi le condizioni per uno stato insurrezionale, come ben dimostrarono i fatti del 1799 (e, successivamente, del 1820, del 1848 e del 1860). Lo spirito popolare era “borbonico”: le masse ed i loro sovrani consideravano i loquacissimi intellettuali come dei demagoghi, dei pescatori nel torbido. E poi, come avrebbe potuto un popolo, con una tradizione monarchica di ben sette secoli, ormai facente parte del suo DNA, accettare dalla sera alla mattina la repubblica?

Nel 1799 quegli intellettuali, invece, rinunciarono ad un elemento basilare e peculiare dell’Illuminismo napoletano: l’originalità, l’essere precursori e propulsori. Con l’arrivo dei francesi, iniziò la fase dei “liberatori” cui spalancare le porte e con cui collaborare in posizione gregaria. Questo atteggiamento si stabilizzerà nell’800 dei “paglietti” e resterà presente fino ai nostri giorni con i politici meridionali, incapaci di strategie e politiche originali.

In un dispaccio del 21 gennaio 1799 inviato dai giacobini napoletani allo Championnet, al fine di invitarlo ad affrettarsi a marciare su Napoli per la loro salvezza, troviamo scritto: «Non la Nazione, ma il Popolo è nemico dei francesi». Il fare una distinzione fra la categoria di “Nazione” e quella di “Popolo”, attribuendo la prima a se stessi, cioè poche decine di giacobini, e la seconda, con valenza dispregiativa, a milioni di individui di tutte le classi sociali, dall’ultimo dei contadini al Re, risulta essere una testimonianza inequivocabile non solo dell’isolamento, ma anche della loro utopia, e dimostra anche tutto il loro reale disprezzo per il popolo, atteggiamento tipico di ogni casta intellettuale di ogni tempo e luogo. Noi, più semplicemente ed obbiettivamente, riteniamo che debba chiamarsi “patriota” colui che difende la propria Patria dall’invasione straniera, anche a costo del sacrificio della propria vita.

Eppure, a distanza di due secoli, nel 1999, il Parlamento della Repubblica Italiana stanziò (rectius, sperperò!) ben 8 miliardi di lire per le celebrazioni di quella effimera repubblica giacobina di servi!

Ed è estremamente significativo che, mentre negli altri paesi europei si festeggiano ancora oggi le ricorrenze storiche che ricordano le battaglie vinte contro Napoleone e si venerano come eroi coloro che impugnarono le armi e sacrificarono la propria vita combattendo l’invasore francese, in Italia, al contrario, si spende denaro pubblico per festeggiare la “rivoluzione napoletana”, che dagli storici più attenti è stata definita, nel migliore dei casi, una “rivoluzione passiva”, cioè imposta dall’esterno e non maturata nella stessa società. Si esaltano, nel contempo, personaggi che, pur di imporre le proprie idee, collaborarono con le forze straniere, consegnando nelle loro mani la Patria. Peraltro, la toponomastica del Sud è piena di vie, piazze, lungomari dedicati a queste persone, mentre la congiura del silenzio grava sui lazzari e su chi ha riconquistato il regno del Sud.

Il cardinale Fabrizio Ruffo dei duchi di Baranello e Bagnara liberò Napoli il 13 giugno, dopo una tragica battaglia che rivide i lazzari in azione al suo fianco. Il 21 giugno 1799 i francesi ed i collaborazionisti si arresero.

Tuttavia, durante l’assedio di Napoli, il cardinale Ruffo, da buon cristiano, aveva cercato di salvare i giacobini rinchiusi in Castel Sant’Elmo, offrendo loro la fuga via terra; ma costoro vollero consegnarsi ad Orazio Nelson, che assediava Napoli dalla parte del mare, reputando preferibile fidarsi di un ammiraglio protestante piuttosto che di un prete cattolico. Però, appena essi si imbarcarono, Nelson li fece arrestare tutti. Se non fosse stato per quest’ultimo, essi sarebbero potuti partire per la Francia e sarebbero stati dimenticati; senza saperlo, egli li trasformò in martiri, quantunque essi fossero stati legalmente perseguiti dalla giustizia per essersi macchiati di “alto tradimento” e di ”intelligenza con il nemico”, reati questi puniti, in ogni tempo e in ogni luogo, con pene draconiane.

Tuttavia, non ci fu quel bagno di sangue che ancora oggi affermano coloro che si ostinano ad esaltare le gesta della c.d. repubblica partenopea, contro tutte le ragioni della storia e del buon senso.

La Giunta di Stato processò circa ottomila prigionieri e ne condannò a morte 105 (6 dei quali ottennero la grazia); 222 all’ergastolo, 322 a pene minori, 288 alla deportazione, 67 all’esilio, da cui molti tornarono; furono punite in tutto 1.004 persone, mentre gli altri 7.000 carcerati vennero rimessi in libertà.

I giacobini napoletani, invece, avevano fatto di più e di peggio! Basti considerare che, in soli 5 mesi essi avevano condannato a morte e giustiziato, dopo processi farsa, ben 1.563 oppositori al regime filo-francese.

Orazio Nelson, quindi, ne fece impiccare 99, e da questo atto è nato il mito dei «martiri della repubblica partenopea», di cui sempre si incolpano i Borbone.

Ma, se si vuole essere realmente imparziali nel giudizio storico, occorre tener presente fino in fondo la reale gravità del loro tradimento verso il popolo e verso i sovrani; gravità peggiorata dal fatto che essi consegnarono lo Stato in mano ad un nemico invasore e dal fatto che i traditori erano per lo più nobili od intellettuali, frequentatori della Corte di Napoli e spesso amici della coppia reale, molti dei quali da questa precedentemente beneficiati.

Per Luigi Blanch, il più equilibrato storico napoletano, i Giacobini «erano una minoranza quasi impercettibile aspirante a stabilire, per mezzo della conquista, una forma di governo non voluta dal paese e appunto in quell’anno talmente screditata in Francia che con applauso cessò il 18 brumaio. Ciò ch’essi volevano contrastava coi princìpi liberali, basati sull’indipendenza nazionale all’esterno e sul consenso della gran maggioranza all’interno: furono contenti della dolorosa campagna del ’98 e irritati dall’energica resistenza popolare… Nel senso morale fu una fortuna che divenissero vittime; ché, se avessero trionfato, sarebbero stati carnefici tanto più crudeli quanto più erano pochi. Sacrificati, hanno ispirato compassione per gl’individui e simpatia per la causa. Sacrificatori, avrebbero ispirato orrore per gli uni come per l’altra».

Harold Acton osservò che «da allora è stata perfezionata la tecnica per cui una minoranza può impadronirsi del potere della Stato contro la volontà della maggioranza, e la maggior parte di noi sa dove questo può condurre. Un attento esame della breve vita della repubblica partenopea ci porta a dubitare che essa avrebbe potuto mantenere il potere, se non sottomettendo la maggioranza a violenze ed a continue minacce di violenza».

Peraltro, la motivazione reale che spinse la stragrande maggioranza della popolazione del Regno ad aderire al sanfedismo fu il netto ed anche violento rifiuto del giacobinismo e dei suoi ideali rivoluzionari; e, quindi, la fedeltà alle concezioni tradizionali della fede religiosa e della monarchia, che caratterizzavano l’antica società cristiana occidentale.

I fratelli Goncourt scrissero mirabilmente che «le menti mediocri giudicano l’ieri da quello che è l’oggi, si stupiscono della grandezza e della magia della parola “Re”. Essi credono che questo amore per il sovrano sia solo servilismo; in realtà egli era a quei tempi la religione del popolo (che lo chiamava “nostro padre”), così come il concetto di patria lo è stato nel ventesimo secolo. Quando le frontiere nazionali cadranno, anche il concetto di patria sembrerà vuoto e limitativo visto con gli occhi degli uomini che vivranno allora».

Ed in particolare a Napoli, la grandiosità e la magia della parola “Re” ben esisteva, nonostante la presenza e l’avversione di una malcontenta minoranza di cosiddetti liberali. A tale proposito, Francesco Saverio Nitti, quantunque fosse liberale e filo-piemontese, obbiettivamente ammise che «le masse popolari delle Due Sicilie, da Ferdinando IV in qua, tutte le volte che han dovuto scegliere tra la monarchia napoletana e la straniera, tra il re e i liberali, sono state sempre per il re: il ’99, il ’20, il ’48, il ’60, le classi popolari, anche se mal guidate o fatte servire a scopi nefandi, sono state per la monarchia borbonica e per il re».

Alla stessa stregua dell’attaccamento al Trono, i napoletani erano anche indissolubilmente legati all’Altare, in quanto il sentimento religioso cattolico era da secoli profondamente radicato nella coscienza popolare.

L’ideologia giacobino-massonica, invece, si presentava come sovvertitrice di tali valori, ragione per la quale essa suscitò la violenta rivolta di quel popolo fortemente attaccato alla monarchia, alle tradizioni locali, alla cultura atavica, alla religione della Chiesa cattolica apostolica romana; sentimenti questi che gli atei sedicenti “rivoluzionari” del 1799 tentarono, antidemocraticamente ed intollerantemente, di soffocare nel sangue.

Ubaldo Sterlicchio

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Fonti consultate:

(1) Gustavo Rinaldi, “Il Regno delle Due Sicilie, tutta la verità”, Controcorrente, Napoli, 2001.

(2) Harold Acton, “I Borboni di Napoli”, Giunti, Firenze, 1997.

(3) www.realcasadiborbone.it, Storia e documenti, “Il Cardinale Ruffo e le insorgenze filoborboniche”.

(4) Autori vari, “La Storia proibita”, Controcorrente, Napoli, 2008.

(5) Lino Patruno, “Fuoco del Sud”, Rubettino, Soveria Mannelli, 2011.

La veridica storia di John Law, il banchiere di Filippo d’Orléans


di Domenico De Simone

La storia della moneta cartacea comincia con l’avventura di John Law, uno scozzese contemporaneo di William Paterson il fondatore della Banca d’Inghilterra. John Law sbarcò in Francia nel 1716, accompagnato dalla fama di essere un uomo baciato dalla fortuna. Era un abilissimo giocatore di carte, ed era inseguito da una accusa di omicidio per aver avuto troppa fortuna in un duello. Forse in entrambe le attività barava, ma era così abile che nessuno poté provarlo. Conobbe Filippo d’Orléans, allora reggente di Luigi XV, intorno ad un tavolo da gioco e questi fu colpito dal genio finanziario dello scozzese. Questa è la storia del sodalizio che ne nacque.

La Corte francese spendeva troppo. Le entrate tributarie, nonostante le aliquote elevatissime, rendevano si e no la metà delle spese della corte di Francia e le casse erano perennemente affamate di denaro. L’idea di John Law era semplice: emettere denaro sulle proprietà terriere nazionali. Aveva cercato di venderla a scozzesi, olandesi e italiani, ma nessuno l’aveva preso sul serio. Filippo, invece, aveva un gran bisogno di denaro e lo stette a sentire. Un regio editto del 2 maggio 1716 lo autorizzò a creare una banca con un capitale di sei milioni di livres e ad emettere banconote che servirono principalmente per prestare denaro all’affamata corte del Re di Francia. Questa prima emissione era interamente coperta dall’oro depositato presso la banca e i biglietti erano convertibili al prezzo dell’oro alla data dell’emissione dei biglietti. Come era facile immaginare, i biglietti andarono a ruba: la corte francese praticava regolarmente l’antica e imperiale abitudine di ridurre la quantità di metallo prezioso nelle monete mantenendo invariato il nominale. Quanto meno la banca di Law garantiva una certa stabilità nel cambio.

La banca di Law, forte del prestigio così ottenuto, continuò a emettere biglietti per finanziare attività economiche, senza tuttavia curarsi più di tanto della copertura. Ma sull’onda della fiducia popolare, la gente continuava ad accorrere agli sportelli della banca che nel frattempo, in pochi mesi, aveva aperto filiali in tutta la Francia.

Anche se la copertura non era integrale, se Law si fosse fermato qui sarebbe stato ricordato per il suo contributo alla storia delle banche moderne. Però la corte premeva con le sue necessità e l’ambizione di Law era di certo maggiore di questo modesto risultato. E allora rispolverò la sua vecchia idea di mettere in circolazione la terra facendone la base per successive emissioni di cartamoneta. Costituì la Compagnia del Mississipi, con lo scopo di sfruttare i ricchissimi gacimenti d’oro che si fossero nascosti nel territorio della Louisiana.

All’inizio del 1719 la Compagnia del Mississipi, che divenne poi la Compagnia delle Indie, ottenne l’esclusiva del commercio con l’India, con la Cina e i mari del sud, oltre al diritto di coniare moneta e l’appalto delle tasse. Insomma, John Law era divenuto potentissimo e poteva fare ciò che voleva. Nel frattempo la Banque Royale continuava a far crescere i suoi prestiti: Nella primavera del 1719 aveva fuori 100 milioni di livres, divenuti 300 milioni nell’estate e 800 milioni nell’autunno. Le prime aste dei certificati della Compagnia del Mississipi furono un gran successo: tutti li volevano e i prezzi di scambio crescevano a vista d’occhio. Qualcuno acquistando le prime emissioni a poche migliaia di livres divenne milionario vendendole nell’autunno del 1789. Naturalmente i soldi ricavati non andarono affatto allo sfruttamento delle paludi del Mississipi, ma finirono nelle fauci dell’insaziabile corte di Filippo, grazie ad un vantaggioso accordo per cui alla Compagnia restavano solo i soldi per gli interessi sul prestito per le proprie attività minerarie. Insomma si era creata una bolla speculativa vera e propria. John Law prestava le banconote alla Corte che le usava per i prpri pagamenti a gente che comprava altre azioni della compagnia sulle quali Law emetteva altre banconote che prestava alla corte e così via.

Il 5 gennaio del 1720 John Law era all’apice della sua potenza e venne insignito del titolo, alquanto originale, di Duca di Arkansas e più prosaicamente dell’incarico di Controllore Generale di Francia. Era l’inizio della fine. Il Principe di Conti, a quanto pare offeso dal fatto di non aver potuto acquistare dei certificati al prezzo da lui indicato, pretese la restituzione dell’oro versato in cambio di un carro di banconote. La Banca pagò ma, come sempre accade per le cattive notizie, la notizia si diffuse in tutta la Francia ed altri depositari si presentarono agli sportelli per esigere la conversione delle banconote in oro. Si trattava di fermare l’emorragia, e Law ebbe un’idea geniale: fece ingaggiare nel bassifondi di Parigi un migliaio di mendicanti che, muniti di pale, picconi e insegne della Compagnia, furono fatti sfilare per le strade di Parigi, come se fossero minatori ingaggiati per andare a prendere l’oro della Louisiana. La pantomima durò finché i minatori non giunsero a Marsiglia, dove avrebbero dovuto imbarcarsi per l’America. Lì si sciolsero e a piccoli gruppi, dopo aver venduto pale e picconi, tornarono alla solita vita di Parigi.

La ressa alla Banque Royale in una stampa dell'epocaNon appena si sparse la notizia che i minatori non erano partiti, fu il panico. Nonostante Law avesse fatto emettere un decreto che vietava i privati il possesso di oro e persino di gioielli, la calca alla Banca Royale cresceva, fino al punto che, in un giorno di Luglio ci furono quindici morti schiacciate nella ressa. La gente non voleva i titoli e le banconote, ma l’oro.

John Law fu costretto a fuggire e si rifugiò a Venezia, dove visse ancora qualche anno in dignitosa povertà. In Francia, qualcuno si arricchì molto, ma la maggior parte ritornò in uno stato di povertà peggiore di prima. E per la monarchia francese fu l’inizio della fine.

http://nuovaeconomia.blogosfere.it/2009/07/la-veridica-storia-di-john-law-il-banchiere-di-filippo-dorleans.html

Aumentano i super ricchi, ma la crisi la pagano i poveri. I mass media e l’élite al potere

di Massimo Ragnedda – 15/06/2011

“Bisogna tagliare la spesa pubblica perché c’è la crisi”. Quante volte abbiamo sentito ripetere dai governi e dai principali media nazionali e internazionali questa frase. L’hanno ripetuta talmente tante volte che ora una parte dell’opinione pubblica sembra averla accettata come una necessità, come un fatto del destino, come il freddo in inverno e il caldo in estate. Qui si annidano due tecniche della propaganda (tutte le società hanno un proprio sistema di propaganda): ridondanza del messaggio e mancanza di alternative.
Insomma, dobbiamo tagliare perché non ci sono alternative, e questo viene ripetuto sino alla nausea, in modi e accenti diversi, da chi ha la forza di ripeterlo, ovvero da chi ha accesso al circuito mediatico. Ritornerò su questo punto, perché è cruciale. Ora proviamo a capire meglio la frase iniziale.

Innanzitutto chiediamoci cosa dobbiamo intendere per “spesa pubblica”. Spesa pubblica significa innanzitutto scuola pubblica, università pubblica, significa strade, centri culturali, asilo, ospedali, cure mediche. Significa, in ultima analisi, redistribuzione del reddito e diminuzione della sperequazione economica; significa offrire un servizio a chi non potrebbe permetterselo; significa garantire una vita dignitosa a tutti. Il Welfare State è stata una delle più grandi conquiste sociali di sempre.

Allora perché tagliare queste spese? Perché c’è la crisi, ripetono. Ragioniamoci su. Il Wall Street Journal, in questi giorni, ci ha informato che lo 0,1 per cento della popolazione mondiale (ovvero le persone più ricche al mondo) possiede il 22% della ricchezza del pianeta e che il numero dei super ricchi è in aumento.

Infatti, sempre secondo il Wall Street Journal, lo scorso anno, durante una delle fasi più acute della crisi, il numero di persone ricchissime è aumentato del 12,2%. Un altro dato: cinque grosse banche statunitensi – Bank of America, JP Morgan, Citibank, Goldman Sachs ed Hsbc –alla fine del 2010 (mentre il mondo arrancava e i governi di mezzo mondo finanziavano le banche per non farle fallire) hanno messo in cassa profitti per più di 19 miliardi.

Un ultimo dato prima di fare le mie riflessioni: secondo il rapporto stilato annualmente della rivista di business, Forbes, ci sono al mondo 1.210 persone con un patrimonio netto che supera 1 miliardo di dollari. Il patrimonio netto totale di questo gruppetto di persone (poco più di 1000) è di 4000 miliardi di dollari, ovvero superiore al patrimonio combinato di 4 miliardi di persone nel mondo. Voglio che questo dato sia chiaro: poco più di 1200 individui hanno un patrimonio netto superiore a quello di 4 miliardi di persone messe assieme.

Al di là di tutte le analisi economiche che possono essere fatte, questo dato non può essere in nessun modo sottovalutato e dovrebbe, questo sì, essere ripetuto dai media, giorno dopo giorno, per spingere i governi ad intervenire per mitigare questa forte sperequazione economica e per far pagare ai “super ricchi” la crisi e non tagliare le “spese pubbliche” che, al contrario, aumentano il divario economico e sociale.

Perché allora buona parte dei grossi media ripete che la crisi deve essere pagata dai ceti più poveri, dagli operai, dai lavoratori, dalle casalinghe e dai pensionati con il taglio dei servizi a loro offerti? Mi viene in mente quanto sostenuto qualche lustro fa da Alex Carey “il Novecento è stato caratterizzato da tre sviluppi di grande importanza politica: la crescita della democrazia, la crescita del potere economico e la crescita della propaganda per proteggere il potere economico dalla democrazia» (1997: 19). Arriviamo così alla propaganda usata dal potere economico (più o meno quelle 1210 persone) dalla democrazia.

La propaganda è, infatti, presente, in maniera diversa, in tutte le forme di società, anche in quelle democratiche ed è un’operazione piuttosto complessa che unisce diverse tecniche e promuove una determinata idea o dottrina con l’obiettivo di far sorgere intorno ad essa il più vasto consenso possibile.

Il tutto a vantaggio del gruppo (l’èlite economica al potere) che promuove la propaganda e che può, così, rendere più naturale e accettabile la situazione di assoluto privilegio nella quale si trova.

Il mezzo principale usato, oggi, per propagandare una determinata visione della società o idea, è il mondo mediatico. Più i mass media saranno avvertiti come “liberi”, più facile sarà far presa ed influenzare l’opinione pubblica, spingendola così ad accettare come un dato di fatto la privilegiata posizione che l’èlite economica al potere ha nella società.

Quelle 1210 persone che assieme detengono più patrimonio di 4 miliardi di persone, che si arricchiscono ogni anno di più e che non pagano la crisi (dopo averla in parte creata), sono le stesse che detengono i grossi media, all’interno dei quali circolano le idee e le notizie. Nel 2004 Bad Bagdikian scriveva: “Alla fine della seconda Guerra mondiale negli Stati Uniti l’80% dei quotidiani erano indipendenti. Ora [2004] 5 grandi corporation – Time Warner (CNN, AOL), Disney (ABC), Rupert Murdoch’s News Corporation (FOX), Bertelsmann, Viacom — controllano la maggior parte delle televisioni, delle radio, dei giornali, delle riviste, delle case editrice, dei libri, delle case discografiche, dei film eccetera” (The Media monopoly, 2004 edition).

Oggi, la concentrazione mediatica è ancora più forte e sempre in meno mani. Spesso chi siede nei consigli di amministrazione delle 25 società più ricche al mondo siede anche nei consigli di amministrazione dei grandi conglomerati mediatici influenzandone la linea editoriale e promuovendo alcune idee a discapito di altre. Sono i grossi media che regolano il flusso delle informazioni e delle idee. E le idee che circolano, vien da sé, sono quelle che legittimano la loro egemonia.

In altri termini, il cosiddetto libero mercato delle idee è gestito da questa èlite economica al potere che usa i media – che detengono – come cassa di risonanza delle loro posizioni soffocando, direttamente o indirettamente, le idee alternative e che per la loro semplicità potrebbero essere rivoluzionarie. Come ad esempio: perché la crisi non la pagano loro?

Da: merimar@interfree.it
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Sent: Thursday, June 16, 2011 12:54 PM

LETTERA A MARZIA


(Cinquant’anni e venti mesi) Scritta e pubblicata da Alberto Giovannini nel 1959
Marzia carissima, domenica l’altra, al termine della puntata televisiva sui “Cinquant’anni di vita italiana”, in cui si descrivevano in termini raccapriccianti le vicende della Repubblica Sociale Italiana, tu hai chiesto, un po’ incredula e un po’ preoccupata: “-Ma papà era con quelli? ….”.
Sì Marzia, il tuo papà era con “quelli”, con i cattivi e perchè, nella tua mente bambina, non rimangano dubbi ti dice, ora, di essere orgoglioso di esserci stato, e ti assicura che, se dovesse tornare indietro nella vita, e trovarsi, con l’esperienza d’oggi, nelle identiche situazioni di allora, ci tornerebbe.
I tuoi tredici anni scarsi ti permettono di afferrare e assorbire il succo velenoso di certe storie, ma ti impediscono di poter capire la storia. Tuttavia voglio dirti, non tanto per oggi, ma per il tempo abbastanza prossimo in cui alla storia, per forza di studi, dovrai avvicinarti, che ciò che la Televisione ha trasmesso (forse col recondito desiderio di far disprezzare centinaia di padri e di madri dai figli ignari) delle tragiche vicende Italiane tra il 1943 e il 1945, altro non è che il concentrato della vigliaccheria conformistica che impera nella nostra Patria.
Tu non sai, cara Marzia, che molti tra quanti vorrebbero condannare tuo padre, in quanto colpevole di un delitto che gli Italiani difficilmente perdonano, quello della coerenza, vi sono coloro che gli furono Maestri e, quindi, coi loro scritti lo spinsero sulla strada che doveva condurlo nella Repubblica Sociale Italiana: e vi sono a migliaia, a centinaia di migliaia, a milioni i suoi compagni di un tempo, quelli cioè che dopo aver militato con lui, nel fascismo e “sotto” Mussolini, si squagliarono, stridendo alla maniera dei topi, non appena la barca incominciò a fare acqua.
In sostanza le storie che la Televisione ha, dapprima ipocritamente e poi maramaldescamente, raccontate alla tua fantasia di bambina sensibile, avevano due scopi ben precisi: il primo di giustificare la dittatura del “ventennio”, il secondo di scaricarne tutte le responsabilità, morali prima ancora che politiche, sui vinti della Repubblica Sociale Italiana. Perchè vedi, Marzia, se in Italia non ci fosse stata la Repubblica, e la storia si fosse fermata al 25 luglio 1943, i “responsabili” sarebbero parecchi. Nessuno o quasi si salverebbe. Oggi tu sai che Presidente dei Consiglio è l’Onorevole Segni, e se ascolterai la radio saprai ch’egli è un patriota e un antifascista, un sincero democratico. Appunto perchè, per sua fortuna, c’è stato l’8 settembre 1943, che ha permesso a Segni di far dimenticare il giuramento di fedeltà al regime fascista e, probabilmente, il distintivo fascista portato all’occhiello, come professore Universitario. Ti dico Segni, perchè è il nome del giorno, ma quando ascolterai altri nomi, e leggerai di altre benemerenze, di Fanfani o di Ingrao, di Taviani o di Lajolo, di Pella o di Achille Corona, di Tambroni o di Martino, di tutti o quasi gli uomini politici Italiani dispersi nei molti partiti, ricorda che la situazione è sempre la stessa.
Per questo le storie che ti hanno raccontate “visivamente” alla Televisione, nella prima parte erano rivolte a giustificare il fascismo, e in certo qual modo, a farlo perdonare agli italiani e agli stranieri. Le proteste dei comunisti e degli antifascisti professionali, durante le prime puntate del racconto, erano in parte giustificate, ma fiacche, forse anche perchè i protestanti avevano ottenuto assicurazioni sul galoppo finale del programma. E d’altro canto, ad esempio, l’onorevole Arrigo Boldrini, presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani, come avrebbe potuto protestare contro il filofascismo della TV fino al 25 luglio, se fino a quell’epoca egli era Centurione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale?
Vedi, Marzia, quel che avvenne in Italia dopo l’8 Settembre ha rappresentato la più dolorosa tragedia della tua Patria, ma è servito anche a dare un falso passaporto di democrazia alla maggior parte dei vigliacconi che oggi comandano.
Quante cose, potrei raccontarti, figlia mia, di quei tempi tragici. Basterebbe ti facessi storia, e potrei fartela, di molti che oggi vanno per la maggiore con l’aureola degli eroi, per farti ridere o per farti comprendere perchè, in definitiva, tuo padre, ch’è un uomo e non un topo, è stato con “quelli” e non con “questi”.
Ti hanno fatto vedere tante cose tristi, tanti morti, tante distruzioni, ti hanno rattristata e forse, ti hanno fatto inorridire. Ma non è tutto. Sappi, bambina, che molti di quei lutti sono venuti “dopo”, sono cioè scaturiti da una reazione; ma sappi, soprattutto, che la guerra civile scaturì dall’imbecillità e dalla pavidità di una classe dirigente che dopo aver servito (servito è il termine esatto) il fascismo, e dopo essere stata complice dell’entrata in guerra, ha subito la pressione dell’antifascismo “resuscitato” dopo il 25 luglio per realizzare, nel più disastroso dei modi, il più criminoso rovesciamento di fronte che la storia ricordi.
Hai visto sui teleschermi, la strage di trecentotrenta italiani alle Fosse Ardeatine?
Ebbene, ricorda, bambina, che essa fu dovuta a rappresaglia perchè in Roma, dichiarata “città aperta”, ventisei soldati tedeschi disarmati furono uccisi dallo scoppio d’una bomba posta a tradimento dai comunisti. E che gli autori dell’attentato, invitati a costituirsi per evitare la rappresaglia sui detenuti, si dettero alla macchia per poter essere in grado, poi, di entrare al Parlamento italiano come deputati del Pci e come eroi della “resistenza”.
E’ una favola truce e turpe, quella che ti hanno presentata, figlia mia; ma incompleta. Lascia, perciò, che te la racconti anch’io, che te la completi.
C’era una volta un amico del tuo papà, aveva ventotto anni, era onesto, sincero, povero e disinteressato. Intendeva -andare verso “il popolo” perchè al popolo voleva bene: si chiamava Eugenio Facchini, e ai primi di ottobre dei 1943, quando Bologna era ancora tranquilla, fu nominato Segretario federale della città. Tre mesi dopo fu massacrato a colpi di rivoltella (nella schiena) mentre stava andando a colazione alla mensa dello studente. Fu il primo morto della guerra civile a Bologna, e dalla sua ingiusta morte, che non dava gloria o vantaggio a nessuno, vennero le prime sanguinose reazioni.
C’era una volta un vecchio professore universitario che mai si era occupato di politica, che dal fascismo non aveva ottenuto nè onori, nè cariche, nè guadagni, era un antico nazionalista che aveva sentito la necessità di “aderire” alla Rsi e, quindi, di reagire alla resa incondizionata di Cassibile e al rovesciamento di fronte che avevano disonorato la sua Patria. Era un uomo onesto, buono, che non aveva mai fatto dei male a nessuno e fatto dei bene a tutti, era uno studioso di fama mondiale. Si chiamava Pericle Ducati, e fu massacrato a revolverate mentre, con un libro sotto il braccio, tornava a casa.
C’era una volta, la favola è lunga, Marzia!, il più grande filosofo contemporaneo, come un giomo saprai; lo spirito forse più alto che abbia avuto l’Italia in questo secolo, e fu ucciso, mentre rientrava in famiglia, per la somma di tremila lire. Si chiamava, pensa, Giovanni Gentile.
C’era una volta un Poeta, cieco di guerra, cieco a ventisei anni, che quando tutto crollava aveva ritenuto suo dovere servire i Mutilati, cioè coloro i quali avevano offerto, come lui, i doni più preziosi dell’esistenza alla Patria. Fu ucciso come un cane, a revolverate, in mezzo alla strada, senza una ragione e senza pietà. Si chiamava Carlo Borsani.
Tra i tanti nomi che hai ascoltato alla Televisione, questi non li conosci; tra i tanti funerali che hai veduto questi sono mancati; tra i molti orrori questi non sono stati menzionati. Tu hai veduto tante bandiere tricolori che sventolavano, gioiose alla fine della guerra civile, ma non ti hanno fatto vedere, per tua fortuna, il carnaio approntato in una piazza di Milano, dove Colui che tutti avevano servito e riverito, e che non aveva voluto fuggire perchè, se lo avesse voluto, come i maramaldi della Televisione affermano, avrebbe sempre avuto un aereo sul quale imbarcarsi era appeso per i piedi, a ludibrio di una plebe imbestialita e a eterna vergogna dell’italia moderna. Non ti hanno fatto vedere, nè ti hanno detto, Marzia, che mentre quelle bandiere sventolavano e quelle “formazioni” venivano passate in rassegna dai “vittoriosi”, migliaia e migliaia di uomini, donne, giovanotti, fanciulli venivano massacrati; che in una caserma di Vercelli settanta giovani disarmati venivano schiacciati vivi e ridotti poltiglia, per ordine e sotto gli occhi di un eroe della resistenza, il ragioniere Carlo Moranino, divenuto più tardi deputato al Parlamento Italiano per questa meritoria impresa.
Questo, figlia mia, è il completamento della favola che gli amanuensi della Televisione italiana hanno approntato, per falsare la storia, per meritare gli elogi delle classi dirigenti e per far sì che i figli, intimamente, disprezzassero i padri. Ho dovuto raccontartelo fino in fondo, e dirti che cosa fosse lo “spirito della resistenza” perchè quella tua frase: -Ma papà era con quelli? … mi ha dolorosamente colpito. Vedi bambina, io, in tanti anni e in tante vicende, non ho mai odiato nessuno; ma quando ho appreso di quella tua domanda ho sentito, per la prima volta, Dio mi perdoni, lo stimolo dell’odio.
D’ora in avanti, Marzia, ti farò io la storia: e ti dirò chi veramente era Mussolini, cosa fu il fascismo e cosa fummo noi, vinti, protagonisti dell’ultima e disperata avventura. Non credevo, dopo tanti anni, quando tutto doveva essere superato e dimenticato, di dover tornare a questo. Ma tu devi sapere, voglio che tu sappia; voglio che quando sarai grande possa insegnare ai tuoi figli le cose che ti dirà tuo padre, perchè “questi” l’hanno voluto, me l’hanno imposto.
Voglio dunque che tu possa essere orgogliosa di me, anche e principalmente se ero con “quelli”. Sì, ero con “quelli”: ero con Mussolini, con Giovanni Gentile, con Pericle Ducati, con Goffredo Coppola, con Francesco Ercole, con Giotto Dainelli, con Marinetti. E un giorno saprai, bambina, chi erano costoro, e vedrai che erano qualcosa di più e qualcosa di meglio dei Pani, dei Cadorna, dei Moranino; potrai renderti conto che anche tuo padre era un Italiano e per di più un Italiano coerente, che ha saputo subire fino in fondo la tragedia (che è storia) della sua Patria, anche se questa colpa gli vieta oggi di poter “rettificare” le storie della Rai-Tv, compilate e realizzate dal suoi antichi camerati, trasformatisi in maramaldi.
Tuo padre

CAVOUR FU ASSASSINATO ?


“Molti, all’intitolazione del nostro racconto, allargheranno gli occhi prorompendo in un: possibile!? Lettori, sí! Con Napoleone III in trono, il servile governo di Vittorio Emanuele II avrebbe fatto appiccare il gerente e i proti per offesa alle sovranità amiche e protettrici; ma adesso che Napoleone III è diventato un ricordo – adesso ch’egli è un privato e svergognato cittadinuzzo – adesso che la monarchia d’Italia ha riconosciuto la repubblica di Francia; – adesso siamo in diritto d’evocare dalla tomba di Santena l’ombra del gran ministro… Adesso noi solleviamo un lembo di quel lenzuolo funerario che copre le ceneri di tanti illustri spediti all’altro mondo da una testa coronata! Il lettore crederà un sogno il sentir parlare di avvelenamenti in pieno secolo XIX. No! i veleni non sono un esclusivo privilegio di casa Borgia, per torsi da piedi chi dà ombra! Cavour fu avvelenato; lo ripetiamo”.


Inizia con queste parole il libretto “Cavour avvelenato da Napoleone III” dal sottotitolo, si noti bene, “Documenti storici di un ingrato”, pubblicato anonimo presso l’editore Domenico Cena di Torino nell’anno di grazia 1871. Il volumetto da noi reperito risulta essere la quarta edizione di una precedente stampa del 1870 effettuata presso la tipografia Bandiera dello Studente di Torino.

A prima vista il contenuto del libretto parrebbe inverosimile. La tesi dell’avvelenamento, suffragata da tre documenti “storici”, contrasta con tutta la tradizione storiografica italiota. Mai è stata infatti divulgata la tesi del Cavour ucciso, o meglio fatto avvelenare, da Napoleone III tramite “una giovane donna, d’un viso piacevole” moglie di un commissario di polizia (forse di Parigi), la quale, in cambio di un sostanzioso premio (500.000 lire), si sarebbe prestata allo “scellerato progetto“.

Costei si porta a Torino, riesce a diventare intrinseca dell’amante del Cavour, una certa Bianca Ronzani, bellissima valchiria prussiana separata dal marito, impresario teatrale fallito, del quale aveva assunto il cognome. Informatasi con molta cautela delle abitudini del Cavour, l’agente segreto in gonnella riesce – secondo l’Ingrato – a dare pratica attuazione al piano diabolico. In un momento di distrazione della Ronzani, intride di veleno la “tazza di porcellana bianca filettata in oro” da cui il ministro piemontese sorbiva il suo caffè. “Cavour bevve, bevve… e non s’accorse che egli, col caffè, succhiava la morte” che lo rapí cinque giorni dopo.

I DOCUMENTI STORICI

L’anonimo “Ingrato” riporta anche tre dispacci (“i documenti storici” decodificati e tradotti) che l’avvelenatrice avrebbe trasmesso per il suo padrone Napoleone III. Eccoli: 1) “Acquisto terreno – Non dispero piú – notificherete a lui una nuova strada apertami – E’ fedelissima al conte Cavour la servitú che lo circonda – Tentarla sarebbe stato un compromettere il piano. Il ministro italiano è ritiratissimo e viene, può dirsi ingolfato giorno e notte nei molteplici ed infiniti suoi affari – la sera dopo il pranzo, lavora – dopo va in via Nuova (alcune volte in vettura ed altre volte a piedi) da certa signora Bianca, prussiana, della quale, se non è innamorato, è certamente affezionatissimo – » col mezzo di lei che riuscirò nello scopo – Ho preso in affitto un alloggio sullo stesso piano di lei – Procuro di trovarmela di fronte quando ella discende le scale – Prima con impercettibile segno del capo, dopo piú spiccatamente cominciai a salutarla. – Ella mi corrisponde il saluto. Presto vi darò altri ragguagli. M.S.”. Per essere il messaggio di un agente segreto, questo rapporto ci sembra poco ortodosso.

Diventata amica della Ronzani, la francese invia un secondo rapporto: 2) “Le cose sono a buon punto – Quasi giornalmente sono nella casa di lei – Si mostra molto affezionata a me – Il ministro italiano continua a recarsi da lei tutte le sere – Vi resta per parecchie ore – Egli è all’oscuro della mia relazione colla signora Bianca – Mi sono informata delle abitudini del conte – Seppi ch’egli prima di lasciare quella casa beve una tazza di caffè – Pare che il caso favorisca i miei disegni – Il conte ha un’apposita tazza di capacità maggiore a quelle comuni – A cosa fatta vi comunicherò il resto. Torino, 22 maggio 1861”.

Ed infine il terzo messaggio a cose fatte: 3): “Tra due ore avrò lasciata Torino. Il mio compito è finito. Tutto andò felicemente. Per la città si conosce l’indisposizione del conte Cavour. Nessuno dubita. La prudenza non mi abbandonò un solo istante. Fra quattro o cinque giorni sarà affar finito. Raggiungo il suolo francese lieta e soddisfatta d’avere obbedito l’imperatore, reso un servizio alla mia patria. Lo saranno del pari gli altri…? Torino, 2 giugno, 1861. N.N”.

LA STORIOGRAFIA UFFICIALE

Lo storico che maggiormente ha sudato sulle carte del Cavour, Rosario Romeo, che ha indagato nei minuti particolari con tre ponderosi volumi la vita e l’attività politica di quel giacobino che “consigliava” i suoi luogotenenti di trattare con la frusta (cioè: fucilazioni e impiccagioni) i Duosiciliani, parla invece di malaria: “Non di rado, nel corso dell’ultimo quindicennio, Cavour era stato colpito da brevi indisposizioni: episodi che si rinnovavano varie volte nell’anno, duravano alcuni giorni, e trattati con salassi, venivano superati senza speciali difficoltà…La malattia iniziata la sera del 29 maggio (1861, ndr) parve dunque una delle solite indisposizioni… il male la mattina del 31 pareva già vinto… verso mezzogiorno la malattia tornò ad affacciarsi con maggiore violenza, in un quadro clinico caratterizzato da accessi di febbre intermittente con delirio e in continuo peggioramento…Alla luce della scienza medica del XX secolo si è poi creduto di poter precisare che Cavour, già malarico cronico per un’infezione contratta nelle risaie di Leri dal parassita identificato nel 1880 da Leveran, fu vittima di una perniciosa comitata delirante con febbre di tipo terzanario, restando esclusi tanto l’eccesso di lavoro quanto l’emozione provocata dallo scontro di un mese e mezzo prima con Garibaldi, quanto la gotta di cui pure si parlò”.

Anche per altri studiosi di storia risorgimentalista il quadro clinico della malattia non mostra differenze. Al massimo qualcuno se ne discosta ipotizzando la sifilide che nell’Ottocento era endemica quasi come il raffreddore. La notizia che il Cavour potrebbe essere stato ucciso da Napoleone III è però del tutto originale e proprio per questo ha solleticato la nostra curiosità sí che abbiamo deciso di fare una indagine approfondita dell’argomento. E l’indagine non poteva essere che politica, andare cioè a rivedere i patti intercorsi tra il rivoluzionario ministro giacobino (pur se di nobili natali) e l’ambizioso “crimine coronato” Napoleone III, del quale il nizzardo Garibaldi con fine intuizione ebbe a dire, ma aveva le sue ragioni: “il padrone della Francia…è mosso da libidine, da rapina, da sete infame d’impero…” (discorso tenuto al Foro Italico di Palermo il 15 luglio 1862).

LA LIBIDINE DI NAPOLEONE III

Le gesta politiche di Napoleone III miravano a ripristinare il primo impero, quello di Napoleone I, riportare cioè sotto la Francia, oltre che la contea di Nizza e la Savoia, anche regioni che erano state inglobate nel territorio metropolitano francese cioè Liguria, Toscana e Stato Pontificio. Il Piemonte, che in epoca napoleonica aveva pure fatto parte della Francia, pare che nel 1860 non rientrasse nelle brame del terzo Napoleone, ciò nonostante il Cavour temeva che l’alleato potesse trasformarsi in padrone: “Non voglio assolutamente ch’egli regni in Piemonte come in Francia, poichè, dopo averlo qui chiamato, io debbo piú d’ogni altro essere geloso dei diritti del nostro Re e salvaguardarli da ogni usurpazione” (dal diario di Salmour all’epoca dell’alleanza franco-piemontese nel 1859).

UN DOCUMENTO SIGNIFICATIVO

La Toscana non figurava negli accordi di Plombières, non è detto però che verbalmente i due marpioni non si fossero accordati sul suo futuro destino. Intanto nel mese di luglio 1860, in piena invasione delle Due Sicilie, circolava copia di un trattato segreto per la cessione della Sardegna e della Liguria alla Francia:

“L’Imperatore dei Francesi ed il Re di Sardegna hanno conchiuso la seguente convenzione, che rimane segreta per le due alte parti contraenti.

1 L’Imperatore dei Francesi acconsente perché il Re di Sardegna continuando l’intrapresa opera di unificazione nazionale Italiana si annetta per qualunque mezzo che crederà conveniente di adoperare, diretto o indiretto, quella parte della Penisola che è conosciuta sotto il nome di Reame delle Due Sicilie.

A tale oggetto l’Imperatore dei Francesi s’impegna di impiegare tutta la sua influenza diplomatica ed al bisogno se son anche necessarie l’uso delle armi perché sia piú che mai strettamente rispettato il principio di non intervento straniero nelle cose Italiane; perciò resta confermata la contratta alleanza offensiva e difensiva fra le due corone.

2 Il Re di Sardegna rispetterà assolutamente gli attuali Stati Pontifici e si asterrà da qualunque azione diretta o indiretta, non piú d’Annessione, ma ben anche di semplice agitazione, non potendo l’Imperatore dei francesi ammettere in essi e neppure tollerare alcuna finzione. Però nel caso che vi scoppiasse una insurrezione vera spontanea, per opera degli abitanti delle Provincie papali; cioè senza intervento diretto o indiretto di parte delle altre province Italiane; in questo caso e soltanto in questo caso l’Imperatore dei Francesi acconsentirà ancora all’annessione delle Marche e dell’Umbria come tratto di unione con le province meridionali Italiane, agli Stati attuali del Re Vittorio Emanuele; ma in questo caso ancora il Gabinetto di Torino si accorderà con quello delle Tuileries per ristabilire, occorrendo anche colle armi l’ordine nelle province sconvolte; obbligandosi espressamente e formalmente le due corone di riconoscere, conservare e garantire il potere temporale del Papa in Roma e nel patrimonio di San Pietro.

3 In cambio e ricompensa degli anzi detti assentimenti, deferenza, cooperazione ed in caso eventuale anche di appoggio armato concessi dall’Imperatore dei Francesi al Re di Sardegna, questo dopo aver effettuato l’annessione delle Due Sicilie, delle Marche, dell’Umbria, o solamente dopo l’annessione delle Due Sicilie, cederà alla Francia le Isole di Sardegna e d’Elba, non che tutte le Ligurie compreso Genova e la Spezia, portando cosí le frontiere dell’Impero Francese fino a tutte le Alpi Marittime. Questa cessione sarà pura e semplice, senza obbligo di consultare il suffragio della popolazione.

4 Se piú tardi il Re di Sardegna vorrà riscattare la Venezia impegnandosi in una guerra contro l’Austria ed altre potenze, l’imperatore dei Francesi non opporrà a questa nuova acquista e annessione, ma se sarà necessario ricorrere alle armi per tale oggetto il Re di Sardegna intraprenderà la guerra a suo rischio e pericolo, senza poter mai pretendere che la Francia la segua ed appoggi anche in tale intrapresa ecc. ecc.”

SMENTITE

Questo documento, sintesi di altro documento a quanto pare ai posteri non pervenuto, viene dal Cavour negato essere farina del suo sacco (lettera n. 991 del 22 luglio 1860 Cavour a Nigra del Carteggio Cavour – Nigra, vol. 4&Mac176;): “Je vous envoie copie d’un prètendu traitè secret qui porterait la cession de GÍnes et de la Sardaigne à la France. C’est Villamarina qui me l’envoie de Naples. Le mÍme bruit s’est rèpandu à Palerme, à GÍnes, à Sassari, en Angleterre. Je m’èvertue en vain à le dèmentir. C’est un mauvais tour des Mazziniens, peut-Ítre aussi des Napolitains: certainement des ennemis de l’Empereur” (Vi invio copia di un preteso trattato segreto che comporterebbe la cessione di Genova e della Sardegna alla Francia. » Villamarina che me lo invia da Napoli. La stessa voce s’è sparsa a Palermo, a Genova, a Sassari, in Inghilterra. Io mi sforzo invano di smentirla. E’ un brutto tiro dei mazziniani, forse anche dei Napolitani: certamente dei nemici dell’Imperatore). E aggiunge: “Sono queste le disposizioni principali e sostanziali della convenzione. Le parole possono essere diverse dacchè io non ho potuto avere una copia precisa, ma tale e non altro è il contenuto”.

Il giacobino Cavour mente anche al suo segretario d’ambasciata a Parigi dato che erano già tre mesi che il filibustiere Garibaldi infuriava su suo mandato nelle Due Sicilie e da oltre da un anno era suo chiodo fisso divorarle nel senso piú crudo del termine. Leggiamo infatti ancora dalle memorie di Salmour: “Debbo ricordare un fatto, per provare che fino dal 1859 Cavour pensava seriamente all’annessione del Reame di Napoli. Nell’ottobre di quell’anno 1859, in seguito ad alcune lettere ricevute da Napoli, mi recai da Cavour per dirgli che se egli obbligava il Ministero a mandare a Napoli Sclopis o un altro ministro di polso e di opinioni non troppo spiccate, facilmente avrebbero indotto il Re di Napoli a dare una costituzione al suo popolo. “Ma come? – mi rispose – tu che sei di spirito cosí fine, hai potuto pensare un istante che noi vogliamo che il Re di Napoli dia una costituzione? Ciò che noi vogliamo e ciò che faremo è di prenderci i suoi Stati”.

In data 2 giugno 1860 aveva scritto al Nigra a Parigi: “Dans une dèpÍche officielle que j’envoie aujourd’hui à Paris et à Londres je proteste d’avance contre toute intervention armèe dans les affaires des deux Siciles. Si, comme vous me le mandez, la France et l’Angleterre ne s’opposeraient pas à l’annexion de la Sicile, je suis dècidè à marcher droit au but. Je sais parfaitement que (pour ce qui regarde les ressources matèrielles) l’annexion d’une ile èloignèe aurait plus de dèsavantages que d’avantages. Mais ce serait là un autre grand pas, un autre jalon pour l’unification dèfinitive de l’Italie. Veuillez sonder le terrain et me dire si je dois aller à toute vapeur ou enrayer la locomotive” (In un dispaccio ufficiale che oggi invio a Parigi e a Londra io protesto contro ogni intervento armato negli affari delle Due Sicilie [l’intervento degli altri no, ma il suo sí, ndr]. Se, come voi mi comunicate, la Francia e l’Inghilterra non s’opporrebbero all’annessione della Sicilia, io son deciso a marciare dritto alla meta. So perfettamente che (per quanto riguarda le risorse materiali) l’annessione di un’isola lontana avrebbe piú svantaggi che vantaggi. Ma questo sarebbe un altro grande passo, un altro picchetto per l’unificazione definitiva dell’Italia. Vogliate sondare il terreno e dirmi se devo andare a tutto vapore o arrestare la locomotiva) (lettera n. 878, 2 giugno, Carteggio Cavour – Nigra, vol. IV).

MEMORANDUM PER L’INDIPENDENZA

Perché l’invio di una protesta a Londra e Parigi? perché il giorno prima (1 giugno) il ministro degli esteri delle Due Sicilie, Carafa di Traetto, aveva invocato la intangibilità del territorio delle Due Sicilie: “Villamarina mande que Carafa a invoquè la garantie du territoire et l’intervention maritime des Puissances reprèsentèes à Naples. Nous lui avons ordonnè de protester d’avance contre toute intervention en se fondant sur le principe de non intervention en Italie adoptè par la France et l’Angleterre” (Villamarina comunica che Carafa ha invocato la garanzia del territorio e l’intervento marittimo delle Potenze rappresentate a Napoli. Noi gli abbiamo ordinato di protestare in anticipo contro ogni intervento basandosi sul principio di non intervento in Italia adottato dalla Francia e dall’Inghilterra) (lettera n. 874, stesso Carteggio).

Ecco infatti il memorandum con cui Carafa si rivolgeva alle Potenze europee: “In vista delle gravi circostanze nelle quali la rivoluzione ha immerso la Sicilia, S.M. ne appella a tutta l’Europa per provocare dalle varie Potenze che i loro rappresentanti siano autorizzati ad officialmente e solennemente dichiarare di voler garentire, con la Dinastia, l’integrità del Regno delle Due Sicilie ed a chiedere che con le loro forze marittime concorrano le stesse Potenze ad impedire qualunque invasione nei Reali Domini” (A.S.N., Aff. Est., Arch. Stor., busta n. 12).

I rappresentanti diplomatici di Francia, Inghilterra e Prussia nicchiarono, favorevoli furono il Nunzio pontificio e l’ambasciatore spagnuolo, ma l’ambasciatore piemontese, Villamarina, prospettò una guerra generale in Europa se il principio di non intervento fosse stato disatteso. Lo zar Alessandro, invece, all’ambasciatore delle Due Sicilie, Duca di Regina, accreditato nella lontana Pietroburgo, faceva sapere che non riconosceva quel principio: parole al vento, chè egli non poteva dare forza concreta allo sfogo, data la lontananza della Russia dallo scacchiere di crisi: “…Circa le pratiche fatte verso il Gabinetto di Turino (sic!), esse non sono meno energiche, ed il Principe di Gortchakow in una recente conversazione tenuta col Marchese Sauli (ambasciatore piemontese a Pietroburgo, ndr) l’incaricò di scrivere al Conte Cavour che l’Imperatore Alessandro provava tale e tanta indignazione per ciò che accadeva in Sicilia, per l’attitudine che serbava il Gabinetto Sardo, che se la posizione geografica della Russia fosse stata diversa, egli sarebbe intervenuto materialmente, malgrado e contro i principii di non intervenzione che le Potenze Occidentali tengono in forza contro il diritto e rilasciano in favore della rivoluzione” (dispaccio n. 135 dell’11 giugno 1860, Regina a Carafa, Carteggi di Cavour, La Liberazione del Mezzogiorno, vol. V, appendice IIB).

Le esatte parole di Gortchakow al Sauli furono: “Ove la giacitura geografica della Russia nol vietasse, lo Czar interverrebbe con le armi a difendere i Borboni di Napoli, senza curarsi del non intervento proclamato dalle Potenze occidentali” (A. Zazo, La politica estera del Regno delle Due Sicilie nel 1859-60, pag. 288), da cui traspaiono a chiare lettere i limiti e l’impotenza della Russia ad agire in scacchieri geopolitici lontani dal suo territorio.

FALLIMENTO DIPLOMATICO

I tentativi della diplomazia di Napoli per un intervento delle Potenze europee in favore delle Due Sicilie tuttavia fallirono. Cosí scriveva amaramente il ministro Carafa al rappresentante a Londra, Guglielmo Ludolf, mettendo in evidenza la doppiezza delle grandi Potenze: “Rilevo la conferma dell’inalterabile non intervento, mentre poi si interviene nel modo che ogni diritto ripugna” (A.S.N., Inghilterra, fasc. 661, 23 giugno 1860). In data successiva, il 25 giugno, allo stesso Nigra il ministro piemontese cosí scriveva: “Villamarina me mande que le Roi de Naples est disposè a suivre les conseils de l’Empereur. Nous le seconderons pour ce qui regarde le continent, puisque les macaronis ne sont pas encore cuits, mais quant aux oranges qui sont dèjà sur notre table, nous sommes bien dècidès à les manger” (Villamarina mi comunica che il Re di Napoli è disposto a seguire i consigli dell’Imperatore. Noi lo asseconderemo per quanto riguarda il continente, giacchè i maccheroni non sono ancora cotti, ma quanto ai portogalli [cioè la Sicilia, ndr] che sono già sulla nostra tavola noi siamo ben decisi a mangiarli) (lettera n. 924 stesso Carteggio).

I GENOVESI INSOFFERENTI

Intanto i genovesi vogliono passare sotto la Francia: “Je vous envoie un des nombreus billets qui circulent dans GÍnes. Il est adressè au Marquis A. Mari un des chefs des clèricaux, qui ètait liè avec Gramont, à qui il a louè plusieurs annèes de suite son palais de Savone. Montrez-le en riant à Thouvenel” (Vi invio uno dei numerosi biglietti che circolano in Genova. Esso è indirizzato al marchese A. Mari uno dei capi dei clericali, che era legato con Gramont, a cui egli ha locato per piú anni di seguito il suo palazzo di Savona. Mostratelo ridendo a Thouvenel) (ministro degli esteri francese successo al Walewski il 28 dicembre 1859, ndr).

Ecco il biglietto: “La Nobiltà Genovese deve molto desiderare passare sotto Governo Imp. Francese. Ora essa si trova molto avvilita (sic) e non curata dal Piemonte che l’odia. Il Governo Imp. rialzerà molto con onori, impieghi, cariche di Corte etc.. Corte Imperiale abiterà spesso a Genova che diverrà seconda Capitale Impero, con residenza del Maresciallo di Francia, Ammiragliato, Banca, Grandi Feste, grande Commercio, nuove strade e dotazioni stabilimenti e Monumenti Pubblici. Religione Cattolica rispettata, Arcivescovo Franzoni rimpatriato”.

Non sappiamo se in questa voglia dei liguri di diventare provincia di Francia rimestasse lo zampino dei servizi segreti napoleonici. Tuttavia nello stesso lasso di tempo, si noti bene, cominciarono a farsi sentire delle smentite da parte francese. Ne riporta qualche eco la Civiltà Cattolica (Serie IV, Vol. VI, anno 1860, pag. 752): ´Il Moniteur, che da un pezzo taceva di politica, ora parla a nome del Governo, e protesta contro chi attribuisce al Governo francese “disegni di eccitare o di lasciar nascere questioni in Europa per cercarvi occasione di nuovi ingrandimenti” oltre alla Savoia e Nizza, che ingrandirono la Francia in seguito ad articoli del Moniteur pieni di fiducia, di sicurezza e di proteste di non voler ingrandimenti. La stessa strategia usata dopo Plombières: negare per poi mettere l’Europa di fronte ai fatti compiuti”.

IL MASTINO INGLESE

Ma c’è di piú. C’era un accanito avversario di ulteriori ingrandimenti francesi: gli inglesi. Al riguardo Rosario Romeo riporta quanto segue: “Elemento dominante, al fondo della mutevole politica seguita dal governo britannico nei mesi decisivi della crisi, fu il timore di ulteriori ampliamenti territoriali della Francia, esploso dopo l’annessione della Savoia e Nizza. Il governo di Londra incaricò dunque Hudson di chiedere a Cavour un impegno formale a non fare alcuna ulteriore concessione territoriale alla Francia…La questione parve chiusa per allora; ma nel luglio la diffusione di un falso franco-piemontese, probabilmente fabbricato negli ambienti mazziniani, rimise in allarme i governanti inglesi, e di nuovo Palmerston sollecitò un impegno formale da parte del Piemonte…”.

C’è da osservare che qui il Romeo, nonostante il suo acuto ingegno, ripete acriticamente e pedissequamente le parole del ministro piemontese, laddove parla di falso e di ambienti mazziniani.

LA RABBIA DEL NIZZARDO

Ma c’è una frase del Cavour, dopo la cessione della contea di Nizza e della Savoia, che, ne riferiremo tra poco, merita piú che una semplice attenzione. Come si sa, la firma in calce all’atto di cessione territoriale (“adesso siamo complici”, aveva detto, fregandosi le mani, il Cavour al plenipotenziario francese Benedetti) fu posta col Trattato di Torino in data 24 marzo 1860, rendendosi il Cavour insieme al Savoia II tre volte traditore, traditore dello pseudo-parlamento piemontese per averlo tenuto all’oscuro delle sue trame con Napoleone III, della costituzione per averne violato l’articolo 5 e del popolo subalpino il cui corpo nazionale veniva lacerato indissolubilmente.

Nella tornata parlamentare del 12 di aprile, quando le cose erano diventate irreversibili e ormai di pubblico dominio, ebbero luogo le interpellanze del Garibaldi intorno a Nizza (gratta gratta il suo cuore era rimasto municipale, della Savoia non gliene importava un bel niente):
“Egli trattò la questione sotto l’aspetto costituzionale, e sotto il politico. Lo Statuto all’art. 5&Mac176; dice: “I trattati che importassero una variazione di territorio dello Stato non avranno effetto, se non dopo ottenuto l’assenso delle Camere”. Ora, soggiungeva il Garibaldi, “che una parte dello Stato voti per la separazione prima che la Camera abbia deciso se questa separazione debba aver luogo, prima che abbia deciso se si debba votare, e come si debba votare pel principio d’esecuzione della votazione medesima, è un atto incostituzionale della votazione medesima”. Passando poi alla questione politica il Garibaldi ricordò “che i Nizzardi, dopo la dedizione del 1388 a Casa Savoia, stabilirono nel 1391, 19 Novembre, che il Conte di Savoia non potesse alienare la città in favore di qualsiasi principe, e se lo facesse, gli abitanti avessero diritto di resistere mano armata, e di scegliersi un altro Sovrano a loro piacimento, senza rendersi colpevoli di ribellione”. “Dunque, – ripigliava il Garibaldi -, nell’anno 1388 Nizza si uní alla dinastia sabauda colla condizione di non essere alienata a veruna potenza straniera. Ora il Governo col trattato del 24 Marzo l’ha ceduta a Napoleone. Tale cessione è contraria al diritto delle genti. Si dirà che Nizza è stata cambiata con due province piú importanti; però ogni traffico di gente ripugna oggi al senso universale delle nazioni civili”.

Il Ministero giustificò il suo fatto col voto delle popolazioni; ma il Garibaldi domandò perché questo voto dovea aver luogo in Nizza dal 15 al 16 Aprile, mentre in Savoia si è stabilito pel 22. Si ha piú premura per Nizza! esclamò il Garibaldi accolto qui dai Bravo della galleria. E poi dichiarò che il voto popolare non avea nessuna importanza per “la pressione, sotto la quale si trova schiacciato il popolo di Nizza; la presenza di numerosi agenti di polizia, le lusinghe, le minacce senza risparmio esercitato su quelle povere popolazioni; la compressione che impiega il Governo per coadiuvare l’unione alla Francia; l’assenza da Nizza di moltissimi cittadini, obbligati di abbandonarla pei motivi suddetti; la precipitazione ed il modo con cui si chiede il voto di quella popolazione”. Conchiudeva domandando la sospensione del voto di Nizza. Il conte di Cavour rispose tosto al Garibaldi che la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia non era cosa isolata, ma era ´un fatto che rientra nella serie di quelli che si sono compiuti e che ci rimangono a compiere. (La Civiltà Cattolica, Serie IV, vol. VI, anno 1860, pagg. 350/351).

La rabbia del nizzardo era esplosa già tre giorni prima. Egli “ha ricorso alla Russia invocandone l’appoggio; ha proposto far dichiarare Nizza libera e collocata sotto la protezione degli Stati Uniti…” (Canòfari a Carafa, da Torino, 9 Aprile 1860, dispaccio n. 4536).

Dunque il Cavour mentiva spudoratamente sulle cessioni, anche se in quei giorni era fortemente combattuto dai rimorsi di coscienza, come risulta dalla relazione che l’ambasciatore duosiciliano a Torino, Canòfari, inviò a Napoli al ministro degli esteri Carafa: “Benedetti … è giunto. Voleva Cavour differire la conchiusione della cessione…voleva impossessarne primordialmente il Parlamento…Ma Benedetti irremovibile dicea che senza la cessione immediata e conforme al programma dell’Imperatore non si sarebbero riconosciute le annessioni della Toscana e Romagne ed il movimento di ritorno delle truppe sarebbe divenuto piú celere. Quindi il trattato è stato firmato” (A.S.N., Sardegna, fasc. 2031).

Tutte le Potenze si irritarono per quella cessione, in particolare l’Inghilterra, che vedeva in pericolo la sua politica di contenimento delle potenze continentali, come comunicava a Napoli da Londra il ministro Targioni: “L’annessione di Savoia e Nizza ha ridestata in Inghilterra violenta animosità contro Napoleone”. L’unico a non prendersela fu il ministro russo Gortchakow: “Du moment oú l’annexion de la Savoie à la France est le rèsultat d’une transaction diplomatique entre les Cabinets des Tuileries et de Turin, nous ne pouvons nullement nous en occuper” (Dal momento che l’annessione della Savoia alla Francia è il risultato di una transazione diplomatica tra i Gabinetti delle Tuileries e di Torino, noi non possiamo affatto occuparcene”) (A.S.N., Russia, fasc. 1700, Pietroburgo, 14-16 marzo 1860).

SOSPETTI INGLESI

Già nel mese di maggio, quando la Sicilia poteva dirsi ormai piemontese, il governo di Londra aveva il sospetto, anzi la certezza, che il Cavour si apprestasse ad effettuare la cessione di Genova alla Francia qualora la Sicilia fosse annessa al Piemonte: “Brunnow avec qui je causais se matin, m’a à travers ses phrases mielleuses fait entendre qu’on s’inquiètait ici de quelque combinaison mysterieuse entre vous et l’Empereur qui vous aurait laissè plus de libertè d’action en Italie. Il m’a mÍme citè à cet ègard un propos qu’on vous attribue et dont Lord Palmerston lui mÍme m’avait ègalement parlè, ajoutant que vous n’aviez mÍme pas paru l’entourer de mystère. On voit donc ici dans les arrangemens relatifs à Nice et à la Savoie une concession qui en aurait amenè une autre par rapport à Venise. Mais ce que les Ministres Anglais croient à peu près positif c’est que vous vous ètes engagè en vertu de nouvelles annexions à cèder GÍnes à la France” (Brunnow con cui ho discorso stamattina mi ha fatto intendere attraverso le sue frasi mielose che qui ci si inquieterebbe di qualunque combinazione misteriosa tra voi e l’Imperatore che vi avrebbe lasciato piú libertà d’azione in Italia. Egli mi ha anche citato a tal riguardo un proposito che si attribuisce a voi e di cui lo stesso Lord Palmerston m’aveva egualmente parlato, aggiungendo che voi non avevate dato neppure l’impressione di circondarlo di mistero. Si vede dunque qui negli accomodamenti relativi a Nizza e alla Savoia una concessione che ne avrebbe comportato un’altra in rapporto a Venezia. Ma ciò che i ministri inglesi credono quasi certo è il fatto che voi vi siete impegnati in virtú di nuove annessioni a ceder Genova alla Francia) (Cavour e l’Inghilterra, II, 2, lettera n. 1139 di E. D’Azeglio a Cavour datata 12 maggio 1860 da Londra).

I curatori della sistemazione del Carteggio a questo punto fanno una omissione, o meglio il riassunto di ciò che segue: “Rileva poi come simili apprensioni possano rendere gli Inglesi ostili alla causa italiana”.

E ancora nel dispaccio 1141 datato Londra 17 maggio: “Lord Palmerston… m’a dit qu’aucune communication ou accord avec la France par rapport à la Sicile n’avait ètè èchangè mais d’autre part il m’a rèpètè que si nous cèdions GÍnes nous nous aliènerons entièrement ce pays equivoque” (Lord Palmerston… m’ha detto, quanto alla Sicilia, che non era stata scambiata alcuna comunicazione o accordo con la Francia ma d’altra parte egli mi ha ripetuto che se noi cediamo Genova ci alieneremo interamente questo paese [in]-equivocabilmente).

Il furbissimo ministro piemontese invia un dispaccio cifrato al suo addetto a Londra nei seguenti termini perché ci sia smentita: “J’aimerais cent fois mieux renoncer aux nouvelles provinces que cèder un ponce de la Ligurie à la France. Vous pouvez le dèclarer de la manière la plus formelle. Demain j’ ècrirai” (Preferirei cento volte rinunciare alle nuove province piuttosto che cedere un sassolino della Liguria alla Francia. Potete dichiararlo nel modo piú formale. Domani scriverò) (lettera 1142).

La risposta dell’ambasciatore piemontese arriva via telegrafo cinque giorni dopo: Lord Palmerston “proteste contre toute cession de territoire et on leur a maintenant mis la tete que l’on pourrait bien demander la Sardaigne” (protesta contro ogni cessione di territorio e adesso qualcuno ha messo loro in testa che si potrebbe ben domandare la Sardegna) (lettera 1147).

Il Palmerston non crede a una parola di quel che gli assicura l’ambasciatore piemontese. Apertamente dichiara che: “Ce n’est pas la moitiè de ce qu’on nous a dit lors de la cession de la Savoie” (Ciò non è la metà di ciò che ci è stato detto al momento della cessione della Savoia) e aggiunge: “que nous nous ètions identifiès à la politique franÁaise au point de pouvoir en etre considèrès un peu comme les instruments et qu’il n’y aurait pas grande difference si l’Empereur ou nous avions la Sicile pour ses vues ultèrieures” (che noi [cioè il Piemonte, ndr] eravamo identificati alla politica francese al punto da poterne essere considerati un po’ come gli strumenti e che non ci sarebbe gran differenza se l’Imperatore o noi avevamo la Sicilia per le sue ulteriori mire).

INTERESSI GEOPOLITICI

Proviamo ora, solo per un istante, ad immaginare concretizzata la politica espansionistica di Napoleone III: Sardegna, Liguria, Toscana diventare territori metropolitani francesi, e il Regno delle Due Sicilie, pur formalmente indipendente, diventare un protettorato napoleonico retto da Luciano Murat o da Gerolamo Napoleone. Si sarebbero ripresentate, aggravate, le condizioni geopolitiche del primo impero: il Mediterraneo lago francese, cosa che l’Inghilterra non avrebbe mai potuto tollerare. Nel dossier diplomatico inglese urgeva inoltre una altro gravissimo problema: già da un anno erano cominciati i lavori per il canale di Suez da parte di una società francese. L’Inghilterra temeva che Napoleone III invadesse quel pezzo di impero turco impadronendosene: “Pour sa part la France tenerait de s’emparer de l’Egypte. L’Angleterre l’en empÍcherait par la force des armes ainsi que cela avait eu lieu de mèmoire d’homme. Est-ce à dire que l’Angleterre s’en emparerait elle-mÍme? Pas prècisèment. Mais l’Angleterre agissant à l’ègard de l’Egypte de mÍme que pour la Sicile, dirait: mon intèrÍt et ma politique ne sont pas de prendre ces pays. Mais de les occuper militairement chaque fois que un autre pouvoir et spècialement le France voudra s’en emparer…C’ètait pour rèaliser una de ses idèe favorites, la Mèditerranèe lac franÁais, que la convoitise franÁaise s’etendait sur l’Egypte. En mÍme temps l’Impèratrice Eugènie ècrivait imprudemment en Espagne pour exciter les susceptibilitès nationales contre la possession de Gibraltar par l’Angleterre. Elle laissait pourtant entrevoir que la possession des Iles Balèares pourrait bien devenir una necessitè pour la France” (Per parte sua la Francia tenterebbe di impadronirsi dell’Egitto. L’Inghilterra lo impedirebbe con la forza delle armi come è sempre stato a memoria d’uomo. » a dire che l’Inghilterra se ne impadronirebbe essa stessa? Non precisamente. Ma l’Inghilterra attiva in riguardo all’Egitto allo stesso modo che per la Sicilia, direbbe: il mio interesse e la mia politica non tendono ad impadronirsi di questi paesi. Ma di occuparli militarmente ogni volta che un altro potere e specialmente la Francia vorrà impadronirsene … Era per realizzare una delle sue idee favorite, il Mediterraneo lago francese, che la bramosia francese si estendeva sull’Egitto. Nello stesso tempo l’Imperatrice Eugenia scriveva imprudentemente in Spagna per eccitare le suscettibilità nazionali contro il possesso di Gibilterra da parte dell’Inghilterra. Ella lascerebbe pure intravvedere che il possesso delle isole Baleari potrebbe ben divenire una necessità per la Francia) (lettera n. 1136 di D’Azeglio a Cavour in data 14 Aprile 1860 da Brockett Hall).

A tali seri problemi se ne aggiungeva un altro: la Russia zarista in quel tempo lavorava alacremente per portare l’impero turco alla dissoluzione. Questa eventualità avrebbe reso la Russia “padrona del Mar Nero e capace di minacciare a poco a poco l’India”. Era quindi vitalissima necessità per la diplomazia inglese contenere l’espansionismo di Napoleone III, allentare o spezzare l’alleanza franco-piemontese e sostenere l’impero turco in funzione antirussa.

Il decennio 1860/70, fino alla disfatta di Sedan dove Napoleone III fu preso prigioniero dai fieri prussiani, fu dunque per l’Inghilterra un decennio di passione e di febbrile attività politico-diplomatica. Il problema Suez fu risolto nel 1869 dal governo presieduto da Disraeli con l’acquisto del pacchetto di maggioranza delle azioni della Società del Canale.

Superata la fase di incertezza relativa all’impresa del nizzardo, in un primo tempo definito da Lord Russell “gent out of law” cioè filibustiere, il governo inglese, con spietata doppiezza, sacrifica, per i suoi interessi di egemonia geopolitica, il Regno delle Due Sicilie dandolo in pasto al Piemonte, contraddicendo l’opinione generale che questo “adocchiasse la Sicilia in compenso della Savoia” perduta (Omodeo, La politica di Carlo Filangieri, pag. 101).

VALUTAZIONI ERRONEE

Nella successiva fase dell’invasione, apparentemente sembra che il regista malefico della distruzione del Regno sia la Francia. E’ questa opinione abbastanza comune che non tiene conto dell’intero mosaico internazionale e mediterraneo dove i due giganti politico-militari sortiti dalla guerra di Crimea si scontravano per l’egemonia. In realtà la sovrastruttura diplomatica occulta, il grande regista dell’unità d’Italia fu il governo di Sua Maestà britannica. Questo, somma arte o astuzia o capacità diplomatica, diede a Napoleone III l’impressione di essere lui il vero stratega di tutta l’operazione. Al momento costui, dominato dalla sua boria di onnipotenza, non s’accorge di essere usato dalla occhiuta diplomazia inglese. Se ne accorgerà troppo tardi quando ormai i giochi saranno conclusi. Se ne accorse molto bene invece il principe di Carini, ministro duosiciliano accreditato presso il governo prussiano a Berlino, che trasmetteva in data 7 agosto 1860 al ministro degli esteri a Napoli, De Martino, il seguente riservatissimo dispaccio: “Diviene ormai inutile ogni insistenza piú diretta per sormontare le teorie ed assurde considerazioni affacciate dal Gabinetto Inglese per opporsi e per paralizzare le proposizioni dell’Imperador Napoleone in favor nostro….Anzi nelle piú recenti comunicazioni incalza in tal modo e con tale quasi minacciosa energia che difficilmente possono conservarsi in dubbio non solo la molesta politica di lord Palmerston, quella anche peggiore di Lord John Russell e tutta la malevolenza che ci han fabbricata in Inghilterra, ma altresí la connivenza e complicità di quel Governo negli attentati intrapresi contro la R. Nostra Dinastia e contro il nostro Regno. Gettando la maschera dell’umanità e delle filantropie che vanta colle labbra e smentisce coi fatti, esigge per noi le pruove del sangue, le pruove delle armi, per poi concedere le simpatie della Gran Bretagna o al Monarca che proditoriamente inceppa e lascia aggredire, o alla rivoluzione, che fomenta e protegge”.

“Non posso dirmi sorpreso di questo implacabile accanimento, ma lo sono della docilità con cui la Francia e le altre Potenze, che sono rappresentate dai loro vascelli, si rassegnerebbero ad essere i testimoni oculari dell’assassinio del nostro Trono e della nostra nazionalità.

“Nessuna delle cose da dirsi o da tentarsi in queste supreme circostanze è da me trascurata o taciuta, nè risparmio le considerazioni sulle conseguenze inevitabili d’una aggressione nella Venezia, d’una generale conflagrazione per tutta l’Europa, e di quanto ciascun altro Governo si può aspettare nell’abbandonare il nostro. Ricevo costantemente le piú buone e belle parole, ma in sostanza questo Governo non puole, ed altri non vogliono portare al di là del puro morale la loro assistenza ed appoggio.

“Si compiaccia credermene indignato e trafitto…

“Poco tempo prima, prima dell’avvicendamento di ministri, il Ministro degli Esteri delle Due Sicilie, Carafa, aveva scritto al suo ministro a Londra, Ludolf, quasi negli stessi termini: “Il modo di vedere del ministro inglese non poteva essere diverso dai principi che, tranne qualche variazione inerente all’epoca, sono professati sempre da tutti i gabinetti inglesi, i quali principi devono, come i fatti costantemente lo provano, trovarsi falsati nella loro applicazione, cosí è che lord J. Russell nel tenere per fondamentale il diritto delle nazioni, ne ammette e ne tollera la violazione nella guerra civile che in uno Stato costituito porta una masnada di gente pagata da un partito che non ha governo legale… Ammetterebbe lord Russell simili dimostrazioni nei Regi Stati per effettuare una spedizione in altri, amici, dove si professano dal Governo diversi principÓ politici? I fatti non corrispondono alle teorie specialmente quando sono nel proprio senso”.

“La sconfitta in quel poker di bari fu oltremodo bruciante per Napoleone III, anche perché la spedizione del nizzardo contro il Reame fu sovvenzionata inizialmente pure da lui, come risulta dal dispaccio che il ministro Antonini da Parigi inviava a Carafa a Napoli: “… Sono istruito che una porzione del danaro fornito per attivare la spedizione di Garibaldi, sia stato somministrato dal principe Napoleone e da questo ministro dell’Interno, M. Billaut che rappresenta la politica rivoluzionaria dell’Imperatore… Mi si assicura che l’Imperatore ignori o finga di ignorare le manovre del cugino e del ministro. Questi contano sul pieno successo: in tal caso agire presso i Siciliani per farne formare un Regno indipendente in favore del principe Napoleone; forzare la mano dell’Imperatore per darvi il pieno consenso, sapendo che l’Imperatore è contrario ad un maggiore ingrandimento ed a nuove annessioni al Piemonte” (A.S.N., Francia, fasc. 476, Antonini a Carafa, Parigi, 11 maggio 1860).

L’ERRORE FUNESTO DI RE FERDINANDO

Che gli inglesi sospettassero una concorrenza sleale di Napoleone nella spedizione ne parla pure l’ambasciatore inglese a Napoli in una sua relazione a Lord Russell (Public Record Office London, Foreign Office 70/316, Elliot a Russell, Napoli 13 maggio 1860 n. 712, citata da A. Zazo pag. 289). La diagnosi di Carafa era esatta: ´Se la spedizione fosse stata offensiva alla Francia, essa non avrebbe avuto luogo” (Carafa ad Elliot).

La consumata diplomazia inglese si mise dunque all’opera per sventare i lacci napoleonici. Il successo che le arrise conservò all’Inghilterra il dominio del Mediterraneo, che le consentirà poi di vincere anche la seconda guerra mondiale. Come corollario a questo studio possiamo affermare, senza tema di essere smentiti, che l’errore principe commesso da Ferdinando II, che pur non difettava di acume politico, fu quello di non aver saputo trarre le logiche conseguenze dalla guerra di Crimea: tale terribile, anche se circoscritto, conflitto aveva messo in luce tutta la debolezza dell’alleata Austria, la sua pochezza industriale rispetto a Francia e Inghilterra e la sua incapacità di intervenire militarmente lontano dalle proprie frontiere. L’asse politico del mondo si era spostato definitivamente sulle rive dell’Atlantico. Il Congresso di Vienna, con l’Austria egemone, era ormai perso nella nebbia dei ricordi. Fatale calamità per il Reame.

A conferma che il Cavour giocava con abilità su piú tavoli e che l’unità della penisola fu creazione della volontà inglese e non della Francia di Napoleone III, attestata sempre sugli accordi di Plombières, valgano infine le parole di Denis Mack Smith: “…erano stati tenuti dei plebisciti in Emilia e in Toscana. E non contento di questo, Cavour aveva quindi suggerito alla Gran Bretagna che, se la Francia non desiderava andare al di là della creazione di uno Stato dell’Italia settentrionale che facesse da contrappeso all’Austria, poteva invece essere nell’interesse inglese che si formasse un’Italia piú grande per far fronte alla Francia nel Mediterraneo” (in Vittorio Emanuele II, Laterza).

Tale teorema trovava perfetta convergenza nei piani egemonici di Londra. Fino al giugno 1860, per motivi di liberalizzazione o meglio di globalizzazione economica, essa era stata ostile al governo borbonico che con alti dazi contrastava, in difesa della propria economia, le merci straniere, segnatamente le merci di Sua Maestà britannica, tanto che all’inizio dell’invasione garibaldesca, il 23 maggio, l’addetto duosiciliano a Washington informava il Carafa col seguente dispaccio: “Lord Lyons (ambasciatore britannico a Washington, ndr) diceva ieri sera in piena riunione sociale che se il legno che porta Garibaldi potesse essere mandato a picco, la sarebbe una vera fortuna e per lui e per l’Italia” (A.S.N. America, fasc. 3) in perfetta sintonia con le vecchie vedute di Lord Russell.

Da quel mese l’astio politico debordò contro la nazione Due Sicilie. Napoleone fu dunque impotente a contrastare la convergenza anglo-piemontese, la situazione gli era sfuggita completamente di mano. Purtuttavia ancora il 4 settembre al Duca di Caianiello, recatosi in missione a Chambery, assicurò che egli “portava grande interesse al re di Napoli ed aveva tutto il desiderio di sostenerlo; che già lo aveva fatto per mezzo di Thouvenel e specialmente verso l’Inghilterra e il Piemonte, ed anche ultimamente nel colloquio avuto col ministro Farini (piemontese, ndr) a Chambery”, ma stava barando, come barava tre anni dopo anche il ministro Thiers che ebbe a dire alla camera francese, millantando un inesistente credito di benemerenza politica: “siamo noi, noi soli che abbiamo fatto l’Italia” e che l’unità d’Italia era stata conseguita “col sangue della Francia (una voce: e col suo denaro)” (Discours parlamentaires de M. Thiers, vol. XI, pagg. 46) svalutando con ciò anche qualunque italico patriottismo.

Per tutto il tempo della crisi l’azione diplomatica del Quai d’Orsay ebbe di mira unicamente l’inglobamento della penisola, trifrazionata, in orbita francese contrastando la costituzione di un forte Stato unitario ostile alla Francia. La linea politica di quel governo era stata ben delineata da Thouvenel, ministro degli esteri francese, a Gramont, ministro a Roma, in data 18 marzo 1860: ´Si le Pape et le Roi de Naples avaient l’intelligence de leurs intèrÍts, ils comprendraient bien vite que ces intèrÍts sur un point capital, sont connexes avec les nÙtres. L’unitè de l’Italie nous dèplaÓt autant qu’à eux-mÍmesª (Se il Papa e il Re di Napoli avessero l’intelligenza dei loro interessi, essi comprenderebbero ben presto che questi interessi, su un punto capitale, sono connessi con i nostri. L’unità dell’Italia ci dispiace tanto quanto a loro stessi). Londra invece, già nemica dell’ultimo rappresentante bonapartista della Rivoluzione, il Murat, durante la campagna d’Italia nel 1815 perché temeva che l’unità sarebbe stata sfruttata a fini di supremazia francese, nel 1860 favorí il Piemonte per fini opposti”.

NAPOLEONE III SI SVEGLIA

In tale quadro internazionale va collocata la tardiva decisione di Napoleone di porre il blocco navale davanti a Gaeta durante l’assedio, rinnegando il principio del non intervento da lui stesso teorizzato, che aveva favorito i piani di conquista da parte del Cavour. Il suo livore traspare dalle parole che ebbe a sibilare tra i denti al plenipotenziario duosiciliano La Greca, riferite da Liborio Romano (Memorie) “che mal suo grado, e contra i suoi interessi, si era già fatta l’annessione della Toscana, e lo stesso sarebbe avvenuto a Napoli…”. Con tali elementi di discordia fin troppo poco dissimulati era inevitabile che la vendetta celtica colpisse inesorabilmente, come riferisce l’Ingrato. Ma nello scontro tra i due giganti per l’egemonia nel Mediterraneo il Regno soggiacque e fu stritolato.

L’analisi di questi fatti porta dunque a concludere che la fine del Regno era comunque segnata, qualunque fosse il sistema di governo, anche il piú liberale e democratico. Si rileggano in proposito le parole del Cavour al Salmour riportate all’inizio. Ben altre che le antipatie per un certo tipo di governo erano infatti le motivazioni profonde dell’agire occulto inglese. E nacque la questione meridionale, partorita sí dunque dall’Italia una e indivisibile edificata come antemurale in funzione antifrancese, ma conseguenza del cozzo per la supremazia da parte di quelle che allora, nel 1860, erano le superpotenze mondiali. I governi “italiani” poi, oltre ai feroci massacri e alle deportazioni delle nostre popolazioni, ce l’hanno messa tutta perché tale questione diventasse irrisolubile e avesse i connotati piú odiosi e vigliacchi.

LA PERFIDIA PUNITA

Delineato il quadro internazionale che portò alla dissoluzione e all’asservimento delle Due Sicilie ad uno staterello da nulla, possiamo ora tornare all’Ingrato autore della memoria “Cavour avvelenato da Napoleone III”. Secondo costui le ultime parole balbettate dall’aguzzino delle Due Sicilie a “persona di sua grandissima confidenza” che lo assisteva e che “la delicatezza” gli vietava di nominare furono queste: “…sento di essere avvelenato… conosco donde mi viene il colpo … i medici negarono dinanzi me ch’io fossi vittima di un veleno propinatomi … Sai tu a chi debbo dire grazie?… Sai tu chi mi fece avvelenare? Napoleone III!”. Identiche le parole ripetute all’amante Bianca Ronzani, accorsa a visitarlo. Il veleno? Probabilmente “un estratto di cicuta polverizzato … che s’infiltra nella massa del sangue e provoca una congestione cerebrale molto affine alla febbre tifoidea”. Infine, quasi con rabbia, l’Ingrato conclude: “Quando si farà giustizia e sarà fatta maggior storia di questo assassinio?“.

La Giustizia, dopo 140 anni, è sempre là in attesa di vibrare il colpo di spada. Noi, per parte nostra, quantunque quel primo ministro non goda di nostre soverchie simpatie, pensiamo modestamente di avere spezzato una lancia a favore della verità. Da questo studio, confortati dalla inesistenza di smentite nella ricca bibliografia risorgimentalista, siamo portati a dare fiducia all’Ingrato che, per tanti segni, mostra di possedere conoscenze politiche di prima mano. Forse non siamo lontani dal vero nell’indicare nell’Artom, segretario-copista del primo ministro, l’autore del libello, uno dei pochi a conoscenza degli astuti e intricati giochi diplomatici della cancelleria di Torino, del legame sentimentale del Cavour con la Ronzani, e con entrature presso la polizia e gli uffici di intelligenza per l’ottenimento di informazioni riservate.

RIN
Da “Le Due Sicilie” – Periodico dei Popoli delle Due Sicilie


Israele non cederà mai i territori occupati



Silvia Cattori Silvia Cattori giornalista svizzera indipendente di madrelingua italiana.

Gli anni passati all’estero, soprattutto in Asia del Sud-Est e nell’Oceano indiano, in stretto contatto con ambienti della diplomazia e delle agenzie delle Nazioni Unite, le hanno dato una certa comprensione del mondo, dei suoi meccanismi di potere e delle sue ingiustizie.

Nel 2002, fu testimone dell’operazione «Scudo difensivo», condotta da Tsahal in Cisgiordania. Da allora si consacra ad attirare l’attenzione del mondo sul destino subito dal popolo palestinese .

Intervista a Giorgio S. Frankel
Israele non cederà mai i territori occupati

di Silvia Cattori
I dirigenti israeliani affermano di essere “pronti a fare la pace” con i palestinesi. In realtà i governi israeliani succedutisi negli anni non hanno mai avuto nessuna intenzione di fare la pace. Si sono invece serviti del cosiddetto “processo di pace” per continuare la loro politica di distruzione e di disumanizzazione, non solo della Palestina ma anche di altri paesi e popoli del Vicino e Medio Oriente. Hanno potuto opprimere e scacciare il popolo palestinese senza mai subire sanzioni. Il giornalista italiano Giorgio S. Frankel, intervistato da Silvia Cattori, evidenzia la complicità di questi giornalisti di parte – e dei governi occidentali – nell’espansione dello Stato ebraico e nel prolungamento delle sofferenze del popolo palestinese.
Rete Voltaire | 13 giugno 2011

Silvia Cattori: Come lei sa quando si tratta dei crimini commessi dall’esercito israeliano contro gli Arabi, la stampa non è affatto neutra. Non é lei stesso uno di questi giornalisti che nel passato ha contribuito a dipingere un’immagine idillica di Israele?
Giorgio S. Frankel [1]: Sì, in passato ho partecipato a questa propaganda sionista perché sono cresciuto in un contesto favorevole a Israele. Quindi avevo assorbito questa cultura. In un certo senso la stampa, i media occidentali, contribuiscono attivamente a perpetuare l’immagine e l’ideologia di Israele. Questo aprirebbe un discorso lunghissimo sul potere delle forze filo-israeliane nella stampa e nei media.
Teniamo presente che praticamente tutti i corrispondenti dei giornali statunitensi in Israele sono ebrei filo-israeliani. Molti di essi hanno servito volontariamente nelle forze armate israeliane. Quindi questo fenomeno esiste. Uno dei pilastri della potenza israeliana nel mondo è questa capacità di perpetuare la narrativa israeliana e di modificare continuamente la storia per riscriverla in modo favorevole a Israele. Per esempio adesso sono passati più di 40 anni dalla guerra del giugno 1967. Quasi nessuno non ricorda più come è iniziata. La letteratura filo-israeliana scrive con disinvoltura che è stata una guerra in cui Israele si è dovuto difendere da una aggressione araba. Questa aggressione araba non è mai esistita. È Israele che nel giugno 1967, alla fine di una lunga crisi politica con la Siria, attaccò l’Egitto di sorpresa. Oggi si scrive che Israele ha dovuto condurre una guerra di difesa dopo una aggressione araba. Questo è un esempio.
Silvia Cattori: Il fatto che i corrispondenti statunitensi inviati in Israele, siano “quasi tutti ebrei filo-israeliani” è certamente un problema. Ma a suo avviso nei paesi europei non vediamo lo stesso fenomeno?
Giorgio S. Frankel: L’Europa ha avuto un atteggiamento misto fino a qualche anno fa. In un passato non molto lontano l’Europa tendeva di più a simpatizzare per i palestinesi. Negli anni ‘70 e ‘80, l’Italia era manifestamente più filo-araba che filo-israeliana. L’atteggiamento europeo è cambiato dopo l’attacco dell’11 settembre 2001, quando si è scatenata nel mondo questa politica antiaraba. L’attacco è stato identificato come un’offensiva araba contro il mondo occidentale. Dopo questa svolta antiaraba si è diffusa nel mondo occidentale una crescente ostilità verso l’Islam.
L’islamofobia in Europa è stata trasmessa dagli Stati Uniti. Oggi l’Europa, dopo l’11 settembre, e con la politica dei paesi europei dopo la guerra all’Iraq, si è allineata sulle posizioni statunitensi e persegue una politica antiaraba. Questa crescente islamofobia è in gran parte alimentata, condivisa, sostenuta da Israele. Bisogna sapere che i più importanti razzisti europei, come l’olandese Gert Wilders, e altri razzisti nordici, sono considerati eroi in Israele. Gert Wilders è regolarmente invitato a tenere conferenze anche nelle università israeliane.
C’è questo atteggiamento anche nei media europei ; un po’ meno in quelli britannici. Però, in effetti, per tanti motivi, Israele è riuscito a imporre il suo linguaggio, la sua narrativa delle vicende vicino e medio-orientali. Gli israeliani hanno un grande potere, hanno una grande capacità propagandistica. I palestinesi non dispongono di questa forza. Gli arabi non hanno questa capacità. Israele ha preso il controllo a poco a poco. Ha impiegato molto tempo. Adesso ha praticamente il controllo delle comunità ebraiche in Europa e negli Stati Uniti. Un tempo non era così. Un tempo le comunità ebraiche criticavano la politica di Israele. Quindi se noi pensiamo alla propaganda a favore di Israele negli Stati Uniti, questa non è fatta da emigrati, ma è fatta da ebrei statunitensi che ne condividono la cultura, il linguaggio. Non sono estranei. Gli ebrei statunitensi sono pienamente integrati, membri del Congresso, giornalisti. La propaganda filo-israeliana è rafforzata da questo fatto.
Silvia Cattori: Quando questo controllo politico di Israele sul mondo ebraico ha preso questa svolta?
Giorgio S. Frankel: Bisogna ricordare che all’inizio il sionismo era osteggiato nel mondo ebraico, soprattutto tra gli ebrei statunitensi. C’è voluto molto tempo perché i sionisti riuscissero ad affermarsi. Questo, tra l’altro, è una delle origini storiche della notevole arroganza, della propensione alla violenza del sionismo. Il sionismo è diventato arrogante e politicamente violento proprio nella sua esperienza negli Stati Uniti, quando doveva affermarsi nell’ebraismo statunitense. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Gli ebrei di tutto il mondo hanno sempre avuto un atteggiamento molto favorevole e molto sentimentale nel confronto di Israele. Se vogliamo parlare di svolta, c’è stata una svolta importante dopo la guerra del giugno 1967. Questa guerra è importantissima nella storia di Israele. Ha creato nella mentalità israeliana un senso di sicurezza e di potenza. Quindi c’è sempre stata una dialettica tra Israele e l’ebraismo, tra chi doveva dominare l’altro. Ma dopo la guerra del 1967 i governi israeliani hanno deciso che spettava a loro dominare il mondo ebraico. Così è stato fatto a poco a poco.
Silvia Cattori: Dunque la propaganda delle autorità israeliane, che ha sempre teso a denigrare e disumanizzare gli Arabi e i musulmani, serve, tra l’altro, a coinvolgere e a ottenere la piena adesione degli ebrei al progetto sionista di dominazione e di distruzione della nazione palestinese?
Giorgio S. Frankel: La paura dei popoli musulmani è cresciuta dopo l’11 settembre. Questo evento ha permesso alle forze israeliane di additare il mondo islamico come un nemico storico del mondo occidentale con il quale non si può fare la pace. In Europa per motivi storici, che risalgono alle crociate, c’è questo timore ancestrale dei musulmani. Dopo l’11 settembre è stato facile rilanciare questa paura.
Silvia Cattori: Questa propaganda israeliana contro il mondo arabo e musulmano è riuscita fino ad oggi, con l’aiuto dei nostri giornalisti e governi, a mascherare gravi crimini come la pulizia etnica, l’annessione di Gerusalemme, i ripetuti massacri. È difficile capire che crimini così gravi e massicci non pongano un problema morale agli ebrei che sostengono lo Stato che li commette in loro nome. Vediamo persino giornalisti progressisti, militanti di gruppi “Ebrei per la pace” tenere un discorso che “risparmia”, e in un certo senso “legittima”, il progetto razzista dello Stato israeliano. Solo piccoli gruppi marginali hanno sempre sostenuto chiaramente il diritto al ritorno dei palestinesi [2]. Non è sempre stato questo un modo di legittimare la politica di uno Stato il cui progetto politico razzista, la cui ideologia violenta, ha vuotato la Palestina dei suoi abitanti arabi?
Giorgio Frankel: E’ estremamente complicato. Se ci si attiene a fasi del negoziato israelo-palestinese, gli stessi negoziatori palestinesi dicono implicitamente che se si facesse uno stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza, il ritorno dei rifugiati sarebbe compreso nello stato Palestinese ; che loro si accontenterebbero di una dichiarazione da parte di Israele di un’assunzione di responsabilità storica per il dramma dei palestinesi cacciati nel 1948 ; che Israele potrebbe lasciar entrare solo qualche decina di migliaia di palestinesi. Anche nel piano di pace proposto dal re dell’Arabia saudita nel 2002, riconfermato nel 2007, non si parla esplicitamente di diritto al ritorno, ma di una soluzione negoziata tra Israele e i palestinesi.
Nell’ipotesi di una soluzione “due Stati” il problema è di sapere se questa soluzione “due Stati” è possibile, con Israele entro i confini del 1967, e uno stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza. In questi ultimi dieci anni si è continuato a parlare di “due Stati per due popoli”. Ora, quel che si è visto, forse definitivamente nel 2010, è che questa soluzione non è assolutamente possibile, perché Israele si è preso metà delle terre conquistate nel 1967 per costruire le colonie.
Israele non cederà mai questi territori. Quello che è emerso è che Israele non ha premura; che Israele vuole col tempo arrivare al dominio di tutto il territorio. Al totale dominio della Cisgiordania e di Gaza. Il che implica di fatto la conseguente espulsione dei palestinesi che ci vivono.
Silvia Cattori: L’Autorità di Ramallah, i dirigenti dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) -compromessi in “processi di pace” che hanno permesso a Israele di continuare a colonizzare la Cisgiordania- hanno rinunciato ai diritti legittimi del loro popolo, pensando di ottenere in cambio il loro “Stato” palestinese. Riusciranno ad avere questo Stato?
Giorgio S. Frankel: Sì, esatto. Anche il presidente Yasser Arafat era su questa posizione: se facciamo uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza non pretendiamo più il diritto al ritorno. Nei negoziati con Israele il diritto al ritorno è stato usato come una carta negoziabile. La cosa importante per i dirigenti palestinesi era quello di avere il loro Stato in Cisgiordania e a Gaza. Questo Stato ormai non ci sarà mai più. È possibile che questi dirigenti palestinesi oggi siano in collusione con Israele. Quindi che siano praticamente dei fantocci di Israele. Tutti questi negoziati non hanno ottenuto assolutamente nulla. Le condizioni dei palestinesi sono peggiorate.
Teniamo presente che da quando nel 1993 c’è stato l’incontro Yasser Arafat et Yitzhak Rabin, la famosa stretta di mano alla casa Bianca, gli israeliani hanno continuato a espropriare terre in Cisgiordania, a cacciare i palestinesi dalle loro case per sviluppare le loro colonie. In questi 17 anni si è ampiamente dimostrato che Israele non ha la benché minima intenzione di fare una pace che porti alla creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza.
Quando i dirigenti israeliani parlano di uno Stato palestinese non dicono mai dove dovrebbe nascere. Per loro lo Stato palestinese è la Giordania. Il loro obiettivo è rovesciare la monarchia Giordana e mandare lì tutti i palestinesi. Questa è la dottrina: la Giordania è per gli israeliani la Palestina. Tutto il loro discorso è questo. Gli israeliani non sono mai stati disposti a restituire i territori conquistati nel 1967. Mai e mai. Quindi la questione del diritto al ritorno non si pone oggi come obiettivo realistico. Il problema è questo: la formula dei due Stati non è più possibile. Ci sarà mai uno Stato solo che comprende Israele, l’attuale Cisgiordania e Gaza? Bisogna vedere se questo sarà uno Stato unico (binazionale), come dice Ilan Pappé. Oppure se sarà uno Stato dominato dagli israeliani in cui i palestinesi non saranno mai demograficamente in maggioranza ma saranno sottoposti al dominio ebraico. Potrebbero anche venire cacciati…
Silvia Cattori: Questa è una probabile eventualità secondo lei?
Giorgio S. Frankel: Penso che Israele in realtà – anche se è una grande potenza mondiale, una potenza militare, nucleare e tecnologica – stia andando verso il disastro. Verso un collasso interno. Gli indici sono questa crescente follia della classe dirigente israeliana. Si è visto proprio in questo ultimo anno l’“escalation” di razzismo in Israele. Razzismo anche verso gli Arabi cittadini di Israele. Ci sono manifestazioni in Israele di razzismo verso gli Arabi, di xenofobia verso i lavoratori stranieri, di xenofobia verso la componente russa. Ci sono crescenti fratture nel mondo ebraico tra askenaziti e sefarditi, tra bianchi e neri falascia. Tutta la società israeliana si sta frammentando, sprofondando e degradando in un complesso di odio razziale verso tutti. Israele ha un atteggiamento sempre più ostile verso il resto del mondo. Basta un nulla per creare incidenti diplomatici.
Mentre generazioni di giovani ebrei statunitensi sono sempre più disincantati rispetto a Israele. Questo significa che Israele rischia il collasso, se non succedono cose esterne. La classe dirigente israeliana è di livello sempre più basso. L’intellighenzia israeliana è sempre più bassa. Israele non produce cultura, non produce idee, non produce progetti. Produce armi, apparecchiature elettroniche ; ma non produce cultura. La sua classe politica è sempre più corrotta economicamente, culturalmente e nei costumi. L’ex capo dello Stato israeliano è stato condannato per violenza sessuale. Questo è esemplare della attuale corruzione israeliana.
Israele è votato a un declino. Questo declino può essere accelerato dal fatto che Israele si è legato a filo doppio agli Stati Uniti. Oggi la sua politica si dimostra molto pericolosa perché la situazione interna statunitense è sempre più grave. Il futuro di Israele è molto dubbio.
Silvia Cattori: Eppure Israele non sembra in una posizione debole ma di dominio. Non soffre alcuna crisi economica. La sua moneta è forte e stabile. Continua a tenere testa al mondo ; a non cedere terreno e a proseguire, senza essere disturbato, la politica di pulizia etnica dei palestinesi. E’ persino in grado di rivendicare concessioni, sempre più umilianti, per rendere ogni soluzione ai problemi creati ai vicini arabi, impossibile. Malgrado la gravità dei crimini commessi da più di 60 anni, Israele non solo non è sanzionato ma è corteggiato dai nostri governi. Se Israele può comportarsi in modo cosi arrogante e violento, sfidare le grandi potenze, ci deve essere un motivo segreto che ha permesso a tutti i governi israeliani di sfidare chiunque. Come lei interpreta questa sua crescente arroganza senza precedenti nella politica internazionale?
Giorgio S. Frankel: Questo è vero. I fondamenti di questa arroganza sono molteplici. Un fondamento è la potenziale atomica israeliana. Israele è forse la quarta potenza atomica nel mondo. Già negli anni 70, quasi quaranta anni fa, si diceva che Israele era in grado di esercitare una deterrenza nucleare contro l’Unione sovietica. Questo spiegava perché l’Unione sovietica fosse sempre molto cauta con Israele. Pochi anni fa uno storico militare israeliano di origine olandese, Martin Van Cleveld, un notissimo studioso e autore di studi militari, disse in un’intervista che Israele aveva armi atomiche puntate contro tutte le capitali del mondo occidentale. Si parla molto di questa dottrina Sansone [3]. L’idea è questa: se Israele si trovasse in una situazione tale da farle ritenere di essere sul punto di soccombere, allora trascinererebbe con sé il mondo. Prima di soccombere lancererebbe bombe atomiche sull’Europa, sul mondo arabo, sugli Stati Uniti. Scienziati israeliani hanno più volte affermato che gli israeliani possono colpire qualsiasi punto del globo.
Ora conoscendo la storia e la mentalità israeliana questo atteggiamento può apparire razionale nel senso di un’argomentazione volta ad imporre agli altri paesi di rispettare la volontà israeliana. Dopo tutto un paese europeo può chiedersi perchè sostenere la causa dei palestinesi se si rischia di essere bombardato e attaccato.
Il fatto che Israele possa esercitare un ricatto atomico, diretto o indiretto, che possa anche minacciare di fare una guerra ai paesi arabi o all’Iran usando bombe atomiche, scatenerebbe una crisi globale. Le possibilità di usare direttamente un ricatto atomico sono moltissime. Questo è un fatto direi fondamentale.
Poi, il legame strategico con gli Stati Uniti, che è iniziato dopo la guerra del giugno 1967, ha conferito a Israele notevole potere internazionale e una sorta di immunità. Qualsiasi cosa Israele faccia, gli Stati Uniti lo proteggono. Se c’è una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite contro Israele non può passare, perché gli Stati Uniti quale membro permanente, possono opporre il loro veto.
Tutto ciò ha dato ad Israele un notevole potere, un elevatissimo grado di immunità. Si è poi creato nel mondo, non so se è un mito – ma dato che praticamente tutte le cancellerie lo tengono per buono – l’idea che paesi e forze politiche se vogliono avere buoni rapporti con gli Stati Uniti devono avere buoni rapporti con Israele. C’è una propensione di molti paesi del terzo mondo, ecc, a stabilire buoni rapporti con Israele in modo che poi la lobby filo-israeliana negli Stati Uniti sostenga questo paese. Così fece la Turchia negli anni passati prima del governo di Erdogan. L’hanno fatto molti altri. Si è visto che quei paesi che hanno tenuto buoni rapporti con Israele, sono stati gratificati dagli Stati uniti.
Le ragioni per cui Israele è così potente negli Stati Uniti sono dovute al fatto che Israele ha stabilito un controllo del Congresso. Israele domina sul Congresso negli Stati Uniti; veramente lo domina. Da decenni, gli israeliani hanno creato negli Stati Uniti una serie di strutture, di istituzioni chiamate lobby israeliana. Questa lobby è formata da varie organizzazioni specializzate. C’è la lobby specializzata al Congresso, la lobby che preme sulla Casa Bianca, la lobby che stabilisce rapporti stretti con i vertici militari, etc.
Tenendo conto che negli Stati Uniti ci sono 6 milioni di ebrei benestanti, queste organizzazioni che sono finanziate dal mondo ebraico, dispongono di fondi enormi. Una delle più importanti, AIPAC, ha 100.000 iscritti. Ha una potenza enorme. I suoi membri mandano fax, e-mail ai deputati, ai senatori, raccolgono fondi.
Una cosa molto importante di cui i giornali europei hanno parlato pochissimo, ma ne hanno parlato i giornali israeliani e anche alcuni giornali ebraici, è il fatto che, all’inizio dell’anno 2010, i rapporti tra Obama e Israele erano pessimi. Obama era disposto a usare una politica di pressione sempre più dura su Israele. Così sembrava. A maggio Obama ha cambiato completamente e ha ceduto via via a tutte le richieste degli israeliani. I giornali israeliani hanno rivelato che i principali finanziatori ebrei del partito democratico avevano tagliato i finanziamenti. I miliardari ebrei, a marzo 2010, hanno fatto sapere che non davano più un dollaro se Obama non cambiava politica. Obama si è trovato alla vigilia delle elezioni di mezzo termine in difficoltà politiche col proprio partito, che aveva perso i finanziamenti ebrei. Quindi questa è una fonte di potere.
Bisogna aggiungere anche un altro fattore di potere provvisorio. Con l’era della globalizzazione economica, Israele è diventato un elemento strutturale di questo super potere globale che si è sviluppato a partire dagli anni ‘80 e ‘90. Fra l’élite globale che ha il potere economico, ecc, Israele è una parte integrante di questa struttura di potere. Questo potere economico, più il potere militare strategico, nella misura in cui gli Stati Uniti mirano al dominio del Medio Oriente, rafforzano il potere militare e strategico di Israele.
Nel 2003, quando gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iraq, i giornali statunitensi e l’élite filo-israeliana dicevano apertamente che l’attacco all’Iraq era solo l’inizio di una strategia volta a smantellare il Medio Oriente. Dopo l’Iraq, l’Egitto, poi l’Arabia Saudita, ecc. Questa era la visione di allora. Poi la guerra contro l’Iraq è andata male. Questo dimostra che il potere militare vale fino a un certo punto. Gli Stati Uniti, nonostante la loro superpotenza militare e tecnologica, perdono tutte le guerre. Vedendo l’esperienza degli Stati Uniti, possiamo ricordare che anche la potenza israeliana potrebbe avere gli anni contati. Per ora Israele è una parte del super potere globale. Potere che però sta perdendo terreno con l’espansione del potere asiatico.
Silvia Cattori: Lei ha studiato questo tema. Conosce la realtà da vicino. Ma per la gente in generale è molto difficile capire che non sono gli arabi il problema, ma la politica conflittuale israeliana. La continua pressione esercitata da Israele contro il programma nucleare civile dell’Iran, è una di queste. Lei crede in un possibile attacco dell’esercito israeliano o di altri, contro siti iraniani?
Giorgio S. Frankel: Non ci credo perché Israele ha cominciato a minacciare di attaccare l’Iran all’inizio degli anni 1990. Sono venti anni che gli israeliani ripetono che attaccheranno l’Iran, che l’Iran sta facendo la bomba atomica, che l’Iran è una minaccia. Ora quando, nella storia, un paese minaccia di fare la guerra e per venti anni non la fa, non la farà mai.
Questa minaccia dell’Iran serve a Israele per mantenere un clima di tensione nel Vicino e Medio Oriente. Minacciando più volte all’anno di far la guerra all’Iran crea una situazione di pericolo negli Stati Uniti e in Europa. La probabilità che Israele attacchi l’Iran è molto bassa. Ma se Israele attacca veramente l’Iran, le conseguenze globali sarebbero così catastrofiche che anche se tutti ritengono che la minaccia del governo israeliano sia un bluff, nessuno si sente di andare a vedere se è veramente un bluff.
Israele non è in grado di attaccare l’Iran, basta guardare la carta geografica. Deve passare attraverso altri paesi. Due anni fa, gli Stati Uniti fecero un regalo avvelenato agli israeliani. Dato che Israele parlava del pericolo iraniano, gli Stati Uniti mandarono in Israele una grande postazione radar che controlla il cielo attorno a Israele per centinaia di chilometri. Questa stazione è gestita da militari statunitensi. Fu presentata come un gesto di solidarietà verso Israele. In realtà gli israeliani non sono molto contenti. Perché gli Stati Uniti sanno esattamente cosa fanno gli aerei israeliani. Gli Stati Uniti hanno ripetutamente affermato che non vogliono una guerra contro l’Iran, perché sarebbe una catastrofe.
Sono periodi ciclici. Ogni tanto gli israeliani tirano fuori questa carta iraniana. Se ne parla per alcune settimane poi non se ne parla più. Il generale Moshe Yalon, vice primo ministro e ministro per le minacce strategiche, ha detto: il programma nucleare iraniano è in ritardo; quindi abbiamo due o tre anni per prendere una decisione. Questo è un messaggio per indicare che in questo momento non c’è un pericolo iraniano. Questo pericolo serve agli israeliani per mantenere un clima di tensione e costringere gli Stati Uniti e gli europei a fare determinate politiche. Gli israeliani speravano di creare un clima di tensione tale da provocare uno scontro tra Iran e i paesi arabi. Anche questa strategia è fallita.
Quanto tempo hanno impiegato le altre potenze nucleari a farsi la bomba atomica? Gli Stati Uniti negli anni quaranta, quando neanche si sapeva con sicurezza che si potesse fare la bomba atomica, ci hanno messo tre anni. Israele ci ha messo dieci anni. Ora da più di venti anni si dice che l’Iran stia costruendo la bomba. Ma questa è la bomba atomica più lenta della storia. L’agenzia nucleare che deve controllare la bomba atomica, continua a dire che non ci sono indizi per il programma militare.
La bomba iraniana serve a Israele per creare problemi strategici nella regione. Il grande timore di Israele è che si apra un dialogo politico fra Stati Uniti e Iran. Dopo di che l’Iran verrebbe riconosciuto come potenza regionale con la quale bisogna parlare e discutere.
L’altra potenza regionale che si sta affermando è la Turchia. Ora Israele ha problemi con la Turchia perché potrebbe diventare la principale interlocutrice degli Stati Uniti, del mondo arabo, del mondo islamico.
L’altra grande arma di Israele è l’accusa di antisemitismo. È un’arma della quale gli Israeliani fanno un grande e immediato ricorso. Ogni forma di critica di Israele è denunciata come un atto di antisemitismo. All’inizio faceva molto effetto; oggi un po’ meno; prima o poi perderà la sua importanza. Quando si abusa di queste armi esse perdono valore. Israele accusa tutti di antisemitismo. Se è un ebreo che critica Israele, dicono che è un ebreo che odia se stesso.
Alla fine anche questo crollerà. Perché l’antisemitismo è una cosa. La critica di Israele è un’altra. Di antisemitismo ce n’è poco al mondo. Se risorge è perché è talmente disgustoso quello che gli israeliani fanno anche nello stabilire identità tra ebraismo e ‘israelismo’, questo è un terreno molto scivoloso.
Silvia Cattori: Durante questi anni di offensive militari da parte di Tel Aviv, in Francia per esempio, si è assistito a un’intensificazione delle accuse di antisemitismo anche da parte di gruppi di “pace ebrea”. Accuse di antisemitismo e negazionismo sono piovute contro giornalisti o militanti che mettono in evidenza l’ideologia che ha portato lo Stato ebreo a condurre politiche inaccettabili, sin dall’inizio [4]. Se come lei sottolinea, criticare la politica israeliana non ha nulla a che vedere con il razzismo, chi accusa la gente di antisemitismo cosa vuole ottenere in verità?
Giorgio S. Frankel: Il grande errore è quello commesso dalle comunità ebraiche nel mondo in quanto come comunità ebraiche si sentono il diritto di parlare a nome di Israele. Molti ebrei non israeliani pensano di potere, in quanto ebrei, avere il diritto di sostenere Israele. Questo è loro diritto. Però questo comporta che agli ebrei non israeliani prima o poi verrà loro imputato quello che fanno i governi israeliani. D’altra parte quando Israele proclama che vuole essere riconosciuto non solo come Stato ebraico, ma come Stato nazionale del popolo ebraico, questo vuol dire che si chiede, a livello internazionale, che venga a loro riconosciuto una sorta di primato anche nei confronti degli ebrei che stanno negli altri paesi. Questo diventa molto pericoloso.
Silvia Cattori: Perché pericoloso?
Giorgio S. Frankel: Pericoloso perché alla fine è possibile che, nel futuro, Israele voglia interferire nella politica interna di altri paesi col pretesto che quel paese ha una politica ostile agli ebrei. Chirac rifiutò di partecipare alla guerra contro l’Iraq. Poco tempo dopo il primo ministro Ariel Sharon scatenò una politica ostile alla Francia avvertendo gli ebrei francesi: fate le valigie, andatevene dalla Francia, venite in Israele. In futuro gli Israeliani potrebbero comportarsi come se il destino degli ebrei italiani o francesi fossero loro a stabilirlo.
Silvia Cattori: Questa arma dell’antisemitismo ha sempre permesso a Israele di mettere i governi che non seguono la linea politica di Tel Aviv sotto pressione. Da anni Israele cerca di spingere il resto del mondo a intensificare la pressione sull’Iran, per isolarlo, sanzionarlo, impedendo un suo normale sviluppo. Secondo lei ci riuscirà?
Giorgio S. Frankel: Non ne sono convinto, perché l’Iran finora è protetto dalla Cina e in parte dalla Russia. Ha buoni rapporti con i vicini: Turchia, Iraq e con paesi come l’Azerbaijan e la Georgia. Ha buoni rapporti con il Pakistan, con l’India, con i paesi arabi del Golfo, in particolare con il Qatar. Sta estendendo la sua presenza diplomatica in America latina. L’Europa segue questa linea di durezza ; ma altri paesi non la seguono.
Gli israeliani conducono questa destabilizzazione interna dell’Iran con attentati, stragi, ecc; questo probabilmente stanno facendo. Bisogna vedere se ci riescono.
Silvia Cattori: Solo Israele e non gli Stati Uniti? [5]
Giorgio S. Frankel: Tutti e due. Ma soprattutto gli israeliani.
Silvia Cattori: Perché “sopratutto gli israeliani”? Hanno particolari mezzi di penetrazione e manipolazione delle minoranze etniche?
Giorgio S. Frankel: Il problema della stabilità dell’Iran è molto complesso. Si può entrare clandestinamente da varie zone. Ci sono popolazioni ostili al governo centrale. Il Kurdistan è la regione più importante per il petrolio. Lì vive una minoranza sunnita. È sufficiente dare loro finanziamenti per l’addestramento e dare armi. Sono operazioni che si chiamano “la guerra dell’ombra”. Di possibilità di intervento ce ne sono molte.
Il Kurdistan è la regione più importante per il petrolio. Lì vive una minoranza sunnita.
Silvia Cattori

[1] Giorgio S. Frankel, analista di questioni internazionali e giornalista indipendente, si occupa di Medio Oriente e Golfo Persico dall’inizio degli anni Settanta. Ed è l’autore del libro: “L’Iran e la bomba”, DeriveApprodi, Roma 2010.
[2] Il diritto al ritorno è consentito dalla legge; ma inostri governi e partiti politici, come pure i difensori di una “giusta pace” hanno sempre ignorato questo diritto, perché riconoscere ai rifugiati palestinesi il diritto al ritorno costringerebbe Israele a riconoscere le espulsioni del 1948, del 1967, del 2000 e a ammettere che la sua “guerra di indipendenza” è in realtà un crimine.
[3] “Opzione Sansone” (così chiamata da dirigenti israeliani traendo ispirazione dalla figura biblica di Sansone, che abbatté un tempio filisteo uccidendo se stesso e centinaia di filistei) suppone che di fronte a una minaccia esistenziale il progetto nucleare di Israele comprende un attacco nucleare contro le nazioni che lo minacciano.
[4] Si veda: “1001 bugie su Gilad Atzmon”, di Gilad Atzmon, comedonchisciotte.net, 2 novembre 2006.
[5] Il giornalista Bob Wodford afferma che i servizi della Cia, del Mossad e MI 6, collaborano strettamente per condurre azioni di sabotaggio contro l’Iran. Nel 2009 e 2010 l’Iran ha arrestato diverse spie di origine americana entrate illegalmente, fra le quali una donna che possedeva degli “hidden spying equipment”. La Francia conduce una diplomazia aggressiva contro l’Iran da quando, nel 2007, il presidente francese Sarkozy ha parlato della possibilità di bombardare l’Iran. Si ricordi l’appello di Bernard Koucher alle nazioni, per “prepararsi al peggio”, alla “guerra” contro l’Iran.

Fonte : “Israele non cederà mai i territori occupati”, di Silvia Cattori, Rete Voltaire, 13 giugno 2011