OSSERVAZIONI SU UN LAVORO DI RISCOSSA CRISTIANA


Un intervento dovuto

di Filippo Giannini

Il 14 aprile 2011 ho ricevuto una mail da Riscossa Cristiana contenente un articolo a firma Paolo Deotto dal titolo APPUNTI PER UNO STUDIO DEI RAPPORTI TRA FASCISMO E ANTISEMITISMO – Un altro contributo, dopo quello di Piero Vassallo (Mussolini, la storia dopo la demonizzazione), per affrontare uno studio e un dibattito serio sul ventennio. Sia l’argomento che la proposta (un dibattito serio) mi hanno interessato, mi accingo, pertanto, a esaminarne alcune parti.

L’Autore inizia lo studio partendo dalla fondazione della Repubblica Sociale Italiana (a proposito nella penultima pagina leggo: periodo repubblichino>. Ė una svista? Oppure il solito tentativo di oltraggiare i combattenti della Rsi?).

Sono d’accordo che gni fatto storico va studiato nel contesto nell’epoca in cui accadde. Usi ed istituti che oggi ci sembrano anacronistici erano normalissimi anni fa>.

Scrive l’Autore: <La Repubblica Sociale Italiana, nata il 18 settembre 1943, dopo la liberazione di Mussolini (…), seppur ufficialmente stato sovrano, con un suo proprio governo presieduto dal Duce, non fu altro che un protettorato tedesco, tant’è che la stessa lista dei ministri fu sottoposta alla previa approvazione dell’ambasciatore tedesco Rahn. L’autonomia decisionale delle autorità repubblicane fasciste era assolutamente limitata alle minime questioni di ordinaria amministrazione (…)>.

Osservo: con decreto in data 1° dicembre 1943, nasceva la Repubblica Sociale Italiana. Per il resto, Paolo Deotto forse confonde la situazione politico-militare della Rsi con quella del così detto Regno del Sud, dove effettivamente l’autonomia decisionale del governo Badoglio, anche nelle minime questioni di ordinaria amministrazione era assolutamente limitata allo strettissimo controllo e approvazione delle autorità Alleate. Effettivamente, dopo il tradimento italiano la presenza tedesca divenne ancor più ingombrante. Certamente le relazioni tra lo Stato repubblicano e la Germania non erano più (grazie a Badoglio e a Vittorio Emanuele III) – e non potevano esserlo – quelle precedenti al 25 luglio 1943. Anche se fra enormi difficoltà, il Governo Mussolini aveva – o stava gradualmente riprendendo – le sue funzioni. Infatti, una volta insediati i rispettivi Ministeri riprese la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, continuando la numerazione progressiva, cosa che a Sud non fu possibile. Ripresero le loro funzioni anche la Corte dei Conti e gli altri organi dello Stato, come la Magistratura. Le sentenze venivano pronunciate non a nome della Rsi, ma in nome della legge. Il Tesoro dello Stato che a seguito della fuga del governo Badoglio aveva preso la via della Germania, fu bloccato alla frontiera dal Ministro delle Finanze repubblicano Gianpietro Pellegrini. Lo stesso Ministro che, al contrario di quanto avvenne a Sud, dove imperversava la moneta d’occupazione (le così dette Am Lire, grande rovina per la nostra economia), riuscì a far ritirare i Marchi d’Occupazione tedeschi, e questo addirittura il 31 ottobre 1943. Tutto ciò, al contrario di quanto avveniva a Sud, dove perfino le sentenze dovevano passare al vaglio delle autorità Alleate, al Nord non erano soggette ad alcun controllo straniero. A novembre dello stesso 1943, la struttura burocratica organizzata al Nord era una concreta realtà: funzionava di nuovo lo Stato (repubblicano), funzionavano gli enti periferici e quelli distaccati dai vari ministeri. Sembrava un miracolo, ma era invece la semplice verità. Pur riconoscendo, ripeto, la grave ingerenza germanica sul suolo italiano, il riconoscimento dell’autonomia del Governo Mussolini giunse al punto che al Maresciallo Rodolfo Graziani venne affidato il comando dell’Armata Liguria nella quale, oltre alle Divisioni italiane, erano presenti le Grandi Unità germaniche; questo fu un notevole riconoscimento, in quanto, per la prima volta nella storia, il Comando Supremo tedesco affidava le sorti delle proprie Grandi Unità ad un ufficiale superiore straniero. E ancora: non so dove Paolo Deotto abbia appreso la notizia che <la stessa lista dei ministri fu sottoposto alla previa approvazione dell’ambasciatore tedesco Rahn>.

Continua Paolo Deotto: <Giova ricordare che la Repubblica sociale (che prese anche il nome di Repubblica di Salò, essendo colà ubicata la sede del governo) (…)>.

Preciso: Repubblichini, nazifascismo, o Repubblica di Salò sono espressioni di derisione concepite dall’antifascismo: la Repubblica di Salò non è mai esistita: a Salò fu posta una sezione del Ministero Cultura Popolare (Villa Amodei). Il Q.G. (Villa delle Orsoline) e la residenza privata (Villa Feltrinelli) del Duce erano locate a Gargnano.

Scrive Paolo Deotto: <Queste considerazioni non vogliono certo giustificare la supina partecipazione a fianco dei tedeschi ad operazioni – di deportazioni degli ebrei – che (…)>.

Osservo: per quanto mi risulta mai nessun reparto della Rsi prese parte attiva alla caccia all’ebreo, e se ci sono stati dei casi, questi rimasero assolutamente isolati e sporadici. A guerra finita, in pieno periodo di caccia al fascista a nessun gerarca o ministro della Rsi poté essere elevata l’accusa di aver ordinato retate, catture o uccisioni di ebrei. La più nota retata, quella nel ghetto di Roma, avvenne il 16 ottobre 1943 e venne eseguita da Herbert Kappler, il quale inviò a Berlino un rapporto nel quale fra l’altro si può leggere: <In considerazione dell’assoluta sfiducia nei confronti della polizia italiana, qualora impiegata in una azione del genere, non si è ritenuto opportuno invitarla a partecipare>. A proposito di questa operazione, per il mio libro in materia, intervistai la signora Mirella Limentani, ebrea, che mi ha raccontato cosa avvenne quel giorno. Riporto solo una parte di quanto è ricordato nel mio volume: <Avevo diciassette anni (…). Il signor Natoni si fece avanti verso i tedeschi con decisione, presentò me e mia sorella come sue figlie e, mostrando la sua divisa, li invitò, con fermezza ad andarsene; cosa che fecero scusandosi per il disturbo arrecato. Erano tedeschi, anzi austriaci, tutti SS>. Il signor Natoni era Ferdinando Natoni, un fascista in divisa, oltre a sottrarre le sorelle Limentani alla deportazione, pretese e ottenne la restituzione di un certo numero di ebrei già catturati dai tedeschi. Nelle mie ricerche sono riuscito a contattare anche la signora Anna Natoni, figlia del fascista, la quale ci ha pregato di ricordare il padre che morì a 96 anni e “mai rinnegò la propria fede”. L’episodio di cui fu protagonista Ferdinando Natoni è ufficializzato dal già citato rapporto Kappler, che fra l’altro attesta: <In un caso, per esempio, i poliziotti sono stati fermati alla porta di una abitazione da un fascista in camicia nera, munito di un documento ufficiale, il quale, senza dubbio si era stabilito nell’abitazione giudaica, facendola passare come propria un’ora prima dell’arrivo delle forze tedesche>.

Attesta Paolo Deotto: <In verità furono pochi i fascisti che aderirono alla politica antisemita stabilita dal Gran Consiglio. Uno fra tutti, il bollente Ras di Cremona, Roberto Farinacci, fanatico filonazista (…)>. Rispondo: no! Neanche lui! La verità è quanto riportato nel mio libro a pag. 197: <Il duro e intransigente Roberto Farinaci nascondeva nella sua tipografia due ebrei: Emanuele Tornagli e la signora Jole Foà, facendola passare per sua segretaria>.

Attesta Paolo Deotto: <Ma a questo punto non è più storicamente corretto parlare di politica fascista, bensì di politica tedesca attuata nel territorio italiano, formalmente ancora governato da Mussolini, di fatto colonia tedesca>.

Rispondo: anzi, per la precisione risponde proprio Goebbels che ha lasciato scritto. <Per quanto io sia commosso, dal lato umano, della liberazione del Duce, sono tuttavia scettico per quanto riguarda i vantaggi politici. Finché il Duce era fuori scena, potevamo avere le mani libere in Italia (…)>.

Sempre per quanto riguarda l’operazione ebrei esiste un’ampia documentazione riportata dal socialista Carlo Silvestri nel suo libro Mussolini, Graziani e l’antifascismo nel quale ricorda che Mussolini sino alla fine si occupò della sorte degli ebrei. <Ancora il 19 aprile 1945, nove giorni prima di essere appeso per i piedi a Piazzale Loreto, saputo dell’arresto da parte delle SS dell’israelita dottor Tommaso Salci di Mantova e di suo figlio Giorgio, perché appartenenti al Partito d’Azione, Mussolini riuscì a farli liberare. Uguale intervento salvò la vita al dottor Mario Paggi, pure lui israelita liberale, denunciato alle SS da alcuni compagni di partito. E non basta. Durante tutto il periodo della Rsi una intera comunità ebraica, quella dell’avvocato Del Vecchio di Milano, visse nascosta nel palazzo della Prefettura milanese sotto la protezione di Piero Parini e con il pieno consenso di Mussolini. Va detto che, a guerra finita, l’avvocato Del Vecchio volle sdebitarsi difendendo Piero Parini con una commovente arringa davanti alla Corte d’Assise straordinaria>. C’è da dire che Goebbels aveva visto giusto.

Voglio concludere ricordando quanto ha scritto lo storico israelita Léon Poliakov (Il nazismo e lo sterminio degli ebrei). <Mentre, in generale, i governi filofascisti dell’Europa asservita non opponevano che fiacca resistenza all’attuazione di una rete sistematica di deportazioni, i capi del fascismo italiano manifestarono in questo campo un atteggiamento ben diverso. Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (…). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (…). Ė significativo il fatto che i tedeschi non sollevarono mai il problema degli ebrei in Italia. Certamente temevano di urtare la suscettibilità italiana (…). Appena giunti sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (…)>.

Per quanto riguarda la nascita della Rsi, ecco cosa ha scritto Renzo De Felice (Rosso e Nero): <Mussolini, piaccia o non piaccia, accettò il progetto di Hitler spinto da una motivazione patriottica: un vero e proprio sacrificio sull’altare della difesa dell’Italia. Non il desiderio di vendetta, giacché non era un dittatore sanguinario sul tipo di Stalin o di Hitler. Né l’ambizione politica (…). Mussolini tornò al potere per mettersi al servizio della patria, perché solo così poteva impedire a Hitler di trasformare l’Italia in una nuova Polonia>.

Mi lascia perlomeno interdetto quanto ha scritto Paolo Deotto: <Come sappiamo furono invece fatali l’abbraccio con Hitler e la successiva entrata in guerra a fianco della Germania>. Altro che abbraccio! A confutare quanto asserito è lo stesso Winston Churchill che a pag. 209, 2° Vol. del La Seconda Guerra Mondiale, attesta: <Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall’altra parte, la Germania non era più sola>. Quasi con le stesse parole George Trevelyan (anche lui inglese) nella sua Storia d’Inghilterra: <E l’Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatti con l’Austria e con i Paesi balcanici, fu gettata in braccio della Germania>.

Come vede, caro signor Paolo Deotto, di argomenti per riabilitare l’adorabile tiranno (espressione di Bernhard Shaw), ne abbiamo a sufficienza, qualora la sua proposta trovasse accettazione. Cosa che dubito… purtroppo.